La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23957 depositata il 22 ottobre 2013 intervenendo in tema di diritto al compenso professionale nel riconfermare il principio analogo già espresso in sentenze precedenti, ha stabilito che il deposito di documenti presso gli uffici della Pubblica amministrazione non costituisce un presupposto valido per il professionista delegato dal cliente per dimostrare il conferimento dell’incarico.
La vicenda ha riguardato un professionista vantava il diritto ad esigere il pagamento di un credito, acquistato dal figlio architetto che lo aveva maturato nei confronti dei convenuti in riferimento a prestazioni professionali consistite nella progettazione di n. 4 fabbricati, sostenendo, tra l’altro che il deposito presso il Comune degli elaborati progettuali sottoscritti dai clienti, dimostrava la sussistenza dell’attribuzione dell’incarico professionale.
Nel contraddittorio istaurato i convenuti negavano di avere mai conferito alcun incarico all’arch. N. ed anzi precisavano di avere stipulato il 15.11.1987 contratto preliminare di compravendita con la S. s.r.l., in persona dell’amministratore unico, arch. F.N., relativo ad alcuni lotti edificabili inseriti nel piano particolareggiato della zona di espansione di Batignano, accordo condizionato alla effettiva edificabilità delle aree, condizione che però non si era realizzata. Il giudice adito rigettava la domanda attorea.
Il soccombente attore ricorreva alla Corte di Appello riproponendo le tesi non accolte dal giudice di prime cure. La Corte Distrettuale rigettava il ricorso presentato evidenziando che “la tesi dell’appellante secondo cui sarebbero esistiti due distinti incarichi, uno conferito dai R. all’arch. N., volto alla presentazione della richiesta di concessione edilizia e giustificato dall’interesse degli stessi ad evitare l’esproprio, e l’altro, conferito dalla S. all’arch. B., relativo alle fasi successive, era priva di qualunque prova.”
Avverso la decisione della Corte Territoriale il professionista ricorreva alla Corte Suprema per la sua cassazione, basando il ricorso su tre censure.
Gli Ermellini hanno ritenuto le motivazioni del ricorso infondate. Infatti la Suprema Corte rileva come “… presupposto essenziale ed imprescindibile dell’esistenza di un rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l’avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare … la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente”.
La prova del conferimento dell’incarico spetta quindi al professionista che deve chiaramente ed inequivocabilmente dimostrare, nei confronti del giudice, la volontà del cliente nell’attribuirgli l’incarico per cui richiede il corrispettivo della prestazione professionale.
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