CONSIGLIO DI STATO – Sentenza 11 gennaio 2018, n. 109
Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti – Misure di riduzione della spesa pubblica – Art. 8 del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 – Previsione di versamento annuale delle riduzioni di spesa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato – Illegittimità – Distrazione dei fondi derivanti dalla contribuzione degli iscritti e depauperamento della massa gestita
Fatto
1. Con l’appello in esame, la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti ed i signori G.R. e A.W. impugnano la sentenza 18 giugno 2013 n. 6103, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III, ha rigettato il ricorso proposto avverso i provvedimenti applicativi dell’art. 8 del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 135.
Nell’ambito della razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, il decreto legge ora citato ha esteso “agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato” gli obiettivi di contenimento della finanza pubblica con una serie di prescrizioni che indicano le finalità da raggiungere e i risparmi di spesa. Tra queste, l’art. 8, comma 3, dispone, che detti enti provvedano ad una riduzione della spesa in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010.
Più in particolare, l’art. 8 co. 3 (dei cui atti applicativi si duole la Cassa ricorrente), stabilisce che “Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) con esclusione delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali, degli enti del servizio sanitario nazionale, e delle università e degli enti di ricerca di cui all’allegato n. 3, sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il presente comma non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali”.
1.1.La sentenza impugnata afferma la natura di “amministrazioni pubbliche” delle Casse di previdenza, richiamando, a tal fine, la sentenza 8 novembre 2012 n. 6014 della VI Sezione del Consiglio di Stato, secondo la quale “la trasformazione operata dal d. lgs. 509/1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolto dagli Enti in esame (previdenziali), che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo”.
Una volta riconosciuta la detta natura di amministrazione pubblica, la sentenza afferma:
– “non si rileva illogicità nella scelta legislativa diretta a imporre alle Casse di previdenza il versamento annuale delle somme derivanti da tale riduzione ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato”;
– “il finanziamento connesso con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali, insieme alla obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione, garantiti agli Enti previdenziali privatizzati dall’art. 1 comma 3 dal d.Lgs. 509/94, valgono a configurare un sistema di finanziamento pubblico, sia pure indiretto e mediato attraverso risorse comunque distolte dal cumulo di quelle destinate a fini generali, che giustifica la previsione del versamento obbligatorio dei risparmi nelle casse erariali e che esclude la lamentata violazione degli artt. 38 e 97 Cost. Infatti, è da escludere che i fondi presenti presso le Casse di Previdenza e alimentati dai versamenti obbligatori abbiano natura privatistica, per le ragioni sopra esposte. Né può conseguentemente ritenersi violato l’art. 97 Cost. per distrazione di somme destinate a finalità pubblicistiche, in quanto il versamento obbligatorio al bilancio dello Stato disposto dal cit. art. 8 co. 3 è funzionalizzato esso stesso al perseguimento di fini di natura pubblicistica”;
– “con riguardo agli elenchi ISTAT richiamati nel ricorso, è da dire che il legislatore ha legificato i predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimità costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non si può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa”.
Per una pluralità di ragioni espressamente indicate (v. pagg. 10- 11 sent.), la sentenza ha dunque escluso qualunque dubbio (pur prospettato dalla ricorrente) di legittimità costituzionale delle norme indicate.
1.2. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando conseguente alla palese illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione della sentenza, nella parte in cui si afferma l’esistenza di un sistema di finanziamento pubblico indiretto e mediato a favore della Cassa; error in iudicando derivante dalla falsa applicazione dell’art. 8, co. 3, secondo periodo, d.l. n. 95/2012; error in iudicando per effetto della palese illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui si esclude la natura privata dei fondi della Cassa; error in iudicando derivante dalla falsa applicazione dell’art. 1, co. 142, l. n. 238/2012; ciò in quanto: a1) “è innegabile come i contributi versati dagli iscritti alle Casse di previdenza privatizzate siano da considerarsi quale forma di accantonamento obbligatorio di una quota del reddito professionale, ossia abbiano natura retributiva e, quindi, si debbano ritenere privati (e non pubblici), chiara essendo – nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia – la natura di “retribuzione differita” della pensione; a2) “la Cassa è un ente previdenziale finanziato a ripartizione”, cioè ha “un meccanismo di finanziamento in virtù del quale i contributi incassati sono destinati al finanziamento delle prestazioni in essere”;
b) error in procedendo in conseguenza dell’omessa pronuncia sul motivo di ricorso diretto a censurare la violazione e falsa applicazione da parte dei provvedimenti impugnati degli artt. 3, 23 e 53 Cost., per effetto dell’imposizione degli iscritti alle casse privatizzate di un nuovo tributo ed all’attribuzione agli organi amministrativi della Cassa della funzione di concreta determinazione dell’entità del tributo da versare allo Stato; ciò in quanto: b1) “il trasferimento delle somme al di fuori del rapporto sinallagmatico contributivo con la Cnpadc per finalità di stabilizzazione finanziaria delle casse dello Stato concretizza un depauperamento della massa gestita”; b2) “la misura del prelievo non è predeterminata in misura fissa dalla legge, ma dipende sostanzialmente dall’attività degli organi degli enti privatizzati, per di più individuata ex post: quanto più la spesa per consumi intermedi nell’anno 2010 è risultata elevata, tanto più il prelievo è stato consistente”, con ciò violando l’art. 23 Cost..
La Cassa di previdenza ha quindi riproposto i motivi già articolati in I grado (pagg. 24 – 39 app.).
Ha inoltre sia chiesto che questo Giudice voglia rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 3, d.l. n. 95/2012, per violazione degli artt. 2, 3, 23, 53 e 97 Cost., sia chiesto, in subordine, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia delle Comunità Europee per contrasto con l’art. 48 del TFUE, con il Regolamento n. 883/2004 e con la Direttiva n. 2004/18/UE.
1.3. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle finanze e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che hanno preliminarmente ritenuto insussistenti i presupposti per la rimessione alla Corte Costituzionale e per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ed hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
2. Con ordinanza 4 giugno 2015 n. 2756, questa Sezione ha ritenuto rilevante, ai fini della definizione del giudizio in corso, e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, d.l. .6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135, nella parte in cui, anche con riferimento alle Casse di previdenza, ed in particolare alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti, prevede che (terzo e quarto periodo): “Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre.” E ciò in relazione al primo periodo del medesimo art. 8, co. 3, laddove la misura del versamento è fissata “in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010.”.
2.1. L’ordinanza afferma, in punto di rilevanza, che la stessa appare evidente, poiché gli atti impugnati, sia con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, sia con il ricorso per motivi aggiunti, costituiscono atti applicativi del più volte citato art. 8, co. 3, d.l. n. 95/2012, per la parte in cui assoggettano anche la Cassa di previdenza appellante al regime di versamento previsto dalla predetta norma. In sostanza, gli atti impugnati, nella misura in cui determinano l’imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, trovano il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalità si dubita, e, dunque, il problema della loro legittimità (in parte qua) non discende dalla presenza di eventuali vizi di legittimità, bensì dalla legittimità costituzionale del loro fondamento normativo.
Né la questione appare ex se risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle Casse di previdenza, posto che – come afferma la sentenza impugnata (e per le ragioni che si esporranno in seguito)- “con riguardo agli elenchi ISTAT richiamati nel ricorso, è da dire che il legislatore ha legificato i predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimità costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non si può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa”.
2.2. Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 8, co. 3, d. l. n. 95/2012 (nei limiti normativi innanzi precisati), l’ordinanza premette che non appare dirimente a tali fini, la questione della natura della personalità giuridica (di diritto pubblico o privato) delle Casse di previdenza, e segnatamente della Cassa di previdenza appellante (ovvero della sua “assimilazione”, normativamente disposta, alle amministrazioni pubbliche).
E ciò in quanto, quale che sia la tipologia della personalità giuridica, ciò che appare centrale è, per un verso, la provenienza da soggetti privati della contribuzione volta a costituire le risorse per il futuro trattamento pensionistico da erogarsi ai medesimi; per altro verso, l’incidenza della previsione normativa non già sulla misura di trasferimenti a carico della finanza pubblica, bensì sulla definizione di un prelievo percentualmente determinato sulla misura di consumi intermedi che – proprio in quanto non traenti la propria fonte da trasferimenti statali, bensì dalla destinazione a ciò di parte delle somme percepite dai propri iscritti, come affermato sia dalla sentenza impugnata (v. pag. 10), sia dalle stesse Amministrazioni costituite (v. pagg. 8 – 11 memoria del 24 dicembre 2014), benchè le stesse ritengano (citando una sentenza di questo Consiglio di Stato, n. 184/2006), che i contributi obbligatori versati da parte dei dottori commercialisti alla Cassa “possono essere a tutti gli effetti definiti come dei tributi”, di modo che “se si è di fronte ad un tributo, le relative risorse non possono che avere carattere pubblico” – rientra nella piena ed autonoma determinazione della Cassa di previdenza.
2.3. Tanto precisato, le ragioni di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sono state così evidenziate:
a) innanzi tutto, violazione dell’art. 23 Cost, poiché appare evidente come – se, nel caso di specie, non si tratta di trasferimenti dello Stato destinati a far fronte ai consumi intermedi delle amministrazioni, bensì di contributi (pur obbligatori) dei privati iscritti volti a finalità previdenziali (cui quei consumi intermedi sono strumentalmente connessi) – l’imposizione di un versamento obbligatorio di parte delle somme così versate finisce con il distrarre dette somme in dotazione alla Cassa dalla loro causa tipica e dalla ragione, normativamente prevista, legittimante l’imposizione. E ciò in chiara violazione dell’art. 23 Cost., poiché la previsione normativa primaria che giustifica il prelievo ai sensi di detta norma costituzionale, e che, in tal modo, funzionalizza e, per così dire, “vincola” dette somme al perseguimento delle finalità che ne giustificano (normativamente) l’imposizione coattiva del versamento/prelievo, viene successivamente aggirata, mediante altra e successiva previsione normativa (appunto, l’art. 8, co. 3 cit.), che distrae dette somme dalla loro finalità tipica a esigenze generali di finanza pubblica;
b) in secondo luogo, violazione degli artt. 35, 36, 38, comma secondo, Cost., poiché, distraendo le somme destinate a finalità previdenziali (come desumibile dalla natura coattiva del contributo imposto), per esigenze diverse e generali di finanza pubblica, il legislatore incide sulla misura del trattamento pensionistico, inteso (e garantito) come “retribuzione differita” (tra le altre, Corte Cost., 13 gennaio 2004 n. 30; 3 giugno 2013 n. 116); sulla esigenza di assicurare “mezzi adeguati” per le esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore; più in generale incide sulla finalità di tutela del lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”, costituzionalmente garantita;
c) in terzo luogo, violazione degli artt. 2, 3, 97 Cost., poiché, incidendo la misura del prelievo normativamente imposto dall’art. 8, co. 3, in percentuale sul totale delle somme destinate, in annualità precedente, a far fronte ai cd.consumi intermedi, tale misura incide, in modo non ragionevole, sulla autonomia dell’ente e sulla sua disponibilità e destinazione delle somme derivanti da contribuzioni dei propri iscritti a esigenze strumentali alla realizzazione della finalità previdenziali. E ciò in quanto, mentre per i soggetti amministrazioni pubbliche che ricevono finanziamenti volti a coprire (anche) i propri consumi intermedi, la misura determina una riduzione dei finanziamenti a tali soggetti destinati, e dunque in un risparmio per le casse dello Stato, nel caso di specie, costituendo dette somme parte dei contributi versati dagli iscritti per finalità previdenziali (ed essendo i consumi intermedi strumentalmente legati al raggiungimento di detta finalità), la loro riduzione (per il tramite del versamento imposto alla Cassa), determina non già un risparmio per lo Stato, bensì una “entrata” supplementare per lo stesso, con corrispondente riduzione delle somme destinate a finalità previdenziali, Il prelievo disposto incide altresì sul principio di buon andamento delle amministrazioni pubbliche, posto che esso non realizza meditatamente alcuna economicità dell’azione amministrativa, e determina altresì una distrazione di somme dalla loro finalità tipica;
d) in quarto luogo, violazione degli artt. 3 e 53 Cost., poiché (anche nella misura in cui vi può essere assimilazione dei contributi versati dagli iscritti alle Casse a “tributi”), il prelievo determinato dal versamento imposto alla Cassa in misura percentualmente fissa su una cifra determinata da quanto complessivamente speso per consumi intermedi nell’annualità 2010, non tiene in alcun conto né la capacità contributiva del soggetto né qualsivoglia criterio di progressività, in ciò determinando altresì sia una disparità di trattamento tra soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione, indipendentemente dalla loro soggettiva capacità contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione normativa.
L’ordinanza ha, dunque, ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 3, d.l. .6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135, con riferimento alle norme della predetta disposizione, come sopra specificate, per violazione degli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53, 97 Cost.
Di conseguenza, in attesa della decisione della Corte Costituzionale, ha sospeso il processo.
3. La Corte Costituzionale, con sentenza 11 gennaio 2017 n. 7, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, co. 3, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. In l. 7 agosto 2012 n. 135 “nella parte in cui prevede che la somma derivante dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato”
Secondo la Corte costituzionale:
– “la trasformazione della Cassa operata dal d.lgs. n. 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell’ente e sulle modalità organizzative delle sue funzioni, non ha modificato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza, che mantiene non solo una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico di assicurare dette prestazioni sociali a particolari categorie di lavoratori, ma acquisisce un ruolo rilevante in ambito europeo attraverso l’inclusione delle risultanze del relativo bilancio nel calcolo del prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato (PNLpm), mediante le uniformi regole di contabilizzazione del sistema europeo dei conti economici integrati. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «dal quadro così tracciato [dalla riforma] emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale. L’esclusione di un intervento a carico della solidarietà generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario» (sentenza n. 248 del 1997);
– ” la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost. con riguardo alla sola prescrizione inerente all’imposizione del versamento annuale nelle casse dello Stato, è fondata” poiché “la scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non è conforme né al canone della ragionevolezza, né alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall’art. 38 Cost., né al buon andamento della gestione amministrativa della medesima”;
– “se, in astratto, non può essere disconosciuta la possibilità per lo Stato di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che – come la CNPADC – sostanzialmente si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti, non è invece conforme a Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell’equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese”;
– “se la prima parte dell’art. 1, comma 3, appare … un efficace strumento di coordinamento della finanza pubblica, la seconda parte – nel destinare detto risparmio all’Erario – collide anche con l’art. 97 Cost., in quanto sottrae alla CNPADC risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti. E, nel caso di specie, non è tanto l’entità del prelievo – peraltro esiguo in rapporto alla dimensione delle entrate dello Stato – a determinare la non conformità a Costituzione, quanto l’astratta configurazione della norma, che aggredisce, sotto l’aspetto strutturale, la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si articola «la naturale missione» della CNPADC di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale”;
– “in un sistema ispirato – pur nell’ambito del meccanismo contributivo – alla capitalizzazione dei contributi degli iscritti, l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare quegli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale autonoma”.
4. Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza pubblica di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
Diritto
5. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
5.1. Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello, proposta dalle amministrazioni appellate con la memoria depositata il 15 maggio 2017, poiché lo stesso “non si sostanzia in un vero e proprio atto di impugnazione della richiamata sentenza, ma in una generica contestazione della pronuncia di I grado, strumentale ad ottenere un riesame della questione già trattata dal giudice di prime cure”.
Inoltre, le amministrazioni appellate eccepiscono che l’appello deve essere dichiarato inammissibile o improcedibile, poiché “la nota n. 13406 del 21 settembre 2012 … non ha contenuto precettivo o esecutivo e, pertanto, non produce effetti immediatamente lesivi della sfera giuridica del destinatario”.
Le eccezioni proposte sono infondate e devono essere, pertanto, respinte.
Giova ricordare che l’oggetto del ricorso instaurativo del giudizio di I grado e dei motivi aggiunti successivamente proposti è rappresentato dagli atti applicativi (così già definiti anche nella sentenza impugnata e nell’ordinanza di rimessione) dell’art. 8 del d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012 n.135, dei quali si chiede l’annullamento, e precisamente: le circolari n. 28/2012 e 31/2012 del Ministero dell’Economia e delle finanze, nonché la nota n. 13406 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Orbene – in disparte ogni considerazione in ordine alla inammissibilità delle ulteriori censure che, riferendosi più propriamente all’ammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, avrebbero dovuto essere riproposte con appello incidentale – occorre osservare:
– quanto alla prima eccezione di inammissibilità, l’appello propone autonome ed articolate censure nei confronti della sentenza di I grado, proprio sulla base delle quali il Collegio ha ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale. D’altra parte, se – come afferma la sentenza impugnata – i motivi di cui al ricorso principale “afferiscono sostanzialmente a profili di illegittimità costituzionale sollevati nei confronti delle norme di legge in applicazione delle quali sono stati adottati i provvedimenti e le circolari impugnati”, appare del tutto conseguente che i motivi di appello censurino le argomentazioni con le quali la sentenza esclude che le norme delle quali gli atti impugnati fanno applicazione, siano affette da illegittimità costituzionale:
– quanto alle ulteriori censure di inammissibilità o di improcedibilità, gli atti impugnati, in quanto diretti ad applicare norme primarie disponenti un prelievo e la misura del medesimo, sono immediatamente lesivi delle posizioni giuridiche dell’attuale appellante (e tali sono stati giudicati dalla sentenza di I grado, non impugnata sul punto).
Le argomentazioni sin qui esposte sorreggono anche il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’appello, di cui alla memoria del 24 dicembre 2014.
5.2. Alla luce delle argomentazioni della Corte Costituzionale, appare evidente la fondatezza di ambedue i motivi di appello (come sintetizzati alle lett. a) e b) dell’esposizione in fatto).
Come ha affermato la Corte Costituzionale, nel riconoscere sussistente la violazione degli artt. 3, 38 e 97 Cost., “la scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non è conforme né al canone della ragionevolezza, né alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall’art. 38 Cost., né al buon andamento della gestione amministrativa della medesima”.
E ciò sia in quanto non è conforme a Costituzione “un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali”, sia in quanto la previsione sottrae alla Cassa “risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti” e, ciò facendo “rischia di minare quegli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale autonoma”.
Da ciò consegue la fondatezza dei motivi di appello:
– sia allorchè con essi si censura la “distrazione” dei fondi derivanti dalla contribuzione degli iscritti (a prescindere dalla loro natura e dalla natura giuridica della Cassa) dalla loro finalità tipica (sub lett. a1) ed a2) dell’esposizione in fatto);
– sia allorchè con essi si lamenta che il prelievo realizza un “depauperamento della massa gestita”, con una misura del prelievo non predeterminata in misura fissa dalla legge” (sub lett. b1) e b2) dell’esposizione in fatto).
Sulla base di tutte le considerazioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, devono essere accolti il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed i motivi aggiunti al medesimo. Conseguentemente, devono essere annullati gli atti impugnati, in quanto applicazione, nei confronti della Cassa appellante, dell’art. 8, co. 3, d.l. 6 luglio 2012 n. 95, conv. In l. 7 agosto 2012 n. 135, nella parte in cui lo stesso “prevede che la somma derivante dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato”.
Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti – CNPADC e da G.R. e A.W. (n. 1046/2014 r.g.);
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed i motivi aggiunti ivi proposti e, di conseguenza, annulla gli atti con i medesimi impugnati, nei sensi di cui in motivazione;
b) compensa tra le parti spese ed onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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