CONSIGLIO DI STATO – Ordinanza 13 novembre 2019
Impiego pubblico – Concorso pubblico per l’assunzione di direttori dei servizi generali ed amministrativi del personale ATA – Possibilità di partecipazione per gli assistenti amministrativi che, alla data di entrata in vigore della legge n. 205 del 2017, abbiano maturato almeno tre anni interi di servizio negli ultimi otto nelle mansioni di direttore dei servizi generali ed amministrativi – Previsione che il requisito di partecipazione al concorso debba essere posseduto alla data di entrata in vigore della legge suddetta – Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), art. 1, comma 605
Rilevato in fatto
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 5852 del 2019 con cui il TAR Lazio ha respinto l’originario gravame; quest’ultimo era stato proposto dalla medesima parte al fine di ottenere l’annullamento del bando di indizione del «Concorso pubblico, per esami e titoli, per la copertura di 2004 posti di direttore dei servizi generali ed amministrativi del personale ATA», nella parte in cui disciplina i requisiti di ammissione. In particolare, oggetto di contestazione era la parte in cui si dispone che possono partecipare, ancorché privi dei titoli culturali, gli assistenti amministrativi che, alla data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2017, n. 205, abbiano maturato almeno tre interi anni di servizio, anche non continuativi, sulla base di incarichi annuali, negli ultimi otto, nelle mansioni di direttore dei servizi generali ed amministrativi (articoli 2, commi 5 e 4, comma 1, lettera e).
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante deduceva i seguenti motivi di appello:
– error in iudicando, erroneità della motivazione, travisamento dei fatti, omessa motivazione sulle ragioni addotte contro il precedente citato;
– difetto di motivazione sul terzo motivo di ricorso e devoluzione in appello, in relazione alla riduzione al solo trenta per cento della riserva dei posti messi a concorso a favore del personale ATA;
– violazione di legge in materia di condanna alle spese, eccessiva onerosità degli importi liquidati dal TAR.
La parte appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.
Con decreto cautelare n. 2735 del 2019, veniva disposta ammissione con riserva della parte appellante alla prova preselettiva.
Con ordinanza n. 3164 del 2019 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, in quanto le esigenze cautelari di parte appellante (attestate da utile collocazione all’esito della prova preselettiva) venivano ritenute prevalenti, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, nelle more del necessario approfondimento in ordine alla verifica della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma impositiva del termine di cui al 1° gennaio 2018.
Alla pubblica udienza del 7 novembre 2019 la causa passava in decisione.
Considerato in diritto
1. La presente controversia ha ad oggetto l’impugnativa degli atti concernenti l’indizione del concorso, per esami e titoli, a 2004 posti di direttore dei servizi generali ed amministrativi.
In particolare, parte appellante contesta la limitazione della partecipazione al concorso agli assistenti amministrativi che, alla data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2017, n. 205, abbiano maturato, sulla base di incarichi annuali, almeno tre interi anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto nelle mansioni di direttore dei servizi generali ed amministrativi. In sostanza, si contesta la previsione di bando, riproduttiva della norma, laddove prevede che il requisito dei tre anni debba essere posseduto alla data di entrata in vigore della legge (1° gennaio 2018), e non invece anche in epoca successiva, cioè fino alla scadenza del termine per presentare le domande; per ciò che concerne la posizione dell’appellante, la stessa avrebbe conseguito i tre anni alla data del 1° agosto 2018.
2. Cosi delineata, la fattispecie trova il proprio fondamento nella specifica e letterale dizione legislativa, ripresa in termini meramente riproduttiva dagli atti impugnati.
Occorre quindi prendere le mosse dalla norma di riferimento (art. 1, comma 605, legge 27 dicembre 2017, n. 205), a mente della quale:«605. E’ bandito entro il 2018, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, un concorso pubblico per l’assunzione di direttori dei servizi generali ed amministrativi, nei limiti delle facoltà assunzionali ai sensi dell’art. 39, commi 3 e 3-bis, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Gli assistenti amministrativi che, alla data di entrata in vigore della presente legge, hanno maturato almeno tre interi anni di servizio negli ultimi otto nelle mansioni di direttore dei servizi generali ed amministrativi possono partecipare alla procedura concorsuale di cui al primo periodo anche in mancanza del requisito culturale di cui alla tabella B allegata al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola sottoscritto in data 29 novembre 2007, e successive modificazioni».
Come emerge dalla lettura del disposto richiamato, la norma esclude direttamente la partecipazione ai soggetti privi della richiesta maturazione di servizi entro la data legislativamente prevista, in termini di chiarezza letterale non superabile in via ermeneutica diversa, neppure costituzionalmente orientata.
3. Conseguentemente, unico presupposto per l’accoglimento del ricorso è la proposizione della questione di costituzionalità, di cui nella presente fattispecie sussistono entrambi i presupposti, in merito alla dubbia compatibilità della contestata limitazione ai principi tratti dalla Carta fondamentale.
3.1 Sul versante della rilevanza, l’esito positivo della verifica emerge dalla constatazione che la norma in contestazione è l’elemento direttamente ostativo alla auspicata partecipazione al concorso da parte della odierna appellante; infatti, quest’ultima ha maturato il requisito necessario per l’ammissione al concorso in epoca successiva al termine fissato direttamente dalla norma, sebbene in epoca anteriore al criterio ordinariamente utilizzato, in base alle norme generali ed ai principi vigenti in materia di procedure concorsuali, cioè quello riferito al termine fissato dal bando per la presentazione delle domande di partecipazione.
Al riguardo appare pienamente ammissibile e rilevante la questione di legittimità costituzionale concernente una legge di cui il giudice a quo debba fare diretta applicazione ai fini della decisione della causa in relazione al thema decidendum (e, nel giudizio d’appello, al devolutum).
Ipotesi, questa, che esattamente ricorre nella fattispecie, risultando con i motivi d’appello devoluti al presente grado questioni che non possono essere decise indipendentemente dall’applicazione della citata disposizione di legge, posta da tutte la parti, pubblica e private, a fondamento dei provvedimenti adottati e delle tesi dedotte in giudizio in ordine alla possibile partecipazione al concorso in oggetto.
3.2 Sul versante della non manifesta infondatezza, il necessario approfondimento, svolto anche alla luce della giurisprudenza costituzionale più recente, giunge ad un esito parimenti positivo.
3.2.1 Punto di partenza dell’analisi è il contenuto della norma, la connessa ratio e la conseguente qualificazione della procedura concorsuale in questione.
La stessa dizione normativa qualifica la procedura quale concorso pubblico, aperto, quindi di carattere ordinario, rispetto al quale viene ad essere garantita la più ampia partecipazione, in termini coerenti al principio fondamentale del pubblico concorso per l’accesso agli impieghi pubblici.
La diversa qualificazione, posta a fondamento delle decisioni di prime cure applicate per relationem dal TAR nella sentenza semplificata impugnata, oltre a scontrarsi con la lettera e la sostanza della norma (e ciò sarebbe già dirimente), non trova conforto nei limiti che la giurisprudenza costituzionale detta in relazione ai concorsi riservati.
3.2.3 Come noto, secondo la giurisprudenza costituzionale il pubblico concorso è forma generale e ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione (si vedano, tra le più recenti, le sentenze n. 134 del 2014; n. 277, n. 137, n. 28 e n. 3 del 2013; n. 212, n. 177 e n. 99 del 2012; n. 293 del 2009), cui si può derogare solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico (sentenze n. 134 del 2014; n. 217 del 2012; n. 310 del 2011; n. 9 del 2010; n. 293 e n. 215 del 2009; n. 81 del 2006).
In dettaglio, sono ammesse deroghe al principio del pubblico concorso, solo sulla base peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (sentenze n. 135/2014; n. 52/2011; n. 195, n. 150 e n. 100 del 2010; n. 293 del 2009) e solo a condizione che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sia assicurato in via alternativa con adeguati criteri selettivi idonei a garantire la professionalità dei soggetti prescelti (da ultimo, sentenze n. 299 del 2011 e n. 30 del 2012). In particolare, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenze n. 215/2009 e n. 363/2006) e le deroghe sono legittime solo se in presenza di un superiore interesse pubblico, come ad esempio l’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno (sentenza n. 149/2010), le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione (sentenze n. 9, n. 150/2010 e n. 293 del 2009). Dalla giurisprudenza costituzionale si evince, poi, che non sono deroghe ammissibili: eccezioni basate sulla circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006) o sulla personale aspettativa degli aspiranti ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006); riserve integrali dei posti disponibili in concorso in favore di personale interno (sentenze n. 3/2013; n. 217/2012; n. 52/2011; n. 150 del 2010; n. 293 del 2009; n. 205 del 2004) e deroghe al pubblico concorso basate sulla trasformazione di rapporti contrattuali a tempo indeterminato in rapporti di ruolo (sentenze n. 52, n. 67, n. 68, n. 123 e n. 127/2011; n. 190/2005; n. 205/2004). Con riguardo alla natura della procedura concorsuale, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di procedure selettive riservate, che escludessero o riducessero irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violando il carattere pubblico del concorso (sentenze n. 137/2013; n. 189/2011; n. 225/2010 e n. 34/2004).
3.2.4 E’ in termini di requisiti per l’accesso al concorso pubblico stesso che si pone la questione, rilevante ai fini di causa.
Premesso che, in linea generale, i requisiti per l’accesso al concorso in esame devono seguire il principio del merito, nel bilanciamento con l’obiettivo della più ampia partecipazione, nel caso di specie la norma ha inteso affiancare all’ordinario possesso del titolo di studio previsto dall’ordinamento, un requisito rilevante in termini di esperienza maturata in capo a soggetti eventualmente privi del titolo di studio; con ciò estendendo il campo di partecipazione, sulla scorta di un elemento attestante la garanzia del possesso della necessaria professionalità, acquisita in termini di esperienza.
3.2.5 Ai fini in esame, e della specifica situazione controversa, non assume contrario rilievo la disciplina di dettaglio del bando, laddove viene riservato un trenta per cento dei posti al personale ATA; infatti, se per un verso tale riserva si pone a valle ed è contenuta entro il limite legale del cinquanta per cento, per un altro verso, conformemente alla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, non sono previste riserve integrali dei posti disponibili in concorso in favore di personale interno, risultando ragionevolmente aperto ai soggetti esterni il settanta per cento dei posti, cioè la assoluta maggioranza.
Peraltro, come già evidenziato in termini di rilevanza, la presente controversia ha ad oggetto diretto l’applicazione della norma di legge in contestazione, la quale comporta l’esclusione della parte appellante dalla procedura sulla scorta di una regola di dubbia costituzionalità, nei termini che seguono.
3.2.6 Nel caso di specie la norma, lungi dal restringere e riservare l’accesso a determinati soggetti e ad indicare le connesse esigenze eccezionali, amplia la partecipazione attraverso l’estensione dei requisiti, oltre al titolo di studio l’esperienza pregressa.
In particolare, ai fini di causa ciò che assume rilievo non è la contestazione in merito alla più o meno ampia estensione, quanto piuttosto il tema concernenti la (sola) epoca di maturazione del requisito.
3.2.7 In proposito, rispetto alla regola generale in tema di concorsi, secondo cui i requisiti previsti per la partecipazione ad un concorso pubblico devono essere posseduti dai concorrenti al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda stabilito dal bando (cfr. art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, art. 2, comma 7, decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 e Consiglio di Stato, sez. IV, 7 giugno 2019, n. 3854), la diversa previsione di specie non trova conforto nei principi di cui al diritto vivente in materia, dando luogo ad illogicità e disparità di trattamento potenzialmente contrastanti con i principi costituzionali.
Ancora di recente la giurisprudenza di questo Consiglio ha evidenziato come tali norme, in base alle quali appunto i requisiti per l’ammissione agli impieghi pubblici devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda, costituisca un principio generale; in base a tale principio la fissazione di una data anteriore per il possesso dei requisiti occorre che trovi fondamento in una norma di legge, dalla quale possa desumersi una particolare esigenza di pubblico interesse, ragionevolmente prevalente su quello espresso dalla citata disposizione sull’ammissione ai concorsi, pertanto tale deroga non può essere posta in un atto regolamentare (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. III, 20 maggio 2019, n. 3201)
Tale regola deve ritenersi espressione di un principio generale, strettamente connesso ai principi di imparzialità dell’amministrazione e di parità di trattamento dei candidati; infatti, in coerenza col favor partecipationis nelle procedure di selezione pubbliche, la regola della necessità del possesso dei requisiti alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande comporta di per sé la trasparenza della determinazione amministrativa e la parità di trattamento di chi faccia parte della categoria di persone che possa partecipare alla selezione; mentre la determinazione di una data diversa, non coincidente con quella di scadenza del termine per la presentazione delle domande, implica di per sé il concreto rischio che possano esservi vantaggi solo per alcuni degli appartenenti della categoria, con esclusione degli altri e, dunque, ingiustificate disparità di trattamento; pertanto, il principio della maturazione dei requisiti alla data di scadenza della presentazione della domanda (a parte i casi espressamente previsti da una disposizione normativa) può essere derogato solo ove vi siano specifiche e comprovate ragioni di interesse pubblico, ad esempio quando si tratti di dare una ragionata esecuzione a statuizioni dei giudici ovvero qualora vi sia l’esigenza di rispettare una successione cronologica tra procedimenti collegati, o di salvaguardare posizioni legittimamente acquisite dai soggetti interessati a concorsi interni.
3.2.8 Nel caso di specie dalla norma in esame e dai relativi atti preparatori non emerge alcuna ragionevole né particolare esigenza di pubblico interesse, nei termini appena indicati, per derogare al principio generale sopra richiamato.
Non solo, la stessa limitazione dà luogo ad una immediata ed evidente disparità di trattamento, sia in relazione agli altri possessori del requisito in esame, sia in specie rispetto ai possessori dell’alternativo requisito ordinario del titolo di studio, il quale, a fini di partecipazione e contrariamente al requisito in esame, può essere stato acquisito anche dopo la data del 1° gennaio 2018 (data di entrata in vigore della legge n. 205 del 2017) ed entro il termine di presentazione della domanda di partecipazione.
Orbene, nessuna di tali differenti discipline e trattamenti trova il proprio ragionevole fondamento in alcune specifica esigenza di interesse pubblico, nei termini sopra evidenziati dal diritto vivente.
3.2.9 Con riferimento alla situazione della odierna appellate, è pacifico che, rispetto alla data di effettiva indizione della procedura appellante, la stessa abbia maturato il servizio richiesto per poter accedere al concorso.
Quindi, la norma in contestazione comporta, pur dinanzi ad un concorso pubblico ordinario, una restrizione alla partecipazione, distinguendo fra soggetti che peraltro, rispetto allo svolgimento del concorso, hanno tutti maturato la richiesta esperienza pregressa.
3.2.10 Al riguardo occorre ribadire come la giurisprudenza della Corte costituzionale interpreti il requisito del «pubblico concorso» di cui all’art. 97, comma 4 nel senso che esso sia rispettato, ove l’accesso al pubblico impiego avvenga per mezzo di una procedura con tre requisiti di massima (sui quali, fra le molte, cfr. Corte costituzionale 24 giugno 2010, n. 225 e 13 novembre 2009, n. 293).
In primo luogo, tale procedura deve essere aperta, nel senso che vi possa partecipare il maggior numero possibile di cittadini. Nel caso di specie il carattere aperto emerge dalla stessa qualificazione della norma e dalla ampiezza della platea dei potenziali interessati in quanto possessori dei titoli, di studio e non, richiesti.
In secondo luogo, deve trattarsi di una procedura di tipo comparativo, volta cioè a selezionare i migliori fra gli aspiranti.
Nel caso di specie la fissazione di requisiti di accesso persegue proprio l’esigenza di consentire la partecipazione a soggetti in possesso di profili adeguati in termini di merito, per studio o per esperienza pregressa.
Infine, deve trattarsi di una procedura congrua, nel senso che essa deve consentire di verificare che i candidati posseggano la professionalità necessaria a svolgere le mansioni caratteristiche, per tipologia e livello, del posto di ruolo che aspirano a ricoprire. Anche al riguardo il titolo di studio aderente alle funzioni da svolgere e l’esperienza specifica pregressa confermano la sussistenza, nel caso di specie, della necessaria congruità.
3.2.11 Con specifico riguardo alla scuola, la Corte costituzionale ha poi affermato (cfr. sentenza 9 febbraio 2011, n. 41) che il merito deve costituire il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente e, inoltre (sentenza 6 dicembre 2017, n. 251), che una disposizione la quale impedisca di realizzare la più ampia partecipazione possibile al concorso, in condizioni di effettiva parità, contraddice tale criterio. E lo sbarramento temporale in contestazione pare dar vita ad una limitazione qualificabile in tali termini, di limite irragionevole alla più ampia partecipazione in condizioni di parità.
Nel caso di specie, a fronte del carattere ordinario del concorso, cosi come qualificato dalla norma, la necessità del possesso del requisito ad una data ampiamente anteriore al termine di presentazione della domanda, non trova alcun fondamento in alcuna specifica esigenza di interesse pubblico, dando quindi vita ad una irragionevole limitazione della partecipazione e ad una disparità di trattamento fra possessori dei diversi requisiti di ammissione, per il quale viene ad essere dettato un termine diverso per la verifica del possesso degli stessi.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, pertanto, la disposizione di legge, riprodotta dal bando, che limita il periodo per il conseguimento del requisito dei tre anni di servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 205/2017 (ovvero un anno prima del termine previsto per la presentazione della domanda al concorso), appare censurabile sotto il profilo della conformità al dettato della Costituzione, ed in particolare degli articoli 3 della Costituzione, da solo e in combinato disposto con gli articoli 51 e 97 della Costituzione, determinando una grave lesione ai principi costituzionali di parità tra i cittadini (art. 3), di uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici (art. 51) e di accesso mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni (art. 97). In particolare, con riferimento all’art. 97 della Costituzione, va richiamata la regola del pubblico concorso, come intesa anche dal diritto vivente della giurisprudenza di questo Consiglio, posta a tutela non solo dell’interesse pubblico alla scelta dei migliori – mediante una selezione aperta alla partecipazione di coloro che siano in possesso dei prescritti requisiti – ma anche del diritto dei potenziali aspiranti a poter partecipare alla relativa selezione.
5. Sussistendo tutti i presupposti ai sensi dell’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione incidentale di legittimità costituzionale, quale sopra sollevata, deve essere devoluta alla Corte costituzionale, cui gli atti del presente giudizio vanno pertanto immediatamente trasmessi, previa sospensione del presente giudizio.
P.Q.M.
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, in riferimento agli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il requisito di partecipazione al concorso debba essere posseduto alla data di entrata in vigore della legge stessa e non al momento della scadenza del termine per la presentazione della domanda stabilito dal bando.
Dispone la sospensione del presente giudizio sino alla decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale quale sopra sollevata.
Riserva alla sentenza definitiva ogni statuizione sulle spese di causa.
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