CONSIGLIO DI STATO – Decisione 09 febbraio 2009, n. 736
Ispezione e verbale – Visionare la copia delle dichiarazioni rese da un dipendente – Divieto
Fatto e diritto
Attraverso l’atto di appello in esame si contesta la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, n. 2439/08 del 29.8.2008, che non risulta notificata, con la quale veniva accolto il ricorso proposto dal titolare della Ditta “G.&G. Costruzioni Edili”, per l’accertamento – a norma degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990 – del diritto della medesima ditta a prendere visione ed estrarre copia delle dichiarazioni rese da un proprio dipendente in data 17.7.2007, in occasione di una visita ispettiva effettuata dall’Ispettorato del Lavoro di Taranto.
Il diritto in questione era stato negato dall’Amministrazione, ai sensi degli articoli 2 e 3 del D.M. n. 757 del 4.11.1994, che esplicitamente precludono l’accesso ai documenti, la cui conoscenza possa essere causa di pressioni o azioni pregiudizievoli da parte dei datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti; nella sentenza appellata, tuttavia, le ragioni così enunciate venivano ritenute non condivisibili, in considerazione delle esigenze di difesa della società ricorrente: esigenze da ritenere prioritarie in base alla vigente normativa e alla giurisprudenza, e che avrebbero imposto la disapplicazione delle citate norme regolamentari.
In sede di appello, l’Amministrazione sottolineava come, viceversa, il diniego di accesso dovesse ricondursi, in materia di documenti redatti dall’Ispettorato del Lavoro, all’esigenza di salvaguardare la riservatezza e la vita privata di soggetti terzi, in considerazione della peculiarità del rapporto sottostante, trattandosi di rapporto di lavoro normalmente caratterizzato (“soprattutto in un contesto lavorativo come quello attuale, improntato al precariato”) dalla presenza di una “parte debole”, il lavoratore, per il quale sarebbe giustificata una maggiore tutela da parte dell’ordinamento, mentre l’azienda potrebbe efficacemente difendersi in ogni sede, in rapporto ad eventuali concrete contestazioni.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che le ragioni difensive dell’appellante siano nella fattispecie condivisibili. Come già in altre decisioni rilevato infatti (cfr. in particolare, per il principio, Cons. St., sez. VI, n. 1842 del 22.4.2008), le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione – nei termini di cui all’art. 22 della citata legge n. 241/90 – con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi – specificamente – quelli dei soggetti “individuati o facilmente individuabili”…che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza” (art. 22 cit., comma 1, lettera c); il successivo articolo 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al sesto comma casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi – al punto d) – quelli relativi a “documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono”. In via attuativa, il D.M. 4.11.1994, n. 757 (regolamento concernente le categorie di documenti, formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sottratti al diritto di accesso) inserisce fra tali categorie – all’art. 2, lettere b) e c) – “i documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro”, nonché “i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
In rapporto a tale quadro normativo, anche la giurisprudenza ha più volte confermato la sottrazione al diritto di accesso della documentazione, acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito dell’attività di controllo loro affidata (cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 27.1.1999, n. 65 e 19.11.1996, n. 1604).
E’ vero che, in via generale, le necessità difensive – riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione – sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti terzi (cfr. Cons. St., Ad Plen. 4.2.1997, n. 5) ed in tal senso il dettato normativo richiede l’accesso sia garantito “comunque” a chi debba acquisire la conoscenza di determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti (art. 20, comma 7, L. n. 241/90 Cit.); la medesima norma tuttavia – come successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 L. n. 45/01, art. 176, c. 1, D.Lgs. n. 196/03 e art. 16 L. n. 15/05) – specifica con molta chiarezza come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile” la conoscenza di documenti, contenenti “dati sensibili e giudiziari”.
Ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione “caso per caso”, che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3798/08 del 29.7.2008, che ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni di lavoratori agli ispettori del lavoro, ma “con modalità che escludano l’identificazione degli autori delle medesime”), non può però dirsi sussistente una generalizzata soccombenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo di tali interessi, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
Nella situazione in esame, l’accesso viene richiesto in rapporto alle dichiarazioni di un singolo lavoratore, al quale non potrebbe dunque essere garantito l’anonimato, mentre non si forniscono chiare indicazioni circa le immediate conseguenze pregiudizievoli – per la tutela delle ragioni difensive dell’azienda – del diniego contestato, i cui parametri di legittimità non possono pertanto che rapportarsi alle disposizioni regolamentari vigenti, già sopra ricordate.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto, con conseguente annullamento della sentenza appellata e riconosciuta infondatezza della domanda di accertamento, proposta in primo grado di giudizio; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso non è chiamato ad alcuna decisione, non essendosi costituita in giudizio la parte appellata.
P.Q.M.
Accoglie l’appello specificato in epigrafe e, per l’effetto, annulla la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, n. 2439/08 del 29.8.2008; nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
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