CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTT COMM E ESP CON – Comunicato 17 luglio 2020
Disciplina di pre-allerta del TUSP, pubblicate le raccomandazioni per la sua applicazione
Un documento del CNDCEC al quale hanno collaborato collaborato esperti di partecipate e crisi di impresa, magistratura, Cerved e Abi
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha pubblicato il documento “L’applicazione ragionata della disciplina della pre-allerta nelle società a controllo pubblico ai tempi del Covid-19”. Alla redazione hanno collaborato esperti in materia di società partecipate e crisi di impresa, oltre a rappresentanti della magistratura, Cerved e Abi.
“Il documento – spiegano Davide Di Russo e Remigio Sequi, Consiglieri nazionali delegati all’area “Economia degli enti locali” che hanno coordinato i lavori – muove dalla constatazione che la legislazione relativa alla gestione dell’emergenza Covid-19 non ha sospeso la parte speciale della disciplina della crisi di impresa dettata, per le società a controllo pubblico, dagli artt. 6, co. 2 e 14, co. 2, 3, 4 e 5 del d.lgs. 175/2016, pur essendo questa integrata, per ratio ispiratrice, al sistema di allerta predisposto dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, la cui entrata in vigore è invece stata differita dal Decreto Liquidità”.
“In tale ottica – proseguono Di Russo e Sequi – si evidenzia la necessità di un’applicazione ragionata delle disposizioni in questione, dettata dall’assoluta eccezionalità del contesto emergenziale. Di conseguenza, si raccomanda agli operatori (organi amministrativi e di controllo, nonché soci pubblici) di privilegiare una gestione conservativa e, sempreché non si tratti di impresa già in difficoltà prima dell’emergenza Covid-19, di soprassedere, pur a fronte dell’emersione di indicatori di crisi aziendale, dall’adottare misure e provvedimenti altrimenti imposti – in un contesto di normalità – ai sensi dell’art. 14 del TUSP”.
“Il documento – concludono i due consiglieri nazionali – ha un importante rilievo pratico, in quanto suggerisce, in chiusura, un iter argomentativo a sostegno di tale condotta prudenziale, rassicurando sul fatto che simile scelta operativa dovrebbe risultare immune dalla denunzia per gravi irregolarità ex art. 2409 cod. civ., senza poter del pari configurare, più in generale, titolo di responsabilità a carico degli organi societari e del socio pubblico”.
Allegato
L’Applicazione ragionata della disciplina della preallerta nelle società a controllo pubblico ai tempi del Covid-19
Premessa
Il documento muove dalla constatazione che la legislazione relativa alla gestione dell’emergenza Covid-19 non ha sospeso la parte speciale della disciplina della crisi di impresa dettata, per le società a controllo pubblico, dagli artt. 6, co. 2 e 14, co. 2, 3, 4 e 5 del d.lgs. 175/2016 (sebbene integrata, per ratio ispiratrice, al sistema di allerta predisposto dal d.lgs. 14/2019, la cui entrata in vigore è invece stata differita dal Decreto Liquidità); ed evidenzia quindi la necessità di un’applicazione ragionata delle disposizioni in questione, dettata dall’assoluta eccezionalità del contesto emergenziale. In particolar modo, se è scontata l’applicazione, anche alle società a partecipazione pubblica, della disciplina contenuta nel c.d. “Decreto Liquidità” (v. § 3), nulla è stato espressamente previsto, invece, in ordine agli obblighi ulteriori previsti in capo agli amministratori di tali società e ai divieti di intervento finanziario imposti alle pubbliche amministrazioni dall’art. 14 del TUSP (v. § 4).
In tale ottica, il documento raccomanda agli operatori (organi amministrativi e di controllo, nonché soci pubblici) di privilegiare una gestione conservativa e (sempreché non si tratti di impresa già in difficoltà prima dell’emergenza Covid-19) di soprassedere, pur a fronte dell’emersione di indicatori di crisi aziendale, dall’adottare misure e provvedimenti altrimenti imposti – in un contesto di normalità – ai sensi dell’art. 14 del TUSP. Il documento suggerisce quindi un iter argomentativo a sostegno di tale condotta prudenziale, rassicurando sul fatto che simile scelta operativa dovrebbe risultare immune dalla denunzia per gravi irregolarità ex art. 2409 cod. civ., senza poter del pari configurare, più in generale, titolo di responsabilità a carico degli organi societari e del socio pubblico.
1. Il differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza e la relativa ratio.
L’ampia legislazione d’urgenza introdotta per far fronte alla situazione emergenziale dovuta all’epidemia da Covid-19 contempla, tra le altre, una serie di disposizioni volte a garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza.
Tra queste spicca, per rilevanza, il differimento al 1° settembre 2021 dell’entrata in vigore del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (di seguito anche “CCI”) o, meglio, delle disposizioni la cui entrata in vigore era in origine prevista per il 15 agosto 2020 (differimento disposto ex art. 5 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con mod., dalla l. 5 giugno 2020, n. 40 – c.d. “Decreto Liquidità” – che ha modificato il testo dell’art. 389 del CCI).
Come chiarito nella relazione illustrativa al Decreto Liquidità, il rinvio si è reso opportuno considerato che il CCI è stato concepito nell’ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all’interno del quale la preponderanza delle imprese non sia colpita da crisi e nel quale sia possibile, di conseguenza, concentrare gli strumenti predisposti dal CCI rispetto alle realtà che presentino criticità.
Per contro, in un sistema segnato da una gravissima forma di crisi che investe il tessuto economico globale, il meccanismo delle c.d. misure di allerta, volte a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese, non potrebbe svolgere alcun concreto ruolo selettivo; anzi, gli indicatori finirebbero per generare effetti distorsivi, essendo destinati inevitabilmente attivarsi anche rispetto a imprese di per sé sane, a causa delle difficoltà provocate dall’emergenza Codiv-19.
Ne verrebbe, nel contempo, pregiudicata la filosofia di fondo del CCI, che è quella di operare nel senso di favorire il più possibile il salvataggio delle imprese e la loro continuità, considerato che in un ambito economico esposto a una crisi degli investimenti e, in generale, delle risorse necessarie per procedere a ristrutturazione delle imprese, l’adozione della procedura liquidatoria (l’attuale fallimento) si porrebbe come scelta pressoché automatica, laddove il legislatore del CCI la configura invece come extrema ratio alla quale ricorrere solo in assenza di alternative (1).
2. Le ulteriori misure d’urgenza per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza Covid-19.
Il differimento dell’entrata in vigore del sistema di allerta disegnato dal CCI si innesta, come detto, in un quadro di più ampio respiro, volto a garantire la continuità aziendale delle imprese afflitte dall’emergenza Covid-19. In tale scenario, assumono particolare significatività:
– la sospensione sino al 31 dicembre 2020 degli obblighi previsti dal codice civile in materia di perdita del capitale sociale (ex art. 6 del Decreto Liquidità (2));
– la facoltà di deroga al disposto dell’art. 2423-bis, co. 1, n. 1, cod. civ. nel bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020 nonché a quelli chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati (3), tale da consentire la valutazione delle voci di bilancio nella prospettiva della continuazione dell’attività se questa risulta sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020 (4), fermo l’obbligo di illustrare specificamente il criterio di valutazione nella nota integrativa (art. 7 del Decreto Liquidità) (5), nonché di fornire – sempre in nota integrativa – un quadro aggiornato circa la capacità dell’azienda, alla data di approvazione del bilancio, di continuare a operare nel prossimo futuro (6).
Si tratta di un complesso di disposizioni dichiaratamente ispirato dalla preoccupazione di neutralizzare, per quanto possibile e nell’immediato, gli effetti derivanti dall’attuale crisi economica sul capitale e sui bilanci, a favore delle imprese che, ante epidemia, si trovavano in condizioni sane e con esclusione, per contro, delle imprese che, già prima dell’emergenza Covid-19, versavano autonomamente in stato di perdita della continuità aziendale (7) un intervento sul piano giuridico che – detto per inciso e a rischio di travalicare le finalità del presente documento-, sebbene efficace nell’immediato, nondimeno si limita a ritardare al prossimo esercizio l’impatto della crisi da Covid-19, allorché si renderà non più eludibile (al fine di non vanificare le misure sinora predisposte) l’introduzione, questa volta sul piano prettamente economico, di incisive misure di sostegno al capitale delle imprese colpite8.
3. L’estensione delle misure emergenziali alle società a partecipazione pubblica di cui al d.lgs. 175/2016.
Il differimento dell’entrata in vigore del CCI interessa ovviamente anche alle società a partecipazione pubblica di cui all’art. 2, co. 1, lett. n) del d.lgs. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica; di seguito “TUSP”), soggette al CCI in virtù del combinato disposto degli artt. 1, co. 1 (a mente del quale “Il presente disciplina le situazioni di crisi o insolvenza del debitore […] che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale […] società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici”) e 2, co. 1, lett. f) (il quale definisce le “società pubbliche” come “le società a controllo pubblico, le società a partecipazione pubblica e le società in house di cui all’articolo 2, lettere m), n), o), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175”).
Analoga conclusione vale per le ulteriori misure sopra considerate che, in quanto dettate in materia di società di capitali, si applicano anche alle società del TUSP (in virtù di quanto ivi previsto all’art. 1, co. 3, secondo cui “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”).
4. Assenza di analoghi provvedimenti differitori rispetto allo speciale sistema di pre-allerta previsto ex art. 6, co. 2 e 14, co. 2, 3, 4 e 5 del TUSP.
I decreti emergenziali, tuttavia, non hanno inciso sul meccanismo di monitoraggio e precoce emersione della crisi (analogo e complementare oltre che, in un certo senso, anticipatorio rispetto a quello del CCI) che il TUSP ha introdotto per le sole società a controllo pubblico.
Al riguardo, va tenuto presente che:
– ai sensi dell’art. 6, co. 2 del TUSP “le società a controllo pubblico predispongono specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informano l’assemblea nell’ambito della relazione di cui al comma 4”, vale a dire la “relazione sul governo societario, che le società controllate predispongono annualmente, a chiusura dell’esercizio sociale e pubblicano contestualmente al bilancio d’esercizio”;
– ai sensi dell’art. 14, co. 2, “Qualora emergano, nell’ambito dei programmi di valutazione del rischio di cui all’articolo 6, comma 2, uno o più indicatori di crisi aziendale, l’organo amministrativo della società a controllo pubblico adotta senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento”;
– successivo co. 3, si dispone che “Quando si determini la situazione di cui al comma 2, la mancata adozione di provvedimenti adeguati, da parte dell’organo amministrativo, costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 del codice civile”; denuncia che nelle srl pubbliche, può essere presentata anche nelle srl e anche da parte del socio pubblico a prescindere dall’entità della partecipazione (art. 13 del TUSP);
– per il comma 4, “Non costituisce provvedimento adeguato […] la previsione di un ripianamento delle perdite da parte dell’amministrazione o delle amministrazioni pubbliche socie, anche se attuato in concomitanza a un aumento di capitale o a un trasferimento straordinario di partecipazioni o al rilascio di garanzie o in qualsiasi altra forma giuridica, a meno che tale intervento sia accompagnato un piano di ristrutturazione aziendale, dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte, approvato ai sensi del comma anche in deroga al comma 5”;
– tale ultimo comma stabilisce che “Le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile, sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti di capitale, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte di conti con le modalità di cui all’articolo 5, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni. Al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta dell’amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma”.
Non è questa la la sede per approfondire i profili applicativi connessi all’adempimento delle predette prescrizioni, al contenuto della Relazione sul governo societario, del Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale, così come all’individuazione e selezione degli indicatori di crisi; aspetti, questi, che hanno formato oggetto di apposita trattazione in separato documento del CNDCEC, al quale si rinvia (9.
Quel che preme rilevare è che, stante il già ricordato disposto dell’art. 1, co. 3 del TUSP – a mente del quale “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato” -, così come della speculare previsione di cui all’art. 1, co. 3 del CCI (ove si precisa che “Sono fatte salve le disposizioni delle leggi speciali in materia di crisi di impresa delle società pubbliche”), trattasi di normativa inequivocabilmente speciale rispetto a quella comune (societaria e/o della crisi d’impresa); di modo che gli interventi legislativi di portata sospensiva e/o differitoria dell’efficacia di quest’ultima (in rapporto di genus a species) non possono evidentemente spiegare effetto rispetto alla prima.
Di conseguenza, occorre prendere atto che, allo stato, ad onta di un quadro emergenziale che ha stravolto il paradigma nel quale era stata pensata, la disciplina speciale della pre-allerta delle società a controllo pubblico conserva inalterata la sua operatività.
5. L’ambito soggettivo di applicazione del sistema di pre-allerta previsto dal TUSP.
Si tratta di un segmento normativo destinato non a tutte le società partecipate da amministrazioni pubbliche bensì espressamente riservato a quelle c.d. “a controllo pubblico”; dunque, secondo la definizione di cui all’art. 2, co. 1, lett. m) del Testo unico, a “società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”, vale a dire “la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.
Dalle società astrattamente ascrivibili alla categoria delle società a controllo pubblico vanno però escluse – ai fini dell’applicazione della disciplina speciale della pre-allerta e, più in generale, salvo espressa indicazione contraria, dell’intero TUSP – le società quotate.
A mente del co. 5 dell’art. 1, del TUSP infatti “Le disposizioni del presente decreto si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, come definite dell’articolo 2, comma 1, lettera p), nonché alle società da esse controllate”.
Si tratta di poche disposizioni inerenti alla condotta dell’azionista pubblico, all’organizzazione e all’attività della società, tra le quali non rientrano gli artt. 6 e 14 del TUSP (ove, come detto, sono concentrate le disposizioni in materia di crisi di impresa) che, pertanto non trovano applicazione alle società quotate e alle società controllate da società quotate. Conclusione, questa, rafforzata dal co. 5 dell’art. 14, ove si esclude espressamente l’operatività per le società quotate di quanto ivi stabilito (vale a dire del divieto di “soccorso finanziario”) (10).
Quanto al concetto di società quotate ai sensi del TUSP, l’art. 1, co. 5, la norma rinvia alla definizione di cui all’art. 2, co. 1, lett. p), secondo cui si tratta de “le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati; le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati”; laddove per mercati regolamentati devono intendersi, in assenza di indicazioni nell’ambito del TUSP, quelli così definiti dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. “TUF”) (11).
Sono quindi escluse dall’applicazione delle disposizioni speciali dettate dal TUSP in materia di crisi di impresa, ancorché rientranti in astratto nella definizione di “società a controllo pubblico”:
– le società che emettono azioni quotate in mercati regolamentati;
– le società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati;
– le società controllate (evidentemente ai sensi dell’art. 2359 cod. civ.) da società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati o da società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.
A tali società vanno aggiunte – ai sensi di quanto previsto dal comma 12-bis dell’art. 26 (che ne dispone la totale esclusione dal TUSP) – le società destinatarie dei provvedimenti di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (e, cioè, le società destinatarie di provvedimenti di prevenzione patrimoniale legati a episodi di infiltrazione mafiosa), nonché di cui all’art. 7 del d.l. 3 maggio 2016, n. 59 (e, cioè, la Società per la Gestione di Attività-SGA spa, interamente partecipata dal MEF) (12).
6. La reazione all’emersione degli indicatori di crisi nelle società a controllo pubblico ai sensi dell’art. 14 del TUSP.
La predisposizione del programma di valutazione del rischio di crisi (ex art. 6, co. 2, TUSP) nelle società a controllo pubblico, oltre ad assolvere a una funzione informativa a favore di soci e di terzi, costituisce il presupposto per l’adozione di condotte tempestive e reattive da parte dell’organo amministrativo.
Il sistema di (pre)allerta disegnato dal TUSP, infatti, poggia su un secondo pilastro, coincidente con le previsioni di cui all’art. 14, co. 2, 4 e 5 (ritrascritte sopra al § 4).
Riservando a un distinto, apposito documento l’approfondimento delle questioni interpretative poste da tali disposizioni (segnate da diversi disallineamenti testuali e strutturali), la disciplina ivi disegnata può essere sintetizzata come segue:
a) se una società a controllo pubblico manifesta “indicatori di crisi aziendale”, e quindi un deterioramento dell’equilibrio economico-finanziario della società, suscettibile di “correzione”, l’organo amministrativo è tenuto a predisporre un “piano di risanamento” (co. 2)
b) detto piano deve contenere provvedimenti “adeguati” a prevenire l’aggravamento della crisi, a correggerne gli effetti e a eliminarne le cause (co. 2);
c) non è sufficiente (in quanto dal TUSP considerato presuntivamente provvedimento “non adeguati”) che il piano consista nel ripianamento delle perdite da parte del socio pubblico (co. 4);
d) nemmeno è sufficiente che il piano preveda, a carico di soci amministrazioni pubbliche ex art. 1, co. 3, l. 196/2009, le forme di soccorso finanziario considerate dal co. 5, vale a dire sottoscrizione di aumenti di capitale anche ai sensi degli artt. 2447 e 2482-ter c.c., effettuazione di trasferimenti straordinari, aperture di credito, rilascio di garanzie;
e) gli interventi sub d) non solo non sono adeguati ma sono addirittura vietati se la società, anche non manifestando “indicatori di crisi aziendale” ha chiuso in perdita gli ultimi tre esercizi o ha utilizzato riserve disponibili per coprire perdite anche infrannuali (co. 5); fa eccezione la sottoscrizione di aumenti di capitale ai sensi degli artt. 2447 e 2482-ter c.c., che seguono il regime sub d) e dunque non sono vietati neppure per le società in perdita reiterata, restando però presuntivamente inadeguati ai sensi del co. 4;
f) se, nonostante il riscontro di indicatori di crisi, l’organo amministrativo non adotti un piano o adotti un piano non adeguato (ai sensi di quanto sub c), d) e, a maggior ragione, e)), sussistono i presupposti per la denuncia ex art. 2409 cod.civ., anche nelle srl e con legittimazione attribuita anche per il socio pubblico, indipendentemente dalla misura della partecipazione (co. 3 13);
g) la presunzione di inadeguatezza dei provvedimenti sub c) e d) è superata (e quindi non opera l’art. 2409 cod.civ.) se il piano che prevede tali misure “comprova[…] la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte” (co. 4);
h) le misure di soccorso finanziario in linea di principio vietate nella fattispecie considerata sub e) sono però ammesse (e considerate “adeguate”), se il piano che le prevede contempla il raggiungimento dell’equilibrio; ma il raggiungimento dell’equilibrio deve essere previsto in tre anni e, inoltre, il piano: (i) deve prevedere che tali misure vengono adottate a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti; (ii) deve essere approvato dall’Autorità di regolazione del settore (ove esistente) e comunicato alla Corte dei conti;
i) le misure di soccorso finanziario in linea di principio vietate nella fattispecie considerata sub e) sono ammesse, anche a prescindere dall’adozione di un piano, se autorizzate con dpcm su proposta del Mef e richiesta dell’amministrazione interessata, al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità (14).
7. L’assolvimento dell’obbligo di attivazione a carico degli amministratori al tempo del Covid-19.
La ricordata assenza di interventi volti a incidere (quantomeno in via provvisoria) sull’efficacia delle descritte disposizioni determinerà ineluttabilmente, quantomeno con riferimento all’esercizio in corso e – più che presumibilmente – con riferimento all’esercizio 2021, l’emersione (ai sensi e per gli effetti dell’art. 14, co. 2 del TUSP) degli indicatori del rischio di crisi adottati nei programmi di valutazione del rischio ai sensi dell’art. 6, co. 2 del TUSP.
Detto altrimenti, è pressoché inevitabile che gli indicatori di crisi – elaborati e selezionati in un contesto di normalità – intercettino la crisi provocata dall’emergenza Covid-19, facendo scattare gli obblighi previsti dall’art. 14 del TUSP e quindi chiamando l’organo amministrativo delle società a controllo pubblico all’adozione di “provvedimenti adeguati”; obbligo il cui mancato adempimento integra, a termini di legge, grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 cod.civ. (che, come detto, per le società a controllo pubblico è strumento attivabile, in deroga alle previsioni del codice civile, anche nelle srl, e anche da parte dell’amministrazione socia, a prescindere dalla legittimazione attiva del collegio sindacale, quale che ne sia la percentuale di partecipazione alla società).
Il CNDCEC, pur consapevole della portata cogente delle prescrizioni in questione, ritiene cionondimeno che la relativa applicazione debba essere, nell’attuale frangente, calibrata con estrema attenzione, tenendo conto della ratio della disciplina da declinarsi in ragione dell’eccezionalità del contesto emergenziale (tale da avere già inciso sull’analoga normativa generale).
La condotta degli amministratori, pertanto, non potrà ignorare (al pari di quelle dell’organo di controllo e del socio pubblico) che la disciplina speciale della crisi dettata dal TUSP mira, da un lato, a favorire l’anticipata emersione di situazioni di squilibrio (così ponendo a carico degli amministratori gli oneri di monitoraggio e proazione in discorso) e, dall’altro, ad arginare la pratica che vede l’amministrazione pubblica instradare un intervento di salvataggio di società strutturalmente in perdita, invece di attivarsi ex ante in chiave preventiva (finalità perseguita mediante il divieto, per il socio pubblico, di contrastare la crisi mediante meri versamenti che, in quanto tali, non hanno carattere risolutivo e valgono solo a evitare provvisoriamente l’insolvenza, essendo inidonei a rimuovere le cause economiche perché incidenti solo sul versante patrimoniale e finanziario).
Muovendo da tale premessa, le scelte da assumere non potranno che essere orientate dalla constatazione che trattasi di paradigma, se non superato, evidentemente inappropriato nel quadro di crisi scaturito dall’emergenza Covid-19, laddove il disequilibrio dell’impresa pubblica è dovuto non già a colpevoli scelte gestionali da correggere, bensì a fattori esogeni, imprevedibili ed eccezionali, quando non all’imperativo di modulare l’attività aziendale su dettami imposti da misure ispirate dalla necessità di arginare l’epidemia e salvaguardare la salute pubblica (15); e laddove l’intervento del socio pubblico, lungi dal prospettarsi controproducente, si configura come l’unica soluzione concretamente percorribile per consentire all’impresa, altrimenti destinata al collasso, di essere traghettata oltre la contingenza emergenziale (evitando anche ricadute, in taluni casi, esiziali, nel fronteggiare adeguatamente la crisi sanitaria in corso).
Nel contempo, l’obiettiva e incolpevole impossibilità di valutare in termini di ragionevole probabilità l’intensità, la dinamica e l’estensione temporale della pandemia, il rischio di un nuovo lockdown e la portata delle relative conseguenze, impedisce – ad oggi – di compiere le fondate valutazioni prognostiche che costituiscono antecedente imprescindibile per l’adozione consapevole e ragionata dei provvedimenti “adeguati” richiesti dall’art. 14 del TUSP (16) (l’anormalità della situazione si percepisce anche con riguardo alla circostanza, assolutamente eccezionale, per cui i tassi a breve termine sono oggi più alti di quelli a medio e lungo termine; col che, nell’attuale frangente, si conferma paradossalmente più complicato operare previsioni sul prossimo biennio che rispetto a un orizzonte più ampio).
Del resto, sebbene l’azione decretale non si sia esplicata in provvedimenti sospensivi analoghi a quelli riferiti al diritto comune della crisi, il problema qui affrontato risulta tutt’altro che sottostimato, considerato che la scheda 3.iii del piano di rilancio del Paese elaborato dalla “task force Colao”, all’attenzione del Governo, evidenzia l’urgenza di “sospendere per il 2020 i vincoli del d.lgs. 175/2016 (TU in materia di società a partecipazione pubblica) al ripianamento delle perdite delle imprese pubbliche (e del trasporto pubblico in particolare) ed evitare il ricorso al concordato preventivo e all’amministrazione straordinaria (che impedirebbe il pagamento dei fornitori e rallenterebbe l’esecuzione degli investimenti)”; e indica le azioni specifiche da adottare, identificate nel:
a) permettere, con riferimento alle imprese pubbliche il cui disequilibrio dipenda dal Covid-19, alle amministrazioni pubbliche socie, in deroga ai co. 2, 4 e 5 dell’art. 14 del d.lgs. 175/16, sino all’approvazione del bilancio al 31/12/20, il ripianamento delle perdite e la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale, l’esecuzione di trasferimenti straordinari, le aperture di credito e il rilascio di garanzie;
b) prevedere di conseguenza sino all’approvazione del bilancio al 31/12/2020, per tali imprese, la sospensione dei co. 2, 4 e 5 dell’art. 14 del d.lgs. 175/2016;
c) in una fase meno immediata, laddove il socio pubblico non riesca a intervenire:
– semplificare le procedure di vendita delle azioni (art. 10, comma 2), consentendo che la situazione emergenziale legittimi anche “l’alienazione […] mediante negoziazione diretta con un singolo acquirente” (verosimilmente mediante l’introduzione di disposizione dal tenore meramente ermeneutico e/o acceleratorio, posto che già l’attuale formulazione dell’art. 10, co. 2, TUSP autorizza, di per sé, l’alienazione diretta della partecipazione pubblica “In casi eccezionali”, senz’altro integrati dalle circostanze generate dall’emergenza Covid-19);
– consentire, in deroga all’art. 17 co. 1, che la situazione emergenziale legittimi la partecipazione del privato acquirente in misura inferiore al 30%.
Tali proposte, specifiche per le società a controllo pubblico, si saldano con quelle (generali) volte a disincentivare il ricorso alle procedure concorsuali (“per evitare il conseguente blocco ex lege del pagamento ai fornitori e la conseguente sottrazione di liquidità e risorse al sistema. Nello specifico, evitare che il debitore ricostituisca il valore dell’azienda solo a scapito dei creditori”) (17) e a predisporre incentivi alla capitalizzazione delle imprese (18).
È quindi avvertita la preoccupazione che l’assunzione, da parte degli amministratori delle società a controllo pubblico, di determinazioni consequenziali in ragione dei parametri (gli indicatori di cui all’art. 6, co. 2 del TUSP) destinati a operare in un contesto di normalità ed evidentemente distorti da un quadro di eccezionale e imprevedibile emergenza, possa condurre proprio a quelle irrimediabili conseguenze che la disciplina stessa mira a prevenire.
Il complesso di tali considerazioni induce a suggerire ai professionisti che operino negli organi delle società a controllo pubblico a rifuggire dalla richiesta di automatiche e acritiche applicazioni dei meccanismi approntati in adempimento di quanto prescritto ex artt. 6, co. 2 e 14, co. 2, 4 e 5, TUSP, promuovendo invece l’apertura, in seno alla società, di una fase interlocutoria che – in attesa di un auspicato intervento sospensivo nei termini suggeriti dalla “task force Colao” – permetta una gestione conservativa dell’impresa (19), con dilatazione dell’orizzonte temporale per l’assunzione di provvedimenti di gestione della crisi, al fine di evitare che questa possa tradursi in soluzioni dirompenti per la società e, indirettamente, per il sistema socio-economico.
D’altro canto, lo stato d’incertezza non può però giustificare, a priori, la mancanza assoluta di gestione del rischio e l’automatica rinuncia all’assunzione (per quanto possibile) delle iniziative proattive a salvaguardia della continuità aziendale che devono necessariamente contraddistinguere ogni attività preventiva di controllo (direzionale) riservata all’organo gestorio (20).
Nulla esclude, pertanto, a che venga vagliata medio tempore – anche su sollecitazione dell’organo amministrativo – l’utilità di attingere senza indugio alle misure consentite dal quadro normativo vigente, prima tra tutte quella consistente nel programmare un intervento correttivo sul contratto di servizio, in grado di assorbire i maggiori costi e/o i minori ricavi connessi all’emergenza Covid-19 (trattandosi di leva cui il socio pubblico può ricorrere in modo relativamente agevole (21).
In favore della scelta attendista, peraltro, milita e rassicura – sul fronte delle responsabilità – la previsione dell’art. 2236 cod. civ., a mente del quale il professionista non risponde, se non per dolo o colpa grave, in relazione a prestazioni che implichino “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà” (22). Ciò in quanto risulta arduo prospettare profili di responsabilità più intensi della mera colpa lieve a carico di quegli organi societari che – a fronte dell’obiettiva impossibilità di condurre valutazioni prognostiche prodromiche all’adozione dei “provvedimenti adeguati” ex art. 14 del TUSP (fattispecie che può essere agevolmente ricondotta a “la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”) – ritengano di astenersi da un’autistica interpretazione degli obblighi imposti dal TUSP, privilegiando soluzioni prudenziali, improntate alla conservazione dei presupposti per il ripristino della continuità aziendale; condotta, questa, che, per quanto sin qui esposto, si configura senz’altro scevra da colpa grave, quando non incolpevole o addirittura doverosa, così da rendere, di riflesso, assai remota (se non portando a escludere) pure l’attivazione dell’art. 2409 cod. civ. (fermo che l’eventuale decisione di astenersi dell’assunzione immediata di iniziative dovrà essere attentamente argomentata e documentata per evitare che a posteriori possa essere ritenuta quale colpevole inazione).
Resta comunque inteso che le predette raccomandazioni, influenzate (al pari delle diposizioni decretali passate in rassegna) dalla preoccupazione di disinnescare gli effetti nefasti dell’emergenza Covid-19 su imprese altrimenti sane, non possono però valere, ovviamente, per le specifiche realtà societarie afflitte da crisi pregressa, non causata bensì amplificata dalla predetta emergenza Covid-19 (il perimetro delle quali può essere fatto ragionevolmente coincidere con le società che, al 31 dicembre 2019, rientravano nella categoria delle imprese in difficoltà ai sensi del Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione (23). Ferma tale avvertenza, dunque, appare opportuno che l’organo amministrativo della società a controllo pubblico, a fronte dell’emersione di uno o più indicatori di crisi di cui all’art. 6, co. 2, TUSP, convochi senza indugio l’assemblea, così da rendere tempestiva informazione alle amministrazioni pubbliche controllanti e sollecitarne l’adesione all’iter da seguire; e provvedendo in tale sede a:
– rilevare che l’emersione degli indicatori di crisi aziendale ex art. 6, co. 2, TUSP, è conseguenza esclusiva delle ripercussioni finanziarie, economiche, reddituali provocate dall’emergenza Covid- 19, in assenza delle quali la società non registrerebbe alcun rischio di squilibrio (24);
– dare atto che le misure imposte ex art. 14, co. 2, 4 e 5 del TUSP risultano obiettivamente inadeguate, se non controproducenti, in quanto prescritte in un contesto di normalità;
– evidenziare che, pertanto, l’adozione di tali misure si porrebbe in netta contraddizione con le finalità del TUSP, analoghe a quelle del CCI e rispetto alle quali ultime il legislatore dell’emergenza dimostrato notevole sensibilità;
segnalare che, di conseguenza, l’omessa adozione di “provvedimenti adeguati” ai sensi dell’art. 14, 2 del TUSP non può configurarsi, nel noto contesto di eccezionalità ed emergenza – quale grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 cod. civ.; disposizione che, all’opposto (proprio in ragione del predetto contesto), rischierebbe di risultare involontariamente integrata dalla pedissequa osservanza di norme altrimenti di stringente applicazione; manifestare l’intendimento di procedere a una gestione conservativa dell’impresa, in attesa di interventi legislativi che incidano sugli obblighi imposti dal TUSP e che favoriscano il superamento della fase di emergenza;
invitare l’amministrazione pubblica controllante ad attivare, medio tempore, ogni misura di sostegno disponibile, nel quadro legislativo vigente, valutando l’opportunità di intervenire sul contratto di servizio al fine di assorbire i maggiori costi e/o i minori ricavi registrati in conseguenza dell’emergenza Covid-19.
Di quanto sopra dovrà inoltre darsi atto nell’ambito della Relazione sul governo societario di cui all’art. 6, TUSP, anche in funzione cautelativa rispetto a quanto previsto ex art. 14, co. 3 del TUSP in relazione 2409 cod. civ.
—
Note:
(1) La Relazione illustrativa aggiunge una terza considerazione, che si collega alla scarsa compatibilità di uno strumento giuridico nuovo con una situazione di sofferenza economica nella quale gli operatori più che mai hanno necessità di percepire una stabilità a livello normativo e non soffrire le incertezze collegate a una disciplina in molti punti inedita e necessitante di un approccio innovativo.
(2) A mente del quale “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli artt. 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duocecies del codice civile”.
(3) L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC), per tramite di una interpretazione della ratio dell’art. 7 del Decreto Liquidità, arriva a concludere che: “[l]a deroga prevista dalla norma si applica ai bilanci d’esercizio: – chiusi e non approvati dall’organo assembleare in data anteriore al 23 febbraio 2020 (ad esempio i bilanci chiusi al 31 dicembre 2019); – chiusi successivamente al 23 febbraio 2020 e prima del 31 dicembre 2020 (ad esempio i bilanci che chiudono al 30 giugno 2020); – in corso al 31 dicembre 2020 (ad esempio i bilanci che chiudono al 31 dicembre 2020 oppure al 30 giugno 2021)”.
Cfr. OIC, Documento interpretativo 6. Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23 “Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio”, par. 7.
(4) Sempre OIC ha inteso che la norma debba riferirsi anche ai bilanci d’esercizio chiusi al 31 dicembre 2019 nel caso in cui a tale data sussistesse la prospettiva della continuità aziendale, disattivando di fatto il paragrafo 59 c) dell’OIC 29, concernente la considerazione ai fini della redazione del bilancio dei “fatti successivi che possono incidere sulla continuità aziendale”. Cfr. OIC, Documento interpretativo 6. Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23 “Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio”, Motivazioni alla base delle decisioni assunte, par. 9. Tale interpretazione è stata normativamente recepita all’art. 38-quater del Decreto Liquidità, inserito dal ddl di conversione approvato alla Camera alla data di chiusura del presente documento, il quale – rubricato “Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio” – recita: “Nella predisposizione dei bilanci il cui esercizio è stato chiuso entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile è effettuata non tenendo conto delle incertezze e degli effetti derivanti dai fatti successivi alla data di chiusura del bilancio. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all’articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze concernenti gli eventi successivi, nonché alla capacità dell’azienda di continuare a costruire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito [co. 1]. Nella predisposizione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci e della prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423-bis, primo comma, numero 1), del codice civile può comunque essere effettuata sulla base delle risultanze dell’ultimo bilancio di esercizio chiuso entro il 23 febbraio 2020. Le informazioni relative al presupposto della continuità aziendale sono fornite nelle politiche contabili di cui all’articolo 2427, primo comma, numero 1), del codice civile anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. Restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonché alla capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito [co. 2]. L’efficacia delle disposizioni del presente articolo è limitata ai soli fini civilistici [co.3]”.
(5) Sempre a tutela della continuità delle imprese, la normativa emergenziale ha disposto la proroga dei termini dei programmi di esecuzione delle procedure di amministrazione straordinaria (art. 51, Decreto Rilancio) e ha previsto ulteriori disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società (art. 8, Decreto Liquidità), di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione (art. 9, Decreto Liquidità), di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza (art. 10, Decreto Liquidità). Per un esame delle disposizioni introdotte in materia di società, enti e giustizia per fronteggiare l’emergenza Covid-19 si rinvia al documento di ricerca della Fondazione Nazionale Commercialisti “Le disposizioni in materia di società, enti e giustizia (D.L. “Cura Italia” n. 18/2020 convertito, D.L. “Liquidità” n. 23/2020 convertito, D.L. “Giustizia” n. 28/2020 -Secondo aggiornamento” del 10 giugno 2020, reperibile al seguente link:https://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/node/1466.
(6) Il citato Documento interpretativo 6 dell’OIC avverte che restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni dovute in nota integrativa, di modo che, nella fase di preparazione del bilancio la società che si avvale della deroga descrive in nota integrativa “le significative incertezze in merito alla capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro relativo a un periodo di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio. Pertanto, nella nota integrativa dovranno essere fornite le informazioni relative ai fattori di rischio, alle assunzioni effettuate e alle incertezze identificate, nonché ai piani aziendali futuri per far fronte a tali rischi ed incertezze. Inoltre, nei casi in cui, nell’arco temporale futuro di riferimento, non si ritenga sussistano ragionevoli alternative alla cessazione dell’attività, nella nota integrativa sono descritte tali circostanze e, per quanto possibile e attendibile, i prevedibili effetti che esse potrebbero produrre sulla situazione patrimoniale ed economica della società”. Cfr. OIC, Documento interpretativo 6. Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23 “Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio”, par. 13.
(7) Come spiega la Relazione illustrativa al Decreto Liquidità sub art. 6 “L’attuale stato di emergenza e crisi economica di dimensioni eccezionali determinato dall’epidemia di COVID-19 sta determinando una situazione anomala, che coinvolge anche imprese che, prima dell’epidemia, si trovavano in condizioni economiche anche ottimali, traducendosi in una patologica perdita di capitale che non riflette le effettive capacità e potenzialità delle imprese coinvolte. Di riflesso, e nonostante le massicce misure finanziarie in corso di adozione, si palesa una prospettiva di notevole difficoltà nel reperire i mezzi per un adeguato rifinanziamento delle imprese. In quest’ottica la previsione in esame mira a evitare che la perdita del capitale, dovuta alla crisi da COVID-19 e verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa – palesemente abnorme – tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile. La sospensione degli obblighi previsti dal codice civile in tema di perdita del capitale sociale, per contro, tiene conto della necessità di fronteggiare le difficoltà dell’emergenza COVID-19 con una chiara rappresentazione della realtà, non deformata da una situazione contingente ed eccezionale […]”.
La Relazione illustrativa, poi, chiarisce che anche la previsione dell’art. 7 “deriva dalla consapevolezza degli effetti dirompenti e abnormi dell’epidemia di COVID-19, ed in particolare delle ricadute, profonde ma temporanee, che esse può determinare sulle prospettive di continuità. La situazione anomala che si è determinata comporterebbe (ove si applicassero le regole elaborate con riferimento ad un panorama fisiologico e non patologico) l’obbligo per una notevolissima quantità di imprese di redigere i bilanci dell’esercizio in corso nel 2020 secondo criteri deformati, ed in particolare senza la possibilità di adottare l’ottica della continuità aziendale, con grave ricaduta sulla valutazione di tutte le voci del bilancio medesimo. Si rende, quindi, necessario neutralizzare gli effetti devianti dell’attuale crisi economica conservando ai bilanci una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti dei terzi, consentendo alle imprese che prima della crisi presentavano una regolare prospettiva di continuità di conservare tale prospettiva nella redazione dei bilanci degli esercizi in corso nel 2020, ed escludendo, quindi, le imprese che, indipendentemente dalla crisi COVID-19, si trovavano autonomamente in stato di perdita di continuità. La norma mira, quindi, a favorire la tempestiva approvazione dei bilanci delle imprese (in quanto anche nel contesto attuale tale approvazione mantiene un’essenziale funzione informativa), consentendo alle imprese di affrontare le difficoltà dell’emergenza COVID-19 con chiara rappresentazione della realtà, operando una riclassificazione con riferimento alla situazione fisiologica precedente all’insorgere dell’emergenza medesima […]”.
(8) Il lockdown, nel determinare l’interruzione temporanea della continuità aziendale, ha prodotto ingenti perdite non attese che, in quanto tali, hanno intaccato il capitale, la cui carenza dovrà essere necessariamente colmata a coprire il rischio di impresa.
(9) Si allude al documento “Relazione sul governo societario contente programma di valutazione del rischio di crisi aziendale”, pubblicato dal CNDCEC nel marzo 2019 e reperibile al seguente link: https://commercialisti.it/visualizzatorearticolo?_ articleId=1298698&plid=323338
(10) Si tratta di previsione ridondante, posto che, come è evidente, anche in sua assenza la norma non sarebbe stata applicabile alle quotate in forza del ricordato principio generale di cui all’art. 1, co. 5
(11) In tal senso, MEF, Direzione VIII, Orientamento del 22 giugno 2018.
(12) Per le società autorizzate alla gestione delle case da gioco era disposta un’esclusione temporanea dall’applicazione dell’art.14, co. 5; esclusione peraltro già spirata in quanto prevista solo fino al 31 maggio 2018 (art. 26, co. 12-sexies).
(13) L’art. 13 del TUSP (Controllo giudiziario sull’amministrazione della società a controllo pubblico) stabilisce che “Nelle società a controllo pubblico, in deroga ai limiti minimi di partecipazione previsti dall’articolo 2409 del codice civile, ciascuna amministrazione pubblica socia, indipendentemente dall’entità della partecipazione di cui è titolare, è legittimata a presentare denunzia di gravi irregolarità al tribunale [co. 1]. Il presente articolo si applica anche alle società a controllo pubblico costituite in forma di società a responsabilità limitata [co. 2]”.
(14) Quanto esposto sub lettere e), h) e i) vale per tutte le società a partecipazione pubblica e non solo per quelle a controllo pubblico.
(15) Emblematico è il caso del settore del trasporto pubblico locale, fortemente penalizzato dal crollo verticale della domanda di mobilità pubblica (dovuto, per es., all’arresto delle attività di trasposto scolastico e di trasporto turistico ma anche, più in generale, dagli obblighi di distanziamento sociale) e dei ricavi da biglietti e abbonamenti (ivi inclusi quelli da gestione della sosta) e, sul piano dell’offerta, dall’esigenza di intensificare le frequenze delle corse. Al punto che maggiore è l’efficacia nella adozione delle misure sanitarie, nella tutela della salute pubblica, e più rilevante è il disequilibrio che ne deriva.
(16) L’incertezza, infatti, è fattore che influisce in modo decisivo sull’enunciazione dei flussi prospettici, che rappresentano l’elemento fondamentale per stimare il rischio di crisi (su flussi prospettici e crisi, si veda ancora il già citato documento del CNDCEC “Relazione sul governo societario contente programma di valutazione del rischio di crisi aziendale”).
(17) Cfr. scheda 3.ii del Piano elaborato dalla “task force Colao”.
(18) Cfr. scheda 4.i del Piano elaborato dalla “task force Colao”.
(19) La gestione conservativa è valutata in termini coerenti all’efficace rispetto delle misure sanitarie emergenziali. Il tema assume particolare rilevanza per il TPL in quanto l’incremento delle frequenze delle corse per assicurare i distanziamenti fisici comporta rilevanti investimenti per fronteggiare l’incremento della capacità produttiva e la maggiore usura dei mezzi.
(20) Non si chiede, ovviamente, di “prevedere il futuro” ma di “gestirlo”, mitigando il rischio (questo sì prevedibile e misurabile), insito nell’impatto negativo conseguente alla venuta meno del prerequisito di adeguatezza patrimoniale e liquidità, fondamento imprescindibile della continuità aziendale, sia essa meramente funzionale (normativa) che operativa (economica).
(21) Salvo il caso di società che, negli ultimi tre esercizi, abbiano registrato perdite di esercizio o abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali (per le quali occorre che il piano – triennale – di risanamento sia approvato dall’autorità di regolazione di settore e comunicato alla Corte dei conti).
(22) La norma costituisce specificazione dell’art. 1176, co. 2, cod. civ., il quale a sua volta forma la base della responsabilità del mandatario (figura alla quale è ricondotta l’attività dei componenti degli organi societari).
(23) Anche per ragioni di coerenza sistematica, considerato che, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. b) del Decreto Liquidità le garanzie di cui ai commi 1 e 1-bis sono rilasciate a condizione che “al 31 dicembre 2019 l’impresa beneficiaria non rientrava nella categoria delle imprese in difficoltà ai sensi del Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione […]”.
In base all’art. 18, è considerata “impresa in difficoltà” quella che soddisfa almeno una delle seguenti circostanze:
a) nel caso di società a responsabilità limitata (diverse dalle PMI costituitesi da meno di tre anni o, ai fini dell’ammissibilità a beneficiare di aiuti al finanziamento a rischio, dalle PMI nei sette anni dalla prima vendita commerciale ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence da parte dell’intermediario finanziario selezionato), qualora abbia perso più della metà del capitale sociale sottoscritto a causa di perdite cumulate. Ciò si verifica quando la deduzione delle perdite cumulate dalle riserve (e da tutte le altre voci generalmente considerate come parte dei fondi propri della società) dà luogo a un importo cumulativo negativo superiore alla metà del capitale sociale sottoscritto. […];
b) nel caso di società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società (diverse dalle PMI costituitesi da meno di tra anni o, ai fini dell’ammissibilità a beneficiare di aiuti al finanziamento del rischio, dalle PMI nei sette anni dalla prima vendita commerciale ammissibili a beneficiare di investimenti per il finanziamento del rischio a seguito della due diligence da parte dell’intermediario finanziario selezionato), qualora abbia perso più della metà dei fondi propri, quali indicati nei conti della società, a causa di perdite cumulate. Ai fini della presente disposizione, per «società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società» si intendono in particolare le tipologie di imprese di cui all’allegato II della direttiva 2013/34/UE;
c) qualora l’impresa sia oggetto di procedura concorsuale per insolvenza o soddisfi le condizioni previste dal diritto nazionale per l’apertura nei suoi confronti di una tale procedura su richiesta dei suoi creditori; d) qualora l’impresa abbia ricevuto un aiuto per il salvataggio e non abbia ancora rimborsato il prestito o revocato la garanzia, o abbia ricevuto un aiuto per la ristrutturazione e sia ancora soggetta a un piano di ristrutturazione;
e) nel caso di un’impresa diversa da una PMI, qualora, negli ultimi due anni: 1) il rapporto debito/patrimonio netto contabile dell’impresa sia stato superiore a 7,5; e 2) il quoziente di copertura degli interessi dell’impresa (EBITDA/interessi) sia stato inferiore a 1,0. In base alla raccomandazione 2003/361/CE Commissione del 6/5/2003 (art. 2) la categoria delle PMI è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
(24) Anche, ove si ritenga opportuno, con richiamo della nota integrativa al bilancio circa la scelta di avvalersi, ai sensi dell’art. 7 del Decreto Liquidità, della facoltà di deroga all’art. 2423-bis, co. 1, n. 1, cod. civ., e nel rispetto di quanto precisato dal documento interpretativo 6 dell’OIC del giugno 2020 e previsto ex art. 38-quater del Decreto Liquidità (cfr. sub note 4 e 6).
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