Consiglio di Stato sezione VI sentenza n. 103 depositata il 16 gennaio 2015
N. 00103/2015REG.PROV.COLL.
N. 02516/2013 REG.RIC.
N. 02517/2013 REG.RIC.
N. 01619/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2516 del 2013, proposto da
Studio Associato LP, rappresentato e difeso dagli avvocati Mattia Crucioli, Gabriele Di Paolo e Dover Scalera, con domicilio eletto presso Avvocati Associati Scalera e Di Paolo in Roma, viale Liegi, 35b;
LD, BP, PP, MP e LA, rappresentati e difesi dagli avvocati Mattia Crucioli, Gabriele Di Paolo e Dover Scalera, con domicilio eletto presso Gabriele Di Paolo, in Roma, viale Liegi, 35/B
contro
Fondazione IT, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Callea e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2
nei confronti di
KF s.p.a. in proprio e in qualità di capogruppo mandataria di un R.T.I., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Gennaro Terracciano e Vincenzo Barrasso, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano in Roma, largo Arenula, 34;
R.T.I..-CAE S.r.l.; A. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Santoro, Francesco De Marini e Daniele Vagnozzi, con domicilio eletto presso Daniele Vagnozzi in Roma, Via Giunio Bazzoni, 3
sul ricorso numero di registro generale 2517 del 2013, proposto dallo Studio Associato LP e da LD, BP, PP, MP e LA, rappresentati e difesi dagli avvocati Mattia Crucioli, Gabriele Di Paolo e Dover Scalera, con domicilio eletto presso Avvocati Associati Scalera e Di Paolo in Roma, viale Liegi, 35b;
contro
Fondazione IT, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Callea e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2
nei confronti di
A. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Daniele Vagnozzi, Andrea Santoro e Francesco De Marini, con domicilio eletto presso Daniele Vagnozzi in Roma, Via Giunio Bazzoni 3;
KF s.p.a. in proprio e in qualità di capogruppo mandataria di un R.T.I., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Barrasso e Gennaro Terracciano, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano in Roma, largo Arenula, 34;
R.T.I. – CAE s.r.l., A. s.r.l.
sul ricorso numero di registro generale 1619 del 2014, proposto dallo studio Associato LP, rappresentato e difeso dagli avvocati Mattia Crucioli, Gabriele Di Paolo e Dover Scalera, con domicilio eletto presso Dover Scalera in Roma, viale Liegi, 35/B
contro
Fondazione IT, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Callea e Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2
nei confronti di
KF s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Gennaro Terracciano e Vincenzo Barrasso, con domicilio eletto presso Gennaro Terracciano in Roma, largo Arenula, 34;
CAE s.r.l.; A. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Santoro, Daniele Vagnozzi e Francesco De Marini, con domicilio eletto presso Daniele Vagnozzi in Roma, Via Giunio Bazzoni 3;
I. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Santoro, Francesco De Marini e Daniele Vagnozzi, con domicilio eletto presso Daniele Vagnozzi in Roma, Via Giunio Bazzoni, 3
per la riforma:
quanto al ricorso n. 2516 del 2013, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, n. 314/2013;
quanto al ricorso n. 2517 del 2013, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, n. 315/2013;
quanto al ricorso n. 1619 del 2014, della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria, n. 55/2014.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Fondazione IT, della KF s.p.a., della A. s.r.l. e della I. s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 novembre 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Di Paolo, Clarizia, Terracciano e Vagnozzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
La presente vicenda contenziosa ha ad oggetto la gara di appalto indetta con bando del 27 aprile 2012 dalla Fondazione IT (d’ora in poi: ‘la FIIT’ o ‘l’Istituto appellato’) per l’affidamento del servizio di ‘elaborazione buste paga, gestione dei documenti e degli adempimenti connessi, consulenza in tema di amministrazione del personale’.
Ai fini della presente decisione occorre richiamare alcune delle previsioni della lex specialis di gara. In particolare:
– il punto III.2.1. del bando stabiliva che potessero partecipare alla procedura: a) i consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12; b) gli iscritti agli albi degli avvocati e dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali (ai quali è estesa la riserva di attività in favore dei consulenti del lavoro ai sensi dell’articolo 1 della medesima legge n. 12 del 1979); c) le società di professionisti di cui all’articolo 10 della l. 12 novembre 2011, n. 183. Il bando stabiliva altresì che, nel caso di società (diverse dalle società di professionisti), esse dovessero avere alle proprie dipendenze almeno un soggetto in possesso dei requisiti di cui al punto 1. Pertanto, la lex specialis della procedura ammetteva (sia pure a determinate condizioni) la partecipazione alla gara da parte delle società commerciali diverse dalle società di professionisti di cui alla l. 183 del 2011.
Il nucleo essenziale della presente vicenda contenziosa concerne la legittimità di tale possibilità e la sua conformità con il pertinente paradigma normativo europeo e nazionale;
– il punto III.3.1. del bando stabiliva che “la prestazione del servizio è riservata ad una particolare professione” (e richiamava, a tal fine, la l. 12 del 1979 sulla professione di consulente del lavoro);
– il punto I del capitolato tecnico stabiliva che “[l’aggiudicatario dovrà prestare] la consulenza professionale sulle materie oggetto dell’appalto (…) in particolare in materia contrattuale, previdenziale e fiscale, con riferimento ad ogni tipologia di lavoro (…) e a ogni vicenda ad esse relativa; in occasione di eventuali accertamenti ispettivi, garantendo la presenza si un consulente competente (…); in occasione di vertenze di lavoro; nell’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali e previdenziali (…)”.
Con un primo ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Liguria recante il n. 671/2012 lo Studio Associato LP impugnava l’atto in data 6 luglio 2012 con cui, all’esito delle operazioni di gara, la FIIT aveva inizialmente aggiudicato la gara al R.T.I. K.-E., dopo aver disposto l’esclusione dalla procedura del R.T.I. A.-I..
Con altro ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Liguria recante il n. 638/2012 la società A. s.r.l. (in qualità di capogruppo mandataria del costituendo R.T.I. A.-I.) aveva impugnato il provvedimento del direttore generale della FIIT con cui era stata disposta la sua esclusione dalla procedura del raggruppamento (l’esclusione era stata disposta in quanto la mandante I. s.r.l. non aveva alle sue dipendenze un professionista avente le caratteristiche richieste nel bando e aveva ritenuto di poter ovviare a tale carenza attraverso il ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’arti colo 49 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – modalità, questa, ritenuta inidonea dall’Istituto appellato -).
Con sentenza n. 314 del 20 febbraio 2013 il primo giudice respingeva il ricorso n. 671/2012 proposto dallo Studio Associato LP avverso l’iniziale aggiudicazione in favore del RTI K.-E.. In particolare il Tribunale amministrativo riteneva che, in relazione al pertinente quadro normativo e fattuale, la partecipazione alla procedura per cui è causa non potesse considerarsi riservata a liberi professionisti o a società interamente partecipate da liberi professionisti ai sensi dell’articolo 10 della l. 183 del 2011, ma che fosse stata legittimamente estesa anche a società commerciali (sia pure con la cautela di imporre a queste ultime di avvalersi dell’apporto di professionisti abilitati).
Con sentenza n. 315 pubblicata in pari data il primo giudice accoglieva invece il ricorso n. 638/2012 proposto dalla A. s.r.l. e, per l’effetto, annullava sia il provvedimento di esclusione del R.T.I. A.-I., sia di tutti i successivi atti della procedura (ivi compresa, quindi, l’aggiudicazione medio tempore disposta in favore del R.T.I. K.-E.).
Il primo giudice statuiva al riguardo che la stazione appaltante provvedesse a riesaminare le offerte – tenendo conto anche di quella presentata dal R.T.I. A.-I. – e a rideterminarsi in ordine all’aggiudicazione.
Con il ricorso n. 2516/2013 lo Studio Associato LP ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado n. 314/2013 articolando plurimi motivi.
In particolare, in relazione ai primi tre motivi di ricorso di primo grado l’appellante ha lamentato i vizi di difetto di motivazione, errata valutazione dei presupposti di fatto, erroneità in diritto e difetto di motivazione;
L’appellante ha poi lamentato l’erroneità in fatto e in diritto delle valutazioni che hanno indotto il primo giudice a respingere il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso.
Infine, lo Studio Associato appellante ha chiesto il risarcimento in forma specifica del danno patito attraverso l’aggiudicazione in proprio favore del’appalto o, in subordine, attraverso il ristoro per equivalente.
Nell’ambito del ricorso n. 2516/2013 si sono costituiti:
– la società A. s.r.l. – capogruppo, mandataria del raggruppamento aggiudicatario (la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la società I. s.r.l. – mandante del raggruppamento aggiudicatario (la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la società KF s.p.a. – capogruppo, mandataria del raggruppamento K.-E. (la quale ha anch’essa concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la FIIT (la quale ha a sua volta concluso nel senso della reiezione dell’appello).
Con il ricorso n. 2517/2013 lo Studio Associato LP ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado n. 315/2013 articolando i seguenti motivi:
1) Difetto di motivazione – Omessa delibazione delle tesi di una delle parti in causa;
2) Difetto di motivazione – Errata valutazione dei presupposti di fatto;
3) Erroneità in diritto della sentenza di primo grado – Difetto di motivazione;
L’appellante ha altresì riproposto nella presente sede di appello i motivi del ricorso incidentale già articolati in primo grado e con i quali si era lamentata la mancata esclusione dalla gara di entrambi i raggruppamenti contro interessati.
Nell’ambito del ricorso n. 2517/2013 si sono costituiti:
– la società A. s.r.l. – capogruppo, mandataria del raggruppamento aggiudicatario (la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la società KF s.p.a. – capogruppo, mandataria del raggruppamento K.-E. (la quale ha anch’essa concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la FIIT (la quale ha a sua volta concluso nel senso della reiezione dell’appello).
Successivamente alla proposizione dei richiamati appelli (e nelle more della loro definizione) la FIIT provvedeva in conformità alla sentenza di primo grado n. 315/2013 e conseguentemente, dopo aver riesaminato le offerte – tenendo conto anche di quella presentata dal RTI A.-I., provvedeva ad aggiudicare in via definitiva l’appalto a tale raggruppamento (atto in data 22 maggio 2013).
Il provvedimento di aggiudicazione veniva impugnato dallo Studio Associato LP dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Liguria (ricorso n. 741/2013).
In particolare, lo Studio Associato appellante chiedeva la riforma della sentenza in epigrafe:
– per la parte in cui aveva respinto i primi tre motivi di ricorso (con i quali si era lamentata l’erronea, mancata esclusione dei due raggruppamenti concorrenti i quali erano privi dei requisiti soggettivi di partecipazione);
– per la parte in cui non aveva esaminato il quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo di ricorso (i quali venivano conseguentemente riproposti come motivi di appello).
Alla camera di consiglio del 17 maggio 2013 (fissata in sede di appello per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione degli effetti delle sentenze numm. 314/2013 e 315/2013) lo Studio Associato appellante rinunziava alla domanda cautelare.
Conseguentemente, in data 3 settembre 2013 la FIIT stipulava il contratto di appalto con il RTI A.-I. (la cui durata era fissata sino alla data del 31 dicembre 2016).
Con sentenza 10 gennaio 2014, n. 55 il Tribunale amministrativo regionale della Liguria respingeva il ricorso n. 741/2013, proposto – come si è già detto – avverso gli atti con cui la FIIT, a seguito della riammissione alla gara del RTI A.-I., aveva aggiudicato la gara a tale raggruppamento.
Anche in questo caso il primo giudice respingeva la tesi dello Studio Associato ricorrente secondo cui le prestazioni che costituiscono oggetto della procedura sarebbero riservate ai professionisti di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 ovvero a società costituite da soli professionisti ai sensi dell’articolo 10 della l. n. 183 del 2011.
La sentenza n. 55/2014 è stata impugnata in appello dallo Studio Associato LP il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi che saranno più analiticamente descritti in parte motiva.
Nell’ambito del ricorso n. 1619/2014 si sono costituiti:
– il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro (il quale ha concluso nel senso dell’accoglimento dell’appello);
– la società A. s.r.l. – capogruppo, mandataria del raggruppamento aggiudicatario (la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la società KF s.p.a. – capogruppo, mandataria del raggruppamento K.-E. (la quale ha anch’essa concluso nel senso della reiezione dell’appello);
– la FIIT (la quale ha a sua volta concluso nel senso della reiezione dell’appello).
Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 i tre ricorsi in appello sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 2516/2013 proposto dallo Studio Associato LP, studio professionale attivo nel settore della consulenza del lavoro ai sensi della l. 11 gennaio 1979, n. 12 (Norme per l’ordinamento della professione di consulente del lavoro) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 314/2013 con cui è stato respinto il ricorso proposto avverso gli atti con cui la Fondazione IT (d’ora innanzi: ‘la FIIT’ o ‘l’Istituto appellato’) ha inizialmente aggiudicato al raggruppamento temporaneo composto dalla società KF s.p.a. – mandataria – e dalla società CAE s.r.l. – mandante – (d’ora in poi: il RTI K.-E.) un appalto di servizi avente ad oggetto l’affidamento del servizio di ‘elaborazione buste paga, gestione dei documenti e degli adempimenti connessi, consulenza in tema di amministrazione del personale’.
Giunge, inoltre, alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 2517/2013 proposto dallo stesso studio associato avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 315/2013 con cui è stato accolto il ricorso proposto dal raggruppamento temporaneo composto dalla società A. s.r.l. – mandataria e dalla società I. s.r.l. – mandante (d’ora in poi: il RTI A.-I.) e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui la FIIT aveva inizialmente escluso tale raggruppamento dalla gara di cui sopra. Con la sentenza è stato, altresì, respinto il ricorso incidentale con cui lo studio Lupi-Puppo aveva richiesto che fosse disposta l’esclusione dalla gara del RTI A.-I. per ragioni ulteriori e diverse da quelle individuate dalla FIIT.
Giunge, infine, alla decisione del Collegio il ricorso in appello n. 1619/2014 proposto dal richiamato studio professionale avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 55/2014 con cui è stato respinto il ricorso proposto avverso gli atti con cui la Fondazione IT ha infine aggiudicato la gara per cui è causa al RTI A.-I. (il quale era stato medio tempore riammesso alla gara per effetto di un provvedimento giurisdizionale).
2. I tre ricorsi in epigrafe devono essere decisi in modo congiunto, sussistendo evidenti ragioni di connessione di ordine oggettivo e in parte soggettivo (articolo 70 Cod. proc. amm.).
3. Qui si seguito si analizzano i motivi del ricorso in appello n. 1619/2014 (la cui articolazione, per le ragioni che fra breve si esporranno, risulta dirimente ai fini della definizione del giudizio).
Con il primo motivo di appello (‘Erroneità della sentenza appellata in relazione ai primi tre motivi di ricorso’) l’appellante lamenta che il primo giudice ha erroneamente interpretato il contenuto della lex specialis di gara in relazione al pertinente quadro normativo il quale riserva a particolari professioni caratterizzate da un albo professionale (o alle società partecipate esclusivamente da professionisti abilitati) l’espletamento dei servizi che costituivano oggetto dell’appalto.
Vero è – sottolinea l’appellante – che alcune di tali attività possono essere considerate escluse dalla riserva legale (ci si riferisce, in particolare, alle operazioni materiali di calcolo e stampa dei cedolini paga); ma è pur vero che la maggior parte delle ulteriori e diverse attività previste dalla lex specialis di gara richiedono attività di carattere valutativo e il possesso di specifiche nozioni lavori stico-previdenziali.
Pertanto, stante il carattere unitario e indivisibile delle attività oggetto della prestazione, doveva ritenersi che l’intero novero delle attività poste a gara fosse da considerare riservato alle specifiche figure professionali richiamate dall’articolo 1 della l. n. 12 del 1979, nonché alle società partecipate unicamente da tali figure professionali.
L’appellante lamenta, poi, l’erroneità della sentenza per la parte in cui (richiamando quanto già affermato dal primo giudice con le sentenze numm. 314/2013 e 315/2013) ha affermato il principio secondo il quale qualunque tipo di società commerciale potrebbe partecipare ad appalti pubblici aventi ad oggetto prestazioni riservate agli iscritti ad ordini professionali, all’unica condizione di avvalersi in concreto delle prestazioni di professionisti abilitati (in particolare, assumendoli alle proprie dipendenze).
Al riguardo l’appellante osserva:
– che la riserva prevista dall’ordinamento nazionale non viola in alcun modo il pertinente paradigma normativo comunitario;
– che, in particolare, una siffatta riserva è finalizzata –inter alia – a soddisfare l’interesse generale all’ottimale espletamento di tali attività e al libero esercizio delle arti e delle scienze;
– che, al contrario, l’adesione al principio affermato dal primo giudice si porrebbe in contrasto con il quinto comma dell’articolo 33 della Costituzione;
– che, ancora, l’adesione al richiamato principio violerebbe il principio del carattere strettamente personale della prestazione professionale (sancito, con previsione di principio, dall’articolo 2232 Cod. civ.) e il connesso principio della responsabilità personale del professionista
– che l’ordito costituzionale ammette la figura delle società partecipate unicamente da iscritti ad albi professionali – ai sensi dell’articolo 10 (Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti) della l. 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2012))) – in quanto figura compatibile con il principio della riserva dell’iscrizione all’albo professionale, ma non ammetterebbe che l’esercizio di attività riservate agli iscritti ad albi professionali possa essere consentito a società commerciali, neppure nel caso in queste ultime si avvalgano in concreto dell’apporto di professionisti abilitati;
A tacer d’altro, poi, il primo giudice avrebbe omesso di considerare che l’oggetto sociale delle società mandanti di entrambi i raggruppamenti appellati (I. s.r.l. e ERGON s.r.l.) non contempla lo svolgimento di attività quali quelle che costituiscono oggetto della gara per cui è causa.
Ancora, con l’appello n. 1619/2014 lo Studio Associato LP lamenta che, nel pronunciare la sentenza n. 55/2014 il primo giudice non abbia in alcun modo esaminato:
– il quarto motivo di ricorso (con cui si era osservato che il R.T.I. A.-I. avrebbe dovuto essere escluso dalla procedure per violazione delle disposizioni della lex specialis di gara in tema di necessario possesso del requisito di fatturato specifico);
– il quinto motivo di ricorso (con cui si era osservato che il R.T.I. A.-I. avesse fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento dei requisiti professionali di un iscritto all’albo dei dottori commercialisti in assenza dei relativi presupposti legali);
– il sesto motivo di ricorso (con cui si era osservato che il R.T.I. K.-E. avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura per violazione delle disposizioni in materia di requisiti di ordine generale – articolo 38 del Codice dei contratti pubblici – in relazione alla figura dei procuratori speciali);
– il settimo motivo di ricorso (con cui si era osservato che sia il R.T.I. A.-I., sia il R.T.I. K.-E. avrebbero dovuto essere esclusi dalla procedura per violazione del punto 6.4.b) del disciplinare di gara per carenza di un requisito ivi previsto a pena di esclusione – si tratta dello svolgimento, negli ultimi dodici mesi, di pratiche di immigrazione -);
– l’ottavo motivo di ricorso (con cui si era osservato che il R.T.I. K.-E. avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura per violazione del punto 6.4.d) del disciplinare di gara – “[aver avuto] nel corso dei tre anni antecedenti la pubblicazione del bando (…) almeno 3 clienti con più di 250 dipendenti, ed almeno un cliente con più di 500 dipendenti”-).
4. Il Collegio ritiene dirimente ai fini del decidere la questione se, in relazione alla tipologia di servizi che costituivano oggetto della procedura per cui è causa, fosse legittimamente superabile, in sede di predisposizione della lex specialis di gara, la riserva di attività prevista dal primo comma dell’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 (secondo cui “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro a norma dell’articolo 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra”).
In particolare, occorre stabilire se fosse legittima la previsione della lex specialis di gara (punto III.2.1. del bando) che ammetteva alla partecipazione non solo i professionisti espressamente menzionati dalla disposizione appena richiamata (ovvero le società composte unicamente da tali professionisti ai sensi dell’articolo 10 della l. n. 183 del 2011) ma anche le società commerciali diverse da quelle di cui alla l. n. 183, cit. (sia pure alla condizione di avere alle proprie dipendenze almeno un professionista abilitato ai sensi della richiamata l. n. 12 del 1979).
E’ evidente al riguardo che, laddove fosse confermata la tesi dello Studio Associato appellante secondo cui il primo giudice avrebbe erroneamente ammesso una – illegittima – deroga alla richiamata riserva dell’iscrizione all’albo professionale, dovrebbero trovare accoglimento i motivi di appello con cui si era chiesta l’esclusione dalla gara dei due raggruppamenti concorrenti (K.-E. e A.-I.) con la conseguenza che la procedura per cui è causa non potrebbe che essere aggiudicata allo Studio Associato appellante.
5. A ben vedere, la corretta impostazione della questione impone di risolvere, in sequenza logica, i seguenti interrogativi:
a) se, effettivamente, la tipologia di prestazioni previste dalla lex specialis di gara fosse riconducibile alle attività riservate ai sensi della l. n. 12 del 1979, cit.;
b) in caso affermativo, se fosse conforme alla normativa nazionale la clausola del bando che, ammettendo la partecipazione alla gara delle società commerciali diverse da quelle di cui all’articolo 10 della l. n. 183 del 2011, consentiva di derogare (secondo le modalità indicate) a tale riserva;
c) in caso negativo, se la riserva al riguardo prevista dall’ordinamento nazionale sia o meno compatibile con l’ordinamento costituzionale e con i principi dell’ordinamento europeo.
5.1. Ora, per quanto riguarda il primo quesito sia la sentenza impugnata che l’appellata A. sottolineno che l’oggetto principale dell’appalto per cui è causa non sarebbe riconducibile alla più volte richiamata riserva dell’iscrizione all’albo professionale, ma rientrerebbe – piuttosto – nel campo delle semplici “operazioni di calcolo e stampa” dei cedolini paga (si tratta di un’attività che, ai sensi del quinto comma dell’articolo 1 della l. n. 12 del 1979, può legittimamente essere svolta da centri di elaborazione dati, alla sola condizione di essere assistiti da uno o più dei professionisti iscritti agli albi di cui alla medesima l. 12 del 1979).
Ad avviso del Collegio l’eccezione non può essere condivisa, dovendosi – piuttosto – ritenere che fra le attività che costituivano oggetto dell’appalto rientrassero (sia pure in modo non esclusivo) taluni servizi il cui espletamento risulta allo stato riservato agli iscritti alle particolari professioni di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979.
Ci si riferisce, in particolare:
– “all’adeguamento delle buste paga a seguito di eventuali variazioni retributive e normative” (il quale presuppone un’attività di contestualizzazione normativa cui sono sottese valutazioni di carattere tecnico-giuridico non espletabili in via automatica);
– “[all’]assolvimento degli adempimenti presso gli enti pubblici territorialmente competenti coinvolti nella gestione dei rapporti di lavoro (es.: istituti previdenziali, assicurativi, Direzione Territoriale del Lavoro, Agenzia delle Entrate ecc.), mediante redazione, consegna, accesso presso gli uffici o invio telematico della documentazione dovuta all’ente pubblico competente da parte del Fornitore”. Anche in questo caso si tratta di attività di carattere complesso e articolato, che non si esauriscono evidentemente nel mero compimento di operazioni materiali di calcolo, ma ricadono nella generale – e residuale – categoria degli “adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale”, per i quali opera la riserva dell’iscrizione agli albi professionali di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979;
– alla “attività di consulenza per l’amministrazione del personale” con particolare riguardo a quelle da fornire “in occasione di eventuali accertamenti ispettivi, garantendo la presenza di un consulente competente presso la Fondazione entro 24 ore dall’inoltro della richiesta” e “in occasione di vertenze di lavoro”.
E’ evidente che, in tutte le ipotesi richiamate, l’attività richiesta all’aggiudicatario non si limitasse allo svolgimento delle operazioni di mero calcolo e stampa dei cedolini (nonché a quelle meramente strumentali ed accessorie) per le quali il quinto comma dell’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 consente che la prestazione possa essere svolta da centri di elaborazione dati (è da ritenere, costituiti anche in forma di società commerciali) purché “assistiti” da un o più soggetti iscritti agli albi di cui al primo comma dell’articolo 1 della legge medesima.
Al contrario, lo svolgimento delle attività in parola presupponeva lo svolgimento di attività di carattere intellettuale implicanti l’acclarato possesso di specifiche cognizioni lavoristico-previdenziali (attività per il cui svolgimento opera la più volte richiamata riserva dell’iscrizione agli albi professionali di cui alla l. n. 12 del 1979).
5.1.1. Né a conclusioni diverse può giungersi in relazione all’osservazione per cui, nell’economia complessiva del contratto pubblico per cui è causa, il valore ponderale delle attività per cui opera la riserva di cui si tratta fosse comparativamente ridotto (al riguardo, la società A. ha osservato che il 96 per cento circa del corrispettivo dell’appalto riguardasse operazioni di mero calcolo e stampa dei cedolini, che possono legittimamente essere svolte da un qualunque centro di elaborazione dati – alla sola condizione di essere assistito da un professionista abilitato -).
Al riguardo (anche ad ammettere la correttezza della richiamata quantificazione percentuale) si osserva:
– che le attività costituenti l’oggetto dell’appalto per cui è causa presentavano carattere unitario e inscindibile e che, in tale ambito, quelle il cui svolgimento risultava riservato ai professionisti abilitati non risultavano scorporabili;
– che il comma 1 dell’articolo 39 del Codice dei contratti pubblici (in tema di ‘Requisiti di ordine professionale’) consente di riservare la partecipazione alle gare di appalto agli iscritti “[ai] competenti ordini professionali”. Si tratta, del resto, di una possibilità espressamente riconosciuta dall’articolo 46 della direttiva 2004/18/CE (che ammette tali forme di riserva di attività a condizione che sia garantito il rispetto del principio di mutuo riconoscimento) e già in precedenza contemplata dall’ordinamento nazionale (il quale già in passato aveva previsto disposizioni in tutto analoghe a quella dell’attuale articolo 39 – es.: l’articolo 15 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157 (Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi) e l’articolo 12 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358 (Testo unico delle disposizioni in materia di appalti pubblici di forniture, in attuazione delle direttive 77/62/CEE, 80/767/CEE e 88/295/CEE) );
– che, in effetti, il punto III.3.1. del bando di gara stabiliva che “la prestazione del servizio è riservata ad una particolare professione” (richiamando a tal fine le previsioni di cui alla l. 12 del 1979);
– che, per le ragioni che fra breve si esporranno, non può ritenersi che il rispetto della riserva ordinistica potesse nel caso in esame dirsi in qualche modo ‘surrogato’ dalla circostanza per cui i raggruppamenti appellati potessero assicurare di avvalersi dell’ausilio di professionisti abilitati;
– che, al livello europeo, la possibilità di avvalersi delle capacità di altri soggetti ai fini della partecipazione alle gare può essere invocata in relazione alla capacità economica e finanziaria (articolo 47 della c.d. direttiva sugli appalti nei ‘settori classici’ n. 2004/18/CE) e alle capacità tecniche e professionali (ivi, articolo 48), ma non può essere invocata in ordine alla diversa ipotesi dell’abilitazione all’esercizio dell’attività professionale (ivi, articolo 46), in assenza di una disposizione comunitaria la quale estenda a tale ambito le facoltà – di eccezione – di cui agli articoli 47 e 48.
5.2. Pertanto, in ordine ai due quesiti dinanzi richiamati sub a) e b), si deve concludere:
a) che, effettivamente, la tipologia di servizi previsti dalla lex specialis di gara fosse riconducibile alle attività riservate ai sensi della l. n. 12 del 1979;
b) che la clausola del bando che consentiva di derogare a tale riserva (ammettendo alla partecipazione anche le società commerciali, a condizione di avere alle proprie dipendenze almeno un professionista abilitato) risultava illegittima per violazione della riserva legale di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979, nonché per violazione del più generale divieto di esercitare attività libero professionali nella forma di società commerciali diverse da quelle di cui all’articolo 10 della l. 183 del 2011 (sul punto si rinvia a quanto sarà esposto nel proseguo).
Al riguardo (rinviando al prosieguo la questione se la riserva di iscrizione all’albo professionale risulti conforme al pertinente quadro costituzionale ed eurounitario) vale osservare che l’articolo 1 – commi primo e quinto – della l. n. 12 del 1979, letto in combinato disposto con l’articolo 10, cit., va inteso nel senso di non consentire la partecipazione di una gara di appalto di servizi avente ad oggetto lo svolgimento di prestazioni per le quali opera la riserva di iscrizione all’albo professionale da parte di società commerciali diverse da quelle costituite ed operanti ai sensi del richiamato articolo 10, pur se le società assicurino che le attività professionali saranno effettivamente espletate – come assicurato dal R.T.I. K.-E. e dal R.T.I. A.-I. – da un professionista legato alle società da un rapporto di lavoro subordinato.
Infatti, allo stato dell’ordinamento nazionale (e prescindendo da modelli del tutto peculiari che qui non rilevano come le società tra avvocati di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96 o le società di ingegneria di cui all’articolo 90, comma 2, lettera b) del Codice dei contratti pubblici), si ritiene che il modello delle società fra professionisti di cui all’articolo 10 della l. 183 del 2011 costituisca la sola forma ammessa di esercizio in forma societaria delle professioni intellettuali di cui al Libro V – Titolo IV – Capo II del Codice civile (in virtù di questo modello è stato superato il generalizzato divieto di prestazione professionale in forma societaria o simili, già sancito dall’articolo 2 della l. 23 novembre 1939, n. 1815 (Disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza)).
Al contrario, non può essere condivisa la tesi del primo giudice secondo cui l’abrogazione (implicita) della l. n. 1815 del 1939 e delle preclusioni ivi contenute avrebbe determinato una sostanziale liberalizzazione dell’esercizio delle attività dei professionisti abilitati, consentendo in modo pressoché indifferenziato che esse possano essere espletate da società commerciali, purché si avvalgano in concreto, almeno in parte, dell’apporto di professionisti abilitati.
Si osserva al riguardo:
– che la l. n. 183 del 2011 non ha comportato il richiamato effetto di integrale liberalizzazione (il quale – come si vedrà fra breve – non risulta imposto dalle norme o dai principi costituzionali né dall’ordinamento europeo), ma ha soltanto previsto la possibilità di esercitare attività professionali specifiche (che richiedono un previo vaglio attitudinale e la conseguente iscrizione a un apposito albo). Queste attività restano comunque tali e perciò rimangono regolamentate in quei sensi, anche se possono ora essere esercitate secondo moduli organizzativi in parte nuovi e comunque a talune speciali condizioni.
Laddove si aderisse all’opposta tesi (proposta dal R.T.I. appellato e condivisa dal primo giudice) si finirebbe per stravolgere la ratio stessa dell’articolo 10 della l. n. 183 del 2011, trasformandolo da intervento normativo volto a regolare e in parte modulare la riserva di iscrizione all’albo professionale (il ‘sistema ordinistico’, nel linguaggio di quel comma 3) in un intervento in definitiva volto a rimuovere del tutto tale riserva, con quanto essa implica in termini di garanzia della qualità professionale. Il che sarebbe in patente contrasto sia con la lettera del comma 3, che con la voluntas legis della disposizione;
– che, in particolare, la l. n. 183 del 2011 ha assoggettato la possibilità di esercitare le professioni regolamentate in forma societaria alla triplice condizione: i) che l’esercizio dell’attività professionale sia riservato in via esclusiva ai soci (si tratta di una condizione non soddisfatta nel caso, che qui ricorre, in cui il professionista sia soltanto dipendente della società); ii) che il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti sia tale da determinare la maggioranza di (almeno) due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci (si tratta di una condizione che non risulta soddisfatta nel caso in esame); iii) che la designazione del socio professionista incaricato dell’attività professionale in senso proprio sia comunque effettuata dall’utente e che, in mancanza di tale designazione, il nominativo del professionista sia previamente comunicato per iscritto all’utente (anche in questo caso si tratta di una condizione evidentemente non soddisfatta, non risultando che il fruitore finale del servizio potesse scegliere il professionista che avrebbe in concreto reso l’attività riservata);
– che il sistema normativo delineato dalla l. n. 183 del 2011 rappresenta un ragionevole (e non ulteriormente superabile in via interpretativa) punto di equilibrio fra: a) (da un lato) l’esigenza di consentire l’esercizio di attività professionali attraverso moduli organizzativi e gestionali di natura societaria e b) (dall’altro) l’esigenza di salvaguardare comunque alcuni dei caratteri indefettibili che caratterizzano, anche riguardo ai principi ricavabili dall’articolo 33, quinto comma, Cost., l’esercizio delle attività proprie di ‘sistemi ordinistici’. Fra questi, in primis, rimane fermo il carattere eminentemente personale – in ragione dell’essenzialità della fiducia che deve intercorrere con il cliente – della prestazione professionale e delle inerenti responsabilità: il che è di insuperabile ostacolo a una incondizionata e totale assimilazione al modello proprio dello ‘schermo societario’;
– che l’articolo 3 (Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche) del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 14 settembre 2011, n. 148, che ha generalizzato il principio secondo cui “l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge” – , ha fatto salve le peculiarità proprie del ‘sistema ordinistico’ (comma 5 e seguenti) e le modalità attraverso cui si esplicano le relative attività. Infatti, il medesimo articolo 3, comma 6, ha stabilito che “fermo quanto previsto dal comma 5 per le professioni, l’accesso alle attività economiche e il loro esercizio si basano sul principio di libertà di impresa”;
5.3. Concludendo sul punto deve confermarsi la non conformità a legge della clausola della lex specialis impugnata in primo grado, che derogava alla riserva legale di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 e violava il divieto di esercitare attività libero professionali nella forma di società commerciali diverse da quelle di cui all’articolo 10 della l. 183 del 2011.
6. Occorre questo punto vagliare se la riserva legale al riguardo prevista dall’ordinamento nazionale sia o meno compatibile con l’ordinamento costituzionale e con i principi dell’ordinamento europeo.
6.1. Quanto al primo aspetto, non può che confermarsi qui quanto già anticipato retro, sub 5: il particolare sistema delineato dall’articolo 10 della l. n. 183 del 2011 non comporta il superamento della riserva legale di attività, che ha fondamento nella previsione di cui all’articolo 33, quinto comma, Cost. circa l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale. Nemmeno può ritenersi che la possibilità, prevista da quella norma di legge, di esercitare le professioni regolamentate in forma societaria rappresenti un corollario di un più ampio principio (che non è desumibile dalla letterae dalla ratio della disposizione) secondo cui sarebbe possibile esercitare quelle attività professionali da parte di società commerciali, munite dell’unica cautela di avvalersi di un professionista abilitato quale lavoratore dipendente.
La disposizione non contempla tale possibilità e non risulta in contrasto con alcun parametro costituzionale, in primis con quello di libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41, primo comma, Cost.. Anzi, la disposizione, nell’enfatizzare il carattere personale della prestazione professionale e gli inerenti profili di responsabilità, delinea in modo ragionevole e non lesivo di alcun limite esterno all’interpositio legislatoris i confini applicativi del caratteristico esercizio delle professioni liberali per come riconosciute dall’articolo 33, quinto comma, Cost..
6.2. Una volta chiarito che la normativa nazionale (e segnatamente l’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 in combinato disposto con l’articolo 10 della l. n. 183 del 2011) non consente il superamento della riserva dell’iscrizione all’albo professionale (in particolare, non consente che le attività riservate ai professionisti abilitati possano essere esercitate da società di commerciali, quand’anche abbiano come lavoratori dipendenti uno o più professionisti abilitati), occorre vagliare se un tale sistema appaia in contrasto con le pertinenti disposizioni dell’ordinamento eurounitario.
In particolare, l’appellato R.T.I. A. ha affermato (in adesione a quanto statuito dal primo giudice) che la tesi secondo cui soltanto le società commerciali costituite da professionisti possono svolgere le attività riservate a questi ultimi (e comunque, la tesi secondo cui solo i professionisti che abbiano al contempo lo status di socio possono svolgere le attività riservate) risulterebbe sotto più aspetti lesiva dei principi dell’ordinamento europeo.
Segnatamente, la tesi risulterebbe in contrasto: a) con le disposizioni in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (articoli 49 e 56 del TFUE); b) con i principi enunciati dalla Corte di giustizia con la sentenza 17 ottobre 2002 in causa C-79/01 (si tratta di una sentenza relativa – appunto – alla conformità con l’ordinamento europeo della riserva dell’iscrzione all’albo di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979).
6.2.1. Il Collegio osserva che il quadro normativo nazionale, manifestamente e inequivocamente, non presenta sotto i richiamati aspetti alcun profilo di contrasto con l’ordinamento europeo e che, quindi, anche sotto tale aspetto le sentenze in epigrafe devono essere riformate.
Va premesso al riguardo che la disciplina sostanziale delle professioni regolamentate e delle relative modalità di esercizio non costituisce oggetto, allo stato attuale dell’ordinamento europeo, di misure di armonizzazione o di ravvicinamento delle legislazioni (in assenza, peraltro, di una disposizione che, al livello di Trattati istitutivi, ne preveda l’adozione).
Al contrario, specifiche misure di ravvicinamento delle legislazioni hanno sinora riguardato la sola materia del riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in altri Stati membri (si tratta della direttiva 2005/36/CE, recepita nell’ordinamento nazionale con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206).
Si osserva, tuttavia, che ai sensi della direttiva «l’esercizio [delle professioni liberali] negli Stati membri può essere oggetto, a norma del trattato, di specifici limiti legali sulla base della legislazione nazionale e sulle disposizioni di legge stabilite autonomamente, nell’ambito di tale contesto, dai rispettivi organismi professionali rappresentativi, salvaguardando e sviluppando la loro professionalità e la qualità del servizio e la riservatezza dei rapporti con i clienti» (ivi, 43° considerando).
Il Collegio ritiene che la preclusione nei confronti delle ordinarie società commerciali all’esercizio di attività riservate a professionisti abilitati sia proporzionata e adeguata al fine di preservare l’autonomia e indipendenza di giudizio del professionista e il carattere personale della relativa responsabilità (i quali rappresentano, a loro volta, elementi fondanti per garantire la professionalità e la qualità del servizio reso dal professionista, secondo quanto riconosciuto dallo stesso ordinamento europeo).
6.2.2. Si osserva inoltre che le asserite violazioni del diritto di libertà di stabilimento (articolo 49 del TFUE) e di libera prestazione dei servizi (articolo 56 del TFUE) potrebbero a giusto titolo essere invocate laddove venisse qui in rilievo una vicenda di carattere transfrontaliero (il che non è), ovvero laddove fosse dimostrato che altri ordinamenti nazionali –coeteris paribus – consentono la prestazione di servizi professionali da parte di società commerciali alla sola condizione di avere quale dipendente un professionista abilitato (circostanza – questa – che non è stata allegata).
Ma anche a prescindere da quanto appena rilevato, si osserva:
– che, per quanto riguarda il principio di libertà di stabilimento, l’articolo 49, secondo comma, TFUE impone a ciascuno Stato membro di applicare nei confronti del professionista di altro Stato membro che intende esercitare tale diritto le medesime condizioni di accesso e di esercizio previste per gli operatori nazionali e non anche condizioni diverse o di maggior favore. Ebbene, nel caso in esame non è stato allegato che il contenuto della particolare modalità di regolazione della riserva dell’iscrizione all’albo di cui all’articolo 10 della l. n. 183 del 2011 sia tale da riservare ai professionisti di altri Stati membri un trattamento diverso – e meno favorevole – rispetto a quello riservato ai professionisti nazionali;
– che, per quanto riguarda il principio di libera prestazione dei servizi, l’ordinamento europeo non postula l’applicazione del principio c.d. ‘del Paese d’origine’ in ordine ai requisiti per l’esercizio delle attività liberoprofessionali, e che le misure adottate dal Paese di destI.ione ai fini dell’esercizio di tali attività possono essere dichiarate contrarie al principio di libera prestazione dei servizi solo laddove si dimostri che esse risultano comunque idonee ad imporre ingiustificate restrizioni della libera prestazione dei servizi medesimi (in tal senso l’articolo 62 del TFUE in relazione al precedente articolo 52). Ebbene si torna ad osservare che la riserva di attività in favore dei professionisti abilitati di cui al combinato disposto dell’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 in relazione all’articolo 10 della l. n. 183 del 2011, oltre a non comportare alcuna disparità di trattamento fra imprese stabilite in Italia e in altri Paesi dell’Unione, risulta giustificata da ragioni di preminente interesse generale (quelle volte a validare e garantire verso tutti i potenziali clienti in massimo grado la professionalità e la qualità del servizio che rende il professionista – attraverso la personalità della prestazione e la connessa responsabilità individuale -, secondo quanto riconosciuto dallo stesso ordinamento europeo).
6.2.3. Non risulta, inoltre conferente con il thema decidendum la sentenza della Corte di giustizia 17 ottobre 2002 in causa C-79/01 (Payroll).
La sentenza non riguarda, infatti, la riserva di attività di cui all’articolo 1, primo comma, della l. 12 del 1979, ma la diversa previsione di cui all’articolo 1, quinto comma (si tratta dello “svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti di cui al primo comma, [nonché della] esecuzione delle attività strumentali ed accessorie”).
Nell’occasione, la Corte di giustizia ha affermato che l’articolo 43 CE (oggi: articolo 49 del TFUE) deve essere interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro (si tratta delle previsioni italiane nell’assetto anteriore alle modifiche apportate dall’articolo 5-ter dal decreto-legge 15 febbraio 2007, n. 10 (Disposizioni volte a dare attuazione ad obblighi comunitari ed internazionali, convertito con modificazioni dalla l. 6 aprile 2007, n. 46) che impone alle imprese con meno di 250 addetti che intendano affidare l’elaborazione e la stampa dei cedolini paga a centri esterni di elaborazione dati di avvalersi solo di centri costituiti e composti esclusivamente da persona iscritte a un determinato albo professionale in quello Stato membro, quando, in virtù di quella stessa normativa, le imprese con più di 250 addetti possono affidare tali attività a centri esterni di elaborazione dati alla sola condizione che questi siano assistiti da una o più delle dette persone.
Ebbene, le statuizioni al riguardo rese dalla Corte di giustizia non sono conferenti ai fini che qui rilevano in quanto nel caso essa era stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto dell’Unione europea di una disposizione nazionale (il richiamato articolo 1 della l. n. 12 del 1979, nella formulazione vigente sino al febbraio del 2007) che sembrava riservare agli esercenti particolari professioni riservate anche attività meramente materiali quali quelle relative alla predisposizione dei cedolini paga (il che, nella prospettazione del giudice rimettente avrebbe comportato una violazione del principio di proporzionalità e, in via mediata, del principio di libera prestazione dei servizi, concretandosi in una misura eccedente quanto necessario per garantire la qualità della prestazione a tutela dei lavoratori).
Tuttavia, per le ragioni dinanzi esposte, nella presente vicenda contenziosa viene dedotta la ben diversa questione della conformità al diritto europeo di una previsione (quella di cui al più volte richiamato articolo 1, primo comma) che riserva ai professionisti abilitati un’attività dal contenuto ben più complesso, la cui consistenza oggettiva ben giustifica una riserva di iscrizione all’albo finalizzata al conseguimento di obiettivi di interesse generale.
Del resto, la stessa giurisprudenza della Corte di giustizia ha riconosciuto che la tutela dei lavoratori rientra fra le ragioni obiettive di interesse generale che giustificano sinanche restrizioni alle libertà fondamentali del Trattato (sul punto –ex multis -: Corte di giustizia, sentenza 25 ottobre 2001 in causa C-49/98; id., sentenza 24 gennaio 2002 in causa C-164/99), ragione per cui può ben ritenersi che simili ragioni di tutela possano giustificare una limitata (e, peraltro, non pacifica) limitazione al principio di libera prestazione dei servizi.
Da ultimo (ma con notazione di non minore importanza) si osserva che, secondo quanto stabilito della richiamata sentenza Payroll (punto 34 della motivazione), resta comunque rimessa al giudice nazionale la valutazione in ordine all’idoneità delle misure normative nazionali a soddisfare in modo proporzionato e non discriminatorio le richiamate finalità di interesse generale (e, segnatamente, la qualità della prestazione a tutela dei lavoratori).
Ebbene, le prescrizioni e le parziali limitazioni di cui all’articolo 1 della l. n. 12 del 1979 e di cui all’articolo 10 della l. n. 183 del 2011 appaiono del tutto compatibili con i principi comunitari di libera circolazione, libera prestazione e parità di trattamento, posto che non introducono rispetto a quelli limitazioni eccessive e non proporzionate rispetto a quanto necessario per il conseguimento delle richiamate finalità di interesse generale.
Ciò in quanto il vigente quadro normativo riserva ai professionisti iscritti ad albi attività caratterizzate da apprezzabile complessità (quali quelle di cui al contratto per cui è causa), mentre consente che ulteriori e diversi soggetti (fra cui le società commerciali) possano svolgere attività caratterizzate da minore complessità e, in ultima analisi, di carattere meramente compilativo.
7. In base a quanto sin qui osservato, i tre ricorsi in epigrafe devono essere accolti in relazione al dirimente rilievo secondo cui sia il R.T.I. A.-I., sia il R.T.I. K.-E. avrebbero dovuto essere esclusi dalla gara di cui in narrativa.
Ciò esime il Collegio dal puntuale esame degli ulteriori motivi di ricorso (già disattesi ovvero non esaminati dal primo giudice e qui puntualmente riproposti) con i quali si è lamentata l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado in ciascuno dei (tre) richiamati ricorsi.
Pertanto, la gara avrebbe dovuto essere aggiudicata, in base a quanto appare dagli atti processuali, all’appellante Studio Lupi-Puppo.
8.1 Per quanto riguarda la soddisfazione in forma specifica del pregiudizio conseguente alla mancata stipula del contratto, il Collegio ritiene che, valutate le circostanze di cui all’articolo 122 del Codice del processo amministrativo e ricorrendo i relativi presupposti applicativi, debba essere disposta l’inefficacia del contratto di appalto stipulato in data 3 settembre 2013 e il subentro in esso da parte dello Studio appellante (il quale ha espressamente espresso domanda in tal senso) a far data dalla comunicazione della presente sentenza e fino alla scadenza naturale, già fissata al 31 dicembre 2016.
8.2. Per quanto riguarda, invece, il pregiudizio economico patito per il periodo compreso fra la stipula del contratto e la data di comunicazione della presente sentenza, si ritiene che esso debba essere ristorato nella misura del 3 (tre) per cento dell’offerta economica effettiva parametrata alla durata del periodo , avuto riguardo:
– per un verso alla mancata dimostrazione, da parte dell’appellante, di non aver potuto altrimenti utilizzare le proprie risorse, in quanto tenute a disposizione in vista dell’esecuzione del contratto. E infatti, secondo un condiviso orientamento, in difetto di tale dimostrazione, deve presumersi che impresa o il professionista abbiano riutilizzato le risorse destinandole ad altre attività a titolo di aliunde perceptum (in tal senso –ex multis -: Cons. Stato, IV, 11 novembre 2014, n. 5531);
– per altro verso, alla mancata coltivazione, da parte dell’appellante, dell’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza di primo grado n. 55 del 2014 (che pure era stata inizialmente proposta, ma poi rinunziata). In effetti, è stata proprio la non sospensione, in questi sensi nemmeno domandata, della sentenza n. 55 del 2014 a consentire la stipula del contratto con il R.T.I. A.-I., ragione per cui deve ritenersi che la richiamata scelta processuale dell’odierno appellante abbia con la sua inerzia processuale contribuito al consolidamento della situazione per lui stesso svantaggiosa.
In base a quanto esposto si ritiene che, ai fini della determI.ione del quantum risarcitorio debbano trovare applicazione: a) la previsione di cui all’articolo 30, comma 3, secondo periodo del Codice del processo amministrativo (secondo cui “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”); b) la previsione dell’articolo 1227, primo comma, del Codice civile in tema di concorso del fatto colposo nella causazione del danno e correlativa riduzione del risarcimento.
8.3. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti
– riunisce i tre ricorsi;
– accoglie i ricorsi e per l’effetto annulla gli atti impugnati in primo grado e dispone l’inefficacia del contratto di appalto in data 3 settembre 2013 e il subentro dell’appellante nel contratto a far data dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza;
– condanna l’Istituto appellato al risarcimento in favore dell’appellante del danno per equivalente nella misura di cui al punto 8.2. della motivazione;
– condanna l’Istituto alla rifusione in favore dell’appellante delle spese di lite che liquida in complessivi euro 18.000 (diciottomila) per il doppio grado, oltre gli accessori di legge. Spese compensate nei confronti delle altre parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)