Consiglio di Stato sezione VI sentenza n. 2575 depositata il 27 aprile 2018
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO – PUBBLICO IMPIEGO – TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO – RIVALUTAZIONE E INTERESSI LEGALI
FATTO e DIRITTO
1 – A.T. (dante causa degli appellanti), dipendente dell’INPS, in data 17 marzo 1984, fu tratto in arresto nell’ambito di un procedimento penale che si svolgeva a suo carico per reati di corruzione, falso e truffa; pertanto, venne sospeso cautelarmente dal servizio a decorrere dalla suddetta data.
2 – L’INPS, con nota del 15 dicembre 1990, procedeva disciplinarmente nei confronti del dipendente, in relazione ai fatti che avevano costituito oggetto del suddetto procedimento penale.
2.1 – Con deliberazione n. 1066 dell’11 luglio 1991 al Sig. A.T. era irrogata la sanzione della destituzione dall’impiego, con effetto dal 17 marzo 1984 (data della sospensione cautelare dal servizio) ai sensi del Regolamento Organico del personale all’epoca vigente.
3 – La Corte dei Conti, con sentenza n. 172/92 del 27 luglio 1992, condannava il A.T. al risarcimento del danno nei confronti dell’INPS, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali a decorrere dal 7 dicembre 1988.
4 – Con provvedimento del 20 giugno 1996, l’INPS detraeva, dalle competenze di fine servizio, il risarcimento quantificato dalla sentenza della Corte dei Conti n. 172/92 e le spese legali, onorari e spese del relativo giudizio di responsabilità; inoltre, calcolava la rivalutazione monetaria e gli interessi su tali competenze a decorrere dalla data di adozione del provvedimento di destituzione del Sig. A.T. (11 luglio 1991) e fino al 29 luglio 1992 (data della sentenza della Corte dei Conti n. 172/92 che quantificava il risarcimento che il dipendente doveva rifondere all’INPS).
5 – Il signor A.T. ricorreva al TAR Lazio al fine di ottenere l’annullamento del suddetto provvedimento di liquidazione, nella parte in cui disponeva che la somma liquidata a titolo di trattamento di fine rapporto veniva maggiorata degli interessi e della rivalutazione monetaria solo a far tempo dall’11 luglio 1991 (data del provvedimento di destituzione), anziché dal precedente 17 marzo 1984 (data della precedente sospensione cautelare dal servizio alla quale retroagivano gli effetti del provvedimento di destituzione dall’impiego).
6 – Il TAR del Lazio, con la sentenza n. 2405/2011 depositata il 21 marzo 2011 – resa nei confronti degli eredi di A.T., deceduto nelle more del giudizio – respingeva il ricorso.
7 – Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello gli eredi di A.T., sollevando rilievi analoghi a quelli del primo grado e, in particolare, deducendo che il rapporto di lavoro del A.T. era stato dichiarato cessato a far data dal 17 marzo 1984 (data di irrogazione della sospensione cautelare dal servizio); pertanto, da quella data dovrebbero farsi decorrere interessi e rivalutazione sulla sorte per trattamento di fine servizio.
8 – L’appello è infondato, avendo il TAR fatto corretta applicazione della giurisprudenza di questo Consiglio applicabile nel caso in esame.
8.1 – Invero, quanto alla valenza del provvedimento di destituzione, la giurisprudenza amministrativa consolidata ha affermato che legittimamente il provvedimento di destituzione dall’impiego decorre dalla data di inizio della sospensione cautelare precedentemente disposta, in quanto detta sospensione, per sua natura, anticipa gli effetti propri della sanzione irrogata al termine del procedimento (cfr.Cons. Stato, sez. III, n. 67 del 2009; Cons. Stato, sez. VI, n. 2723 del 2008).
Tuttavia, come già osservato da questo Consiglio, “… la decorrenza retroattiva degli effetti non impedisce che il provvedimento di destituzione abbia carattere costitutivo in quanto attiene allo status del dipendente pubblico; ne deriva che il diritto del soggetto alla liquidazione dell’indennità di buonuscita sorge solo al momento della sua cessazione dal servizio, computando anche l’ulteriore periodo previsto dalla legge per la conclusione del procedimento liquidatorio, non potendo il dipendente rivendicare alcuna pretesa per il periodo precedente in cui il relativo credito non era né liquido né esigibile. Dalla medesima data decorrono gli accessori del credito principale” (Cons. St., Sez. VI, n. 2681 del 7 maggio 2010).
9 – Il Collegio ritiene di aderire al precedente citato, dovendosi convenire che il provvedimento di destituzione dall’impiego, conclusivo del procedimento disciplinare, ha natura costitutiva, in quanto incide sullo status del dipendente pubblico, determinando in via definitiva il venir meno del rapporto di servizio con l’Amministrazione. Tanto più che nel caso di specie il A.T. – anche dopo la sospensione cautelare del marzo 1984 – era ancora dipendente dell’Istituto e ha percepito, per ben cinque anni, un assegno alimentare per tutta la durata della sospensione stessa; successivamente, il dipendente – a decorrere dal 28 febbraio 1990 ed ancor prima della conclusione del procedimento penale – veniva riammesso in servizio, ex art. 9 della legge n. 19/1990, in seguito alla revoca di diritto della sospensione cautelare, giustificata dal decorso del termine massimo consentito di cinque anni di sospensione. Ne consegue che solo al momento dell’adozione del provvedimento di destituzione è stato possibile ricostruire lo stato di servizio del dipendente.
10 – Le considerazioni di parte appellante, che reputa violata la norma di cui all’art. 429 c.p.c., non sono pertinenti.
Non sono infatti in discussione i principi in base ai quali: a) la disposizione dell’art. 2120, primo comma, c.c. , che enuncia il diritto al trattamento di fine rapporto per ogni caso di cessazione del rapporto, e ne detta i criteri di calcolo, costituisce una norma inderogabile; b) il trattamento di fine rapporto diventa esigibile al momento stesso della cessazione del rapporto; c) l’art. 429 c.p.c., prevede la decorrenza di interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto di credito del lavoratore. Nondimeno, nello specifico caso in esame, interessi e rivalutazioni non possono essere calcolati dalla data di decorrenza della destituzione dal servizio, posto che in quel momento il credito principale al quale accedono non era ancora determinabile. Oltretutto, dopo tale data, a seguito dell’esaurimento degli effetti della sospensione cautelare, il dipendente era rientrato in servizio, percependo il relativo stipendio. Ne deriva che solo al momento in cui il procedimento disciplinare ha avuto esito si è potuto determinare la somma spettante a titolo di trattamento di fine rapporto; solo da allora, pertanto, possono decorrere interessi e rivalutazione.
10.1 – La soluzione è in linea anche con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale: “Il trattamento di fine rapporto, che matura alla data di cessazione del rapporto di lavoro, produce da tale data rivalutazione e interessi legali, come prescritto dall’art. 429 terzo comma cod. proc. civ., purché possa in quel momento essere determinato e quindi divenire esigibile. In caso contrario produce gli accessori dal giorno in cui siano disponibili tutti gli elementi di calcolo per la liquidazione definitiva dell’ammontare, anche se ciò si realizza dopo la cessazione del rapporto di lavoro” (Cass. n. 7143 del 16/05/2002).
11 – In definitiva, l’appello deve essere rigettato; vista la soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico di parte appellante.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello come in epigrafe proposto e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite, liquidate in complessivi € 3.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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