CONSIGLIO DI STATO – Sentenza 30 giugno 2022, n. 5413
Patologia dipendente da causa di servizio – Risarcimento – Nocività dell’ambiente di lavoro – Prova
Fatto e diritto
1. Giunge all’esame del Consiglio di Stato la sentenza del T.a.r. per la Lombardia, sede di Milano, sezione III, n. -OMISSIS-, che ha respinto la domanda, proposta da un ex militare dell’Arma dei carabinieri, per ottenere il risarcimento, per equivalente, del danno patito per aver contratto una “-OMISSIS-“.
2. Innanzi al T.a.r., l’interessato ha dedotto di essere stato appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri, di essere stato addetto al servizio di istituto presso la sezione “traduzioni e piantonamenti del reparto servizi magistratura C.C. Milano del Comando Regione Carabinieri” e di essere stato, perciò, in contatto “diretto e continuo” con detenuti, molti dei quali, a suo dire, affetti da patologie infettive che gli avrebbero causato l’insorgenza di una “-OMISSIS-“.
2.1. Venuto a conoscenza della patologia, egli ha presentato, il 29 novembre 1999, l’istanza per il riconoscimento della dipendenza della patologia da causa di servizio.
2.2. Pur avendo riconosciuto la dipendenza della patologia dalla causa di servizio, l’amministrazione giudicava tardiva l’istanza.
2.3. A seguito del vittorioso esperimento del ricorso giurisdizionale innanzi al competente T.a.r., definito con la sentenza del -OMISSIS-, l’Amministrazione, con provvedimento del 24 ottobre 2007, riconosceva nuovamente la dipendenza della patologia da causa di servizio e iscriveva la patologia nella tabella A, categoria 8, nella misura massima.
2.4. Nel medesimo provvedimento veniva esaminata, con esito negativo, anche l’ulteriore istanza con la quale l’interessato aveva chiesto l’aggravamento delle patologie sofferte.
2.5. In particolare, con nota del 19 novembre 2007, l’amministrazione ha rappresentato al militare che per poter ottenere l’indennizzo correlato all’aggravamento “era necessario presentare specifica istanza, sino a quel momento non ancora prodotta”.
2.6. Con il decreto n. 32/09 del 12 gennaio 2009, notificato all’interessato in data 30 marzo 2009, veniva comunicato all’interessato che anche l’aggravamento era riconducibile a causa di servizio.
2.7. In data 30 settembre 2009, sono tuttavia scaduti i termini per la presentazione della relativa istanza, senza che l’interessato abbia proposto la relativa domanda.
2.8. Successivamente, il militare ha adito il Tribunale civile di Milano, affermando di aver prestato servizio in qualità di appuntato dell’Arma dei carabinieri, di aver contratto, per causa di servizio, la patologia “-OMISSIS-” e di aver pertanto diritto al risarcimento del danno, quantificato in euro 55.353,00, a titolo di danno biologico, in euro 27.676,50, a titolo di danno morale e nella somma ritenuta di giustizia, a titolo di danno esistenziale.
2.9. L’interessato ha allegato, a sostengo della sua domanda, la violazione dell’art. 2087 c.c. da parte del Ministero, che sarebbe consistita nella mancata somministrazione della vaccinazione obbligatoriamente prevista per l’attività svolta.
3. Con la sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. Lombardia ha rigettato la domanda.
3.1. Il Tribunale amministrativo, ravvisato che l’interessato non ha presentato l’istanza per l’ottenimento dell’equo indennizzo, ha statuito che “in assenza della presentazione della domanda di equo indennizzo, non può essere accolto il presente ricorso per risarcimento dei danni subiti dal ricorrente atteso che non si è in grado di individuare quali danni avrebbero potuto essere ristorati con l’ottenimento dell’equo indennizzo e quali avrebbero addirittura potuti essere evitati”.
4. L’interessato ha proposto appello avverso la suindicata sentenza.
4.1. Con un articolato motivo di doglianza l’interessato ha lamentato che la presentazione dell’istanza per il riconoscimento dell’equo indennizzo non assurge a condizione di ammissibilità o di procedibilità della domanda risarcitoria.
4.1.1. Viene rimarcato come l’indennizzo e il risarcimento si fondino su diversi presupposti e siano peraltro ritenuti cumulabili secondo la giurisprudenza che l’appellante indica nell’atto di appello.
4.1.2. Si ribadisce la sussistenza di tutti i presupposti costituitivi della fattispecie risarcitoria, mettendosi in risalto, in particolare, come il nesso di causalità sia pacifico in ragione dei due pareri favorevoli espressi dalla medesima amministrazione.
4.2. Si è costituito in giudizio il Ministero della difesa, resistendo al gravame e domandandone il rigetto.
4.2.1. Nella sua costituzione, tuttavia, il Ministero non ha riproposto l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, già formulata in primo grado.
4.3. Con l’ordinanza n. -OMISSIS-, la Sezione, ritenuta necessaria per decidere la controversia, l’acquisizione di “documentati chiarimenti relativi alla pretesa azionata con particolare riguardo all’infermità dell’appellante, nonché all’an e al quantum della domanda giudiziale”, ha disposto questi incombenti istruttori, disponendo il rinvio del processo all’udienza di discussione dell’11 marzo 2021.
4.4. In adempimento dell’ordinanza collegiale istruttoria, in data 11 dicembre 2020, il Ministero ha depositato la relazione richiesta.
4.5. L’appellante ha, a sua volta, depositato una memoria difensiva in data 8 febbraio 2021.
5. All’udienza dell’11 marzo 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
5.1. Con l’ordinanza n. -OMISSIS-, il Collegio ha disposto una consulenza tecnica finalizzata all’accertamento del danno patito dal ricorrente con riferimento all’entità della menomazione fisica complessiva derivante dall’evento traumatico per cui è causa, con valutazione in termini di percentuale dell’incidenza di esso sulla integrità psico-fisica dell’interessato e conseguente quantificazione del danno subito da determinarsi sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.
5.2. Con l’ordinanza n. -OMISSIS-, il Collegio ha concesso la proroga richiesta dal consulente e ha ulteriormente chiarito, rispondendo all’istanza di quest’ultimo, che la consulenza “implica una valutazione ampia del danno non patrimoniale c.d. biologico, subito dal soggetto, da individuarsi in tutte le sue partizioni, impregiudicata ogni altra valutazione di questo Consiglio”.
5.3. In data 29 dicembre 2021, il consulente ha depositato la consulenza tecnica d’ufficio.
5.4. In data 20 aprile 2022, il Ministero ha depositato una memoria difensiva, nella quale ha insistito per il rigetto dell’appello.
5.5. In data 16 maggio 2021, anche l’appellante ha illustrato le sue deduzioni, tenuto conto anche delle valutazioni contenute nella relazione del consulente d’ufficio, mentre, con la memoria di replica del 26 maggio 2022, ha contro dedotto ad alcune delle difese articolate dall’amministrazione.
6. All’udienza del 16 giugno 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello è fondato e va accolto.
7.1. Erroneamente, il T.a.r. ha statuito che la mancata presentazione, da parte dell’interessato, della domanda per la percezione dell’equo indennizzo, precludesse la possibilità di agire per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2087 c.c.
7.1. Risulta fondata, infatti, la censura di parte appellante secondo cui la presentazione dell’istanza per il riconoscimento dell’equo indennizzo non assurge a condizione di ammissibilità o di procedibilità della domanda risarcitoria, trattandosi di istituti che, pur presentando un’unica finalità compensativa e natura sostanzialmente analoga, presentano, in realtà, presupposti e requisiti di riconoscimento diversi (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 23 febbaio 2018, n. 1, specialmente, § 6.1.1. e 6.3.).
7.2. Accolto pertanto il motivo di impugnazione, deve procedersi all’esame della domanda risarcitoria.
7.3. Si evidenzia, in proposito, che, in linea generale, “l’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano, nell’esercizio di attività imprenditoriale, ad energie lavorative di terzi di adottare, nell’esercizio di tali attività, “misure” idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a “tutelare” l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2020 n. 7560).
7.3.1. Sempre in linea generale, va rammentato che per costante giurisprudenza, ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre spetta al datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ossia di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo, e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. civ., sez. lav., 1 giugno 2020 n. 10404; 6 novembre 2019 n. 28516; 19 ottobre 2018 n. 26495).
7.3.2. Compete, dunque, al lavoratore l’onere di allegazione del fatto costituente l’inadempimento dell’obbligo di sicurezza, nonché la prova del nesso di causalità materiale tra l’inadempimento stesso e il danno da lui subito, mentre sul datore di lavoro graverà l’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento (Cass. civ., sez. lav., 7 luglio 2020 n. 14082; cfr., anche, in generale, Cass.civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533).
7.3.3. L’inquadramento normativo della vicenda necessità un’ulteriore puntualizzazione.
Il Collegio è consapevole e intende ribadire il principio anche con riferimento al caso di specie che, per giurisprudenza costante, il riconoscimento della causa di servizio ai fini della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo ha una portata ontologicamente diversa rispetto all’accertamento del nesso di causalità in sede di responsabilità civile (Cons. Stato, sez. II, 9 marzo 2022, n. 1695; sez. II, 12 maggio 2021, n. 3770; Cass. civ., sez. lav., ord., 23 maggio 2018, n. 12808; 29 gennaio 2013, n. 2038).
7.4. Tuttavia, il caso di specie si connota per la sua spiccata peculiarità.
L’interessato ha infatti puntualmente dedotto le condizioni lavorative ritenute deteriori e foriere della malattia poi insorta, consistenti nello svolgimento del servizio a stretto contatto con i detenuti, alcuni dei quali provenienti da Stati nei quali la malattia della -OMISSIS- (“-OMISSIS-“) è ancora endemica; ha puntualmente allegato l’inadempimento del Ministero circa la predisposizione delle misure necessarie a scongiurare il danno insorto, consistente nella mancata somministrazione del vaccino antitubercolare e ha, infine, fornito la prova di quanto appena rappresentato.
7.4.1. In particolare, dal verbale n. 738 del 23 dicembre 2000 della commissione medica ospedaliera, emerge che “Tenuto conto che risulta dagli allegati rapporti informativi che l’interessato ha avuto a causa del particolare servizio presso il Reparto Servizi Magistratura numerosi contatti e per tempi prolungati con detenuti, spesso di provenienza extracomunitaria, ovvero soggetti da sottoporre a traduzione frequentemente in ambiente confinato. Per quanto sopra si può addivenire a giudizio concessivo.”; parimenti dal verbale n. 27724 del 9 febbraio 2001 della commissione medica di 2° istanza, emerge che “in concordanza con la valutazione espressa, giudica l’infermità di cui al giudizio diagnostico SI DIPENDENTE da causa di servizio. Pur trattandosi di patologia infettiva, la prolungata esposizione alle intemperie ed il vivere in promiscuità, talora in ambienti confinati e con soggetti della più svariata provenienza, nell’adempimento degli obblighi di servizio, hanno sicuramente comportato un rischio aggiuntivo assurgendo a valida e preponderante concorrenza causale.”.
7.4.2. In proposito, si osserva che la giurisprudenza ha affermato che “Con riferimento a una controversia relativa ai danni patiti da un lavoratore in conseguenza di un’infezione contratta per causa di servizio, ove sia stata accertata in sede di equo indennizzo la derivazione causale della patologia dall’ambiente di lavoro, e tale accertamento venga ritenuto utilizzabile dal giudice di merito, opera a favore del lavoratore l’inversione dell’onere della prova prevista dall’art. 2087 c.c., di modo che grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi dell’evento dannoso” (Cass. civ., sez. III, ord., 22 agosto 2018, n. 20889).
7.4.3. A questo principio va affiancato l’altro, vigente in materia, secondo cui “…in tema di illecito civile, il nesso causale ha veste probabilistico-statistica (“più probabile che non”) e non richiede, dunque, quella certezza di contro propria dell’accertamento penale” (Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2020, n. 7560).
7.4.4. Questa prova può essere fornita, altresì, anche attraverso il ricorso all’istituto delle presunzioni semplici di cui all’art. 2929 c.c.
A tale riguardo, l’interessato ha prodotto in giudizio molteplici articoli di giornale che hanno confermato la veridicità e la ricorrenza della condotta ritenuta illecita e foriera dell’evento dannoso.
7.4.5. Invero, nel caso in esame, l’amministrazione non ha convincentemente smentito gli assunti assertivi di parte ricorrente, cosicché può ritenersi favorevolmente raggiunta dall’interessato la prova sull’an della responsabilità dell’amministrazione-datrice di lavoro.
7.5. Relativamente al quantum, nelle conclusioni dell’appello, l’interessato ha domandato: la liquidazione della somma di euro 55.353,00, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di danno biologico; la liquidazione della somma di euro 27.676,50, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di danno biologico, a titolo di danno morale; la liquidazione in via equitativa del danno esistenziale.
7.5.1. Circa la liquidazione delle voci di danno domandate è doveroso premettere, in diritto, che costituiscono oramai jus receptum i principi secondo cui, ancorché il danno non patrimoniale vada risarcito integralmente, ciò non deve dar luogo a duplicazioni risarcitorie, costituendo le varie voci di danno (biologico, morale, esistenziale) soltanto aspetti “descrittivi” dell’unica voce di danno costituita dal danno non patrimoniale, e, inoltre, non sono risarcibili i danni non patrimoniali cc.dd. “bagatellari”, ossia quelli futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975).
7.5.2. Nelle successive applicazione dei suesposti principi, si è avuto modo di puntualizzare che, pur permanendo una distinzione “ontologica” fra il danno c.d. “biologico” e il danno c.d. “morale”, non può essere accordata alcuna variazione in aumento del risarcimento per tenere conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, secondo l’id quod plerumque accidit e, in particolare, per risarcire “l’evidenziata impossibilità di compiere determinati atti fisici a causa dell’invalidità residuata al sinistro che costituisce proprio l’ubi consistam del danno biologico standard”. Sarà onere del danneggiato fornire l’allegazione di tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a comprovare, anche attraverso l’impiego della praesumptio hominis di cui all’art. 2929 c.c., le circostanze in base alle quali giungere alla liquidazione della sofferenza interiore (sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione, così Cass. civ., sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24473) scaturita dal fatto illecito (id est, il danno c.d. morale) o alla “personalizzazione” della menomazione dell’integrità psico-fisica del danneggiato suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (id est, il danno c.d. biologico), tenuto conto, nell’effettuazione di quest’ultima, delle “eccezionali ed affatto peculiari” conseguenze che questa lesione ha prodotto sugli aspetti dinamico-relazionali connessi alla salute (cfr. Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164, specialmente §§ 2.1, 3.1., 3.1.1. e 4.1.1., in un caso riguardante i danni non patrimoniali derivanti da un sinistro automobilistico e con specifico riferimento alla liquidazione del danno in esame prevista nelle tabelle, ma con l’enunciazione di principi che questo Collegio decidente ritiene applicabili al di là della specifica fattispecie e ad ogni ipotesi di liquidazione del danno non patrimoniale).
7.5.3. In sintesi, “In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento” (Cass. civ., Sez. III, ord., 4 novembre 2020, n. 24473).
7.5.4. Quanto poi all’applicazione delle c.d. tabelle milanesi (invero, non espressamente contestata nel presente giudizio), quale criterio equitativo di risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408), il Collegio ritiene possa farsi applicazione dei criteri che la Cassazione ha avuto modo di chiarire di recente (cfr., nuovamente, Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2020, n. 25164, § 3.1.3.) che “nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito dovrà:
1) accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale;
2) in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di quest’ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono (non correttamente, per quanto si dirà nel successivo punto 3) all’indicazione di un valore monetario complessivo (costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno);
3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso, secondo quanto si dirà nel corso dell’esame del quarto motivo di ricorso), considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale;
4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cd. personalizzazione del danno, procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato, analogamente a quanto indicato al precedente punto 3, dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui al già ricordato art. 138, punto 3, del novellato codice delle assicurazioni”.
7.6. In applicazione dei suesposti principi, che il Collegio condivide e ritiene pienamente applicabili alla controversia in decisione, va affermata la concorrenza, relativamente al caso di specie, del danno biologico con quello morale.
7.6.1. Ritiene invece che non sia stata adeguatamente allegata (e, dunque, tantomeno provata) la c.d. “personalizzazione” del danno biologico sofferto dal danneggiato, in quanto nell’appello ci si limita ad affermare che il c.d. “danno esistenziale” è risarcibile perché il ricorrente sarebbe stato leso “nel proprio diritto al lavoro” e “nel proprio diritto alla salute”.
7.7. Per la liquidazione del danno come sopra connotata, il Collegio ritiene applicabili i dati forniti dal c.t.u., il quale ha indicato nella misura del 2/3% la percentuale di invalidità permanente sofferta dal soggetto (quantificata, in valori pecuniari, facendo riferimento alle tabelle milanesi, nella somma di euro 4.097,35), nel periodo di 14 giorni l’inabilità temporanea assoluta e nel periodo di 11 mesi l’inabilità temporanea relativa.
7.8. Quanto alle indicazioni fornite dal consulente tecnico d’ufficio, il Collegio ritiene infondato il rilievo di parte appellante riguardante l’entità della percentuale di invalidità temporanea relativa, avendo il consulente tecnico chiarito le motivazioni per le quali essa è stata quantificata nella misura del 25%, con riferimento a tutto l’arco del periodo di 11 mesi indicato nella suddetta relazione peritale. Con una motivazione congrua e immune da vizi logici, il consulente ha infatti spiegato che si tratta di un’indicazione “di media” che tiene conto dell’aumento e della diminuzione di questo valore nel corso dell’arco di tempo indicato.
7.9. In definitiva, in ragione delle indicazioni provenienti dalla relazione peritale e procedendo alla liquidazione equitativa delle componenti del danno non patrimoniale direttamente quantificate dal c.t.u., il Collegio quantifica il danno non patrimoniale subito dall’odierno appellante in euro 6.000,00, oltre agli interessi legali dalla data della pronuncia di questo Consiglio fino al saldo.
8. In conclusione, l’appello proposto va accolto nei sensi e nei limiti innanzi chiariti, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, va condannato il Ministero della difesa al risarcimento del danno, quantificato nella somma innanzi indicata.
9. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
9.1. Le spese della consulenza tecnica d’ufficio, non contestate nel loro ammontare da alcuna delle parti, che si pongono a carico del Ministero della difesa, si liquidano invece con separato decreto collegiale.
P.Q.M.
accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Condanna il Ministero della difesa alla rifusione, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del giudizio, che liquida in complessivi euro 6.000,00 (seimila/00), oltre spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.