CONSIGLIO DI STATO – Sentenza 03 dicembre 2013, n. 5742
Diniego permesso di soggiorno
Fatto e diritto
1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, cittadino senegalese residente in Italia con permesso di soggiorno per lavoro subordinato, alla scadenza del permesso medesimo ne ha chiesto il rinnovo alla Questura di Genova.
Il rinnovo è stato negato, con la motivazione che l’interessato aveva riportato una condanna penale (non definitiva) per un reato in materia di stupefacenti; circostanza, questa, che per il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del t.u. n. 286/1998, è tassativamente ostativa al rilascio ovvero al rinnovo del permesso di soggiorno.
2. L’interessato ha proposto ricorso al T.A.R. Liguria. Il ricorso è stato respinto con sentenza n. 384/2013.
E’ seguito l’appello dell’interessato davanti a questo Consiglio. Resiste l’amministrazione rappresentata dall’Avvocatura dello Stato.
3. In occasione della trattazione della domanda cautelare in camera di consiglio, il Collegio ravvisa gli estremi per una definizione immediata della controversia.
4. Come si è detto, il rinnovo del permesso di soggiorno è stato rifiutato perché lo straniero ha riportato, in data 28 dicembre 2010, una sentenza di condanna (non definitiva) per un reato in materia di stupefacenti.
Peraltro, per il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del t.u. n. 286/1998, il rilascio, e se del caso il rinnovo, del permesso di soggiorno sono vietati nei confronti degli stranieri che abbiano riportato condanne penali (ancorché non definitive, ovvero patteggiate) per taluni tipi di reato, fra i quali genericamente tutti quelli in materia di stupefacenti.
In quest’ultimo caso la legge non permette di distinguere in relazione alla gravità del reato e/o della pena. Su questo punto la giurisprudenza è consolidata (a parte il chiaro tenore della legge) e pertanto sembra superfluo discuterne ulteriormente.
5. L’appellante, tuttavia, sostiene che nel suo caso si debbano applicare le disposizioni (asseritamente più favorevoli) della normativa in materia di “emersione”, vale a dire del decreto legge n. 78/2009 convertito in legge n. 102/2009 e parzialmente modificato per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 172/2012.
L’argomento è infondato perché (a prescindere da ogni altra considerazione) nella presente controversia non si discute di un procedimento di “emersione” e perciò non viene in applicazione la normativa speciale in materia. Se è vero che l’interessato ha ottenuto la regolarizzazione grazie alla sanatoria del 2009, è anche vero che il relativo procedimento si è definito da tempo; ed infatti la vicenda di cui ora si discute prende origine dalla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, presentata nel giugno 2011. Questa domanda doveva essere esaminata dall’amministrazione sulla base delle norme ordinarie (in particolare l’art. 5, comma 5, del t.u.) tenendo conto del fatto sopravvenuto nel frattempo, ossia la condanna penale del dicembre 2010.
Non ha pregio la tesi del ricorrente secondo cui, avendo beneficiato a suo tempo della c.d. “emersione”, per ciò solo egli avrebbe titolo ad una disciplina di favore in occasione dei successivi rinnovi periodici.
Questa tesi non ha nessuna base normativa e del resto anche da un punto di vista di semplice ragionevolezza non si vede perché un soggetto che abbia ottenuto la sanatoria dovrebbe godere di un trattamento preferenziale rispetto a chi abbia conseguito il permesso di soggiorno attraverso le vie ordinarie e legittime.
6. Altra questione è se l’interessato abbia diritto ad una valutazione più favorevole, secondo il disposto dell’art. 5, comma 5, del t.u. n. 286/1998, nella parte modificata dal d.lgs. n. 5/2007 e ulteriormente modificata dalla sent. cost. n. 202/2013. Ci si riferisce alla disposizione che riserva un trattamento di maggior favore allo straniero che abbia legami familiari in Italia.
6.1. E’ necessario ora chiarire che cosa si intenda in questo contesto per “legami familiari”.
In proposito, conviene ricordare che il testo originario della disposizione, introdotta dal d.lgs. n. 5/2007, attribuiva il beneficio allo straniero che avesse effettuato il ricongiungimento familiare ovvero fosse esso stesso familiare ricongiunto. La norma si riferiva all’istituto del ricongiungimento familiare, disciplinato dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 come modificato dallo stesso d.lgs. n. 5/2007, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86/2003. Com’è noto, tale procedimento ha luogo ad iniziativa di uno straniero già legalmente residente in Italia, il quale chiede di estendere il titolo di soggiorno anche ad uno o più congiunti ancora residenti all’estero. L’art. 29 del t.u., in pedissequa applicazione della direttiva comunitaria, indica in modo preciso e tassativo i familiari che possono usufruire del ricongiungimento: il coniuge, i figli minorenni, nonché, a determinate condizioni, i genitori; più qualche altra ipotesi particolare.
6.2 In sede applicativa, si è posto il problema se la disposizione in esame fosse razionalmente accettabile, nella parte in cui limitava (nella sua formulazione letterale) il beneficio alle fattispecie nelle quali vi fosse stato un formale procedimento di ricongiungimento familiare. Questa Sezione si è ripetutamente pronunciata nel senso che la norma si debba interpretare in senso estensivo (lex minus dixit quam voluit) ossia includendo nel beneficio anche i nuclei familiari la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo al ricongiungimento, ma che si trovino già riuniti senza aver dovuto ricorrere a tale procedura.
6.3. La questione è stata posta da altro Giudice alla Corte costituzionale, e quest’ultima, con la sentenza n. 202/2013, senza prendere in considerazione l’ipotesi di una soluzione interpretativa, ha dichiarato parzialmente incostituzionale la disposizione, nella parte in cui limita il beneficio alle fattispecie in cui vi sia stata una formale procedura di ricongiungimento, senza estenderla a tutti i casi in cui lo straniero abbia “legami familiari” nel territorio dello stato.
Peraltro, nel testo della stessa sentenza n. 202 si legge più di un riferimento esplicito da cui si desume che il vizio di costituzionalità riguarda solo quel punto della disposizione che attribuisce rilevanza determinante alla presenza, rispettivamente all’assenza, di un pregresso provvedimento di ricongiungimento, senza attribuire analogo beneficio a chi, pure “a parità di ogni altra condizione” ossia “pur avendone i presupposti” non abbia avuto necessità di utilizzare tale procedura.
Interpretando dunque la sentenza n. 202 alla luce della sua motivazione e del contesto sistematico in cui si è collocata, si comprende che i “legami familiari” rilevanti ai fini di cui si discute sono quelli indicati dall’art. 29 del t.u. n. 286/1998 (e, a monte, dalla direttiva comunitaria n. 86/2003).
La situazione dell’attuale appellante non vi rientra, dal momento che a quanto risulta il suo parente più prossimo soggiornante in Italia è un fratello, maggiorenne al pari di lui.
7. In conclusione, l’appello va respinto.
Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.
Rigetta l’appello. Spese compensate.
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