La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 28431 del 01 luglio 2013 ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di un impiegato dell’Agenzia delle Entrate cui il Gip aveva inflitto la custodia cautelare in carcere per avere costretto, attraverso abuso di potere, il gestore di due palestre a versargli 200 euro. L’impiegato aveva fatto presente che attraverso il pagamento della tangente sarebbe stato in grado di evitare l’altrimenti inevitabile accertamento fiscale successivo alla presentazione di un esposto anonimo.
A rendere necessario un approfondimento su quella che fino a pochi mesi fa si sarebbe profilata come una “classica” fattispecie di concussione è la legge 190 del 2012 che ha scomposto il delitto concussione in due autonome figure di reato la «concussione per costrizione» e la «induzione indebita a dare o promettere», prevedendo in quest’ultimo caso una pena inferiore per chi induce e, per la prima volta, una sanzione per chi è indotto. Ed è questa al di là dell’entità delle sanzioni la modifica più significativa che rende responsabile il privato «cooperante» e fa collocare la fattispecie di induzione a ridosso di quelle di corruzione. In attesa, lo faranno ad ottobre, che le Sezioni unite si pronuncino per delimitare con esattezza i confini tra le due fattispecie, la Cassazione prosegue con la sua opera di classificazione delle condotte concrete.
Un’operazione che va condotta, ricorda la stessa sentenza, con un’attenzione particolare, visto che la distinzione in passato era praticamente superflua, tanto che le contestazioni e le descrizioni scivolavano facilmente dall’una all’altra locuzione. In ogni caso, la differenza tra le due forme di illecito è data dal mezzo usato per il raggiungimento del risultato. Nella concussione per costrizione è l’esercizio di una minaccia o di una intimidazione, che va a incidere in maniera grave sulla volontà del soggetto interessato; nella induzione, invece (come attestato ieri anche da un’altra sentenza, la n. 28412, sulle concessioni dell’attività di Totocalcio), la decisione della vittima rappresenta l’esito di forme più blande di pressione, caratterizzate da profili di suggestione persuasione e fraudolenza.
Nella fattispecie, per la Corte Suprema, il Gip ha correttamente individuato nel rapporto tra il gestore delle palestre e l’impiegato dell’amministrazione finanziaria un esempio di squilibrio prevaricatorio. Dalla ricostruzione dei fatti è emerso in particolare che l’indagato, esibendo lo scritto anonimo che denunciava inadempienze fiscali, prospettò al gestore le gravi conseguenze cui sarebbe andato incontro con i controlli fiscali che sarebbero stati avviati e poi portati avanti per anni e che invece sarebbero stati scongiurati in cambio del pagamento di denaro.
Insomma, l’impiegato da una parte sottolineava i rischi per l’attività imprenditoriale di una mannaia fiscale continuamente sospesa, dall’altra però metteva anche in luce anche il suo concreto potere di impedirlo, visto che i problemi in questione attenevano alla sua sfera di competenza. Una tipologia che se prima della riforma andava collocata senza dubbio sotto il cappello del reato (unico) di concussione, adesso rientra a tutti i titoli nel perimetro della concussione per costrizione.
Gli Ermellini hanno spiegato che «E tanto in ragione del fatto che, col suo comportamento, particolarmente insidioso e penetrante per il riferimento a una sottoposizione pluriennale a controlli e nel contempo assai determinato nel pretendere un compenso quale condizione per un intervento reso possibile dalla posizione rivestita in seno alla pubblica amministrazione, il X suscitò nello Y il grave e concreto timore di una persecuzione fiscale che avrebbe potuto seriamente danneggiarlo in termini economici e psicologici e che (…) sarebbe stata evitabile solo piegandosi a corrispondere quanto gli veniva richiesto».
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