La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 17673 del 19 luglio 2013 interviene in tema di deducibilità dei compensi dell’organo amministrativo affermando che i compensi degli amministratori non sono deducibili dal reddito d’impresa in difetto dei requisiti di certezza e di inerenza prescritti dall’articolo 75 del TUIR. Il beneficio fiscale è ammesso solo nel caso in cui i compensi siano prestabiliti nello statuto o approvati dall’assemblea dei soci.
Per gli Ermellini, relativamente ai compensi per gli amministratori, si può parlare di costi deducibili per l’impresa, laddove quest’ultima dimostri la predeterminazione degli stessi attraverso una delibera assembleare che abbia stabilito le somme spettanti ai membri del CDA, in assenza di un’apposita previsione dello statuto.
La Suprema Corte evidenzia che ai sensi dell’articolo 49, secondo comma, lett. a) del TUIR l’attività di amministratore di società è compresa fra “i rapporti aventi per oggetto la prestazione di attività che, pur avendo contenuto intrinsecamente professionale, sono svolte senza vincolo di subordinazione in favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita”. La giurisprudenza, con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’articolo 2389, comma 1, cod. civ., ha sostenuto che, qualora il compenso non sia stabilito nello statuto, è necessaria un’esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea. Ne deriva che l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 c.c., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
Inoltre i giudici di legittimità hanno evidenziato e chiarito che “in materia di imposte sui redditi, rientrano infatti “tra le spese di rappresentanza di cui all’articolo 74 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre ne restano escluse le spese sostenute per incrementare le vendite; i pranzi offerti ai clienti non costituiscono spese di rappresentanza qualora sussista una diretta finalità promozionale e di incremento delle vendite.
Nella specie la S.C. ha ritenuto la sentenza di merito, che aveva qualificato quelle sostenute dalla contribuente come spese di pubblicità in quanto dirette ad aumentare il volume delle vendite, priva di un’adeguata motivazione atta a suffragare quanto ritenuto, non consentendo di ricostruire l'”iter logico” che aveva indotto il giudice di seconde cure a ritenere le dette spese dirette ad aumentare il volume delle vendite, occorrendo una rigorosa verifica in fatto della effettiva finalità delle spese e della sua diretta imputabilità” (Cass. n. 10959 del 2007).”
Alla luce delle considerazioni che precedono, gli Ermellini hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che si è opposta alla decisione della Commissione Tributaria Regionale di annullare l’avviso di accertamento con il quale erano ripresi a tassazione i compensi corrisposti agli amministratori di una S.r.l. L’Ufficio ha lamentato con successo l’assenza di prova circa la predeterminazione degli stessi.
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