CONSIGLIO DI STATO – Sentenza 26 giugno 2013, n. 3509
Individuazione di aree ammesse alle agevolazioni di cui al D.L. 415/1992
Fatto e diritto
La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne il decreto del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato del 13 novembre 2000, con cui venivano individuate le aree delle regioni e delle province autonome di Bolzano e Trento, ammesse alle agevolazioni di cui al d.-l. 22 ottobre 1992, n. 415 (Modifiche alla legge 1 marzo 1986, n. 64, in tema di disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno) convertito con modificazioni dalla l. 19 dicembre 1992, n. 488, nella parte in cui detto decreto limitava la propria applicazione alle “spese inserite in programmi di investimento, avviati a partire dal giorno successivo a quello di presentazione della domanda di agevolazione”, così ponendosi in contrasto con la disposizione dell’art. 4, terzo comma, del d.m. 20 ottobre 1995, n. 527 (concernente le modalità e le procedure per la concessione ed erogazione delle agevolazioni in favore delle attività produttive nelle aree depresse del Paese, già modificato ed integrato dal d.m. 31 luglio 1997, n. 319, con le modifiche e le integrazioni introdotte dal d.m. 9 marzo 2000, n. 133), che riconosceva l’ammissibilità dell’agevolazione per spese “sostenute a partire dal giorno successivo alla data di chiusura del bando, comma 1, precedente a quello cui si riferisce la domanda”.
Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, sez. III-ter, n. 3766/08 in data 8 maggio 2008 le tesi difensive, prospettate con richiamo alla disposizione sopra indicata, erano ritenute infondate, risultando la limitazione di cui trattasi conforme alla decisione dell’Unione Europea del 12 luglio 2000, citata nella disposizione in esame, con la quale si autorizzava l’attuazione del regime di aiuto della legge n. 488 del 1992 per il periodo 2000 – 2006, solo per investimenti successivi alla presentazione delle domande; in fase di prima applicazione, inoltre, erano ritenute finanziabili le spese ammesse alle agevolazioni, nell’ambito dei programmi relativi all’ultimo bando utile, già istruite con esito positivo ma non ammesse alle agevolazioni per insufficienza delle risorse finanziarie.
In sede di appello (n. 3852/2009, notificato il 21 aprile 2009), si prospettavano censure di “illegittimità della sentenza per violazione di legge a causa di erronea interpretazione, falsa applicazione, travisamento e carenza di motivazione. Eccesso di potere”. Non sarebbero stati compresi infatti i reali effetti della disciplina transitoria, nella misura in cui veniva ritenuta differente la posizione di coloro, che avessero presentato una domanda istruita, ma non accolta per mancanza di fondi e di coloro che avessero rinunciato all’inserimento automatico nel bando e nella graduatoria successivi, riservandosi di presentare nuovamente la medesima domanda. Il d.m. 13 novembre 2000, pertanto, sarebbe stato illegittimo per avere ritenuto esclusa dal divieto comunitario la domanda, concorrente ex lege al bando successivo e non anche quella successivamente riformulata (nel precedente regime, infatti, era previsto: “i programmi non finanziati concorrono automaticamente, a meno che non siano ritirati per una riformulazione, alla ripartizione delle agevolazioni previste nell’esercizio; le spese già effettuate nell’ambio di programmi che vengono ripresentati sono riconosciute ammissibili a partire dalla data di presentazione della prima domanda di agevolazione”). In via subordinata, con il medesimo appello si chiedeva che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale del d.m. 13 novembre 2000, nella parte riferita al regime transitorio, per iniqua diversa considerazione della posizione di coloro che avessero agito nel rispetto del precedente regime normativo. In altre parole, non avrebbe potuto essere qualificata come nuova domanda quella proposta dall’attuale appellante, essendo stata essa avanzata ex art. 4, comma 3, del d.m. 20 ottobre 1995, n. 527, in adempimento dell’opzione ivi concessa di ripresentare la “domanda già fatta, ma non ammessa a finanziamento per insufficienza delle provvidenze disponibili”, in alternativa all’opzione di “riproposizione automatica sul nuovo bando”, essendo anche la prima situazione diversa da quella di chi non avesse affatto partecipato al precedente bando.
Le argomentazioni interpretative dell’appellante, così sintetizzate, non sono condivise dal Collegio.
Emerge nella situazione in esame, infatti, un ius superveniens, introdotto dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato con d.m. 13 novembre 2000, in attuazione della decisione dell’Unione Europea del 12 luglio 2000, con la quale si autorizzava il regime di aiuto, di cui alla legge n. 488 del 1992, ma in termini più restrittivi rispetto al passato, ovvero non più con riferimento a spese anche pregresse, come consentito dal d.m. n. 527 del 1995 (art. 4, comma 3), ma in via esclusiva per “programmi di investimento avviati, a partire dal giorno successivo a quello di presentazione delle domande”. Solo per la prima applicazione della nuova normativa, poi, venivano ammesse al finanziamento anche le domande prodotte con riferimento all’ultimo bando, istruite con esito positivo e non finanziate solo per indisponibilità di fondi.
Le nuove disposizioni risultavano finalizzate, con evidenza, ad incentivare nuovi investimenti delle imprese, senza conservare precedenti strumenti di agevolazione, per interventi già effettuati e finanziati dalle imprese stesse. Come rilevato in primo grado, pertanto, la delibera comunitaria rendeva non solo non illogica e discriminante, ma anzi doverosa una nuova linea di indirizzo, cui l’Amministrazione si è correttamente adeguata. La precedente possibilità che le domande ritirate conservassero possibilità di reinserimento, con ammissibilità decorrente “dalla data di presentazione della prima domanda di agevolazione” non escludeva successivi adeguamenti delle norme di attuazione, a maggior ragione in presenza di prescrizioni in ambito comunitario, indirizzate a restringere il regime di aiuti pubblici alle imprese.
In tale ottica, la precedente possibilità di ripresentazione di domande – per spese già effettuate e oggetto di una precedente istanza di agevolazione – non è stata più riconosciuta, appunto in quanto non rispondente ai principi comunitari, con disposizione eccezionale (e per ciò stesso di stretta interpretazione), che faceva salve le domande già istruite e ammesse al finanziamento, poi non erogato per meri problemi di copertura, senza che possa invocarsi un’insussistente identità di posizione, per le istanze non già positivamente valutate.
Il Collegio non ravvisa, pertanto, profili di violazione di legge o eccesso di potere in un decreto ministeriale, chiamato a disciplinare il regime delle agevolazioni, di cui al citato d.-l. n. 415 del 1992, convertito dalla legge n. 488 del 1992, con modalità da ritenere conformi alla disciplina comunitaria. È appena il caso di precisare infine, come non siano sollevabili in rapporto a detto decreto questioni di costituzionalità, riservate alle leggi e degli atti aventi forza di legge dall’art. 134 della Costituzione.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto.
Nulla va disposto in ordine alle spese giudiziali, non essendosi costituita in giudizio l’appellata.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, respinge l’appello, come in epigrafe proposto.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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