La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 29093 del 09 luglio 2013 ha sancito che qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato rappresenta, anche nella forma per equivalente, il profitto confiscabile. Pertanto la confisca per equivalente sui beni del presunto evasore fiscale scatta anche in relazione agli interessi e alle sanzioni del tributo non pagato.
La vicenda ha riguardato il titolare di una ditta, nelle dichiarazioni per le imposte dirette, indica attivi inferiori a quelli effettivi. Per tale ragione, il giudice dispone il sequestro preventivo sui conti correnti, immobili e mobili registrati per un valore di € 500 mila. Successivamente, sollecitato dall’indagato. L’indagato avverso il provvedimento di sequestro preventivo per equivalenza presenta richiesta di riesame al Tribunale, il quale riformava parzialmente il decreto limitando il sequestro alla concorrenza di euro 500.000, avendo ritenuto escludibile l’anno di imposta 2006, confermando il decreto che aveva disposto sequestro preventivo su conti correnti, immobili e mobili registrati.
Il soggetto indagato presenta ricorso “articolandolo su quattro motivi. Il primo motivo, a proposito dell’anno di imposta 2007, denuncia vizio di motivazione ex articolo 606, primo comma, lettera e, c.p.p. e violazione dell’articolo 273 c.p.p. perché mancherebbe specifica confutazione delle difese versate nella memoria del 4 giugno 2012. Il secondo motivo, a proposito dell’anno di imposta 2008, denuncia violazione degli articoli 8 e 56 T.U.I.R. e vizio di motivazione ex articolo 606, primo comma, lettera e), c.p.p., per mancata valutazione di elementi favorevoli al ricorrente, sempre in difetto di confutazione specifica della suddetta memoria. Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 321 c.p.p. e mancanza di motivazione perché vi sarebbe stata un’acritica adesione da parte del giudice di merito a quanto esposto dalla Guardia di Finanza in ordine ai ricavi non dichiarati. Il quarto motivo denuncia contraddittorietà della motivazione e violazione degli articoli 1, comma 143, I. 244/2007 e 322 ter c.p., poiché il sequestro e la confisca devono colpire l’imposta evasa quale profitto del reato mentre nel caso in esame il sequestro ha per oggetto l’importo di euro 500.000 “comprensivo, oltre che dell’imposta evasa, anche dei relativi accessori”, laddove l’imposta per gli anni 2007 e 2008 ammonta rispettivamente ad euro 195.768 e ad euro 196.521, gli accessori non sono identificati e se comunque fossero gli interessi e le sanzioni non sarebbero riconducibili al profitto del reato.”
La Corte Suprema interviene sulla questione e, confermando la decisione adottata dai colleghi del merito, ribadisce la correttezza del calcolo del valore dei beni sequestrati.
Gli Ermellini, colgono l’occasione per precisare che «proprio in ipotesi di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, il profitto confiscabile, anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato». Perciò, tale profitto risulta identificabile anche in un «risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovuti in seguito all’accertamento del debito tributario».
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