CONSIGLIO DI STATO – Sentenza 23 dicembre 2016, n. 5447
Avvocati – Inps – Avvocatura interna – Potere di coordinamento dirigenti amministrativi
Fatto
1.- I soggetti indicati in epigrafe, Avvocati dell’Istituto nazionale previdenza sociale – I.N.P.S. (d’ora innanzi anche solo Ente o Istituto), hanno impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio taluni provvedimenti adottati dall’Istituto di riorganizzazione degli uffici della sua avvocatura interna.
Le questioni poste all’esame del Tribunale attengono ai poteri del commissario ad acta nonché lo status giuridico degli avvocati interni in relazione al potere di coordinamento affidato a dirigenti amministrativi dell’Istituto nonché lo status economico degli avvocati interni.
2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 13 aprile 2011, n. 3220, ha rigettato tutte le censure.
3.- I ricorrenti in primo grado hanno proposto appello.
3.1.- Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, chiedendo il rigetto dell’appello.
3.2.- Con atto del 16 giugno 2016 l’appellante I.P. ha rinunciato al ricorso in appello «tenuto conto dei provvedimenti successivi adottati dall’Inps».
3.3.- L’udienza di merito è stata fissata per il 20 maggio 2014. Gli appellanti hanno chiesto un rinvio per potere esaminare tutta la documentazione depositata dall’amministrazione.
3.4.- La nuova udienza, a seguito di presentazione di apposita istanza da parte degli interessati, è stata fissata per il 14 aprile 2016.
3.5.- La Sezione, con ordinanza 27 aprile 2016, n. 1617, ha rimesso alla decisione degli appellanti stessi la determinazione in ordine all’eventuale impugnazione, con motivi aggiunti, delle determinazioni 17 luglio 2014, n. 117 e n. 118 dell’Ente.
4.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 24 novembre 2016.
Diritto
1- La questione posta all’esame del Collegio attiene alla legittimità di taluni atti organizzativi adottati dall’Istituto nazionale previdenza sociale – I.N.P.S. (d’ora innanzi solo Istituto I.N.P.S.) che hanno inciso sull’attività posta in essere dall’avvocati che compongono gli uffici legali dell’Ente.
2.- In via preliminare, deve essere dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse in relazione alle questioni, poste con l’atto di appello, relative allo status economico degli avvocati interni e alle modalità di ricorso ai domiciliatari e sostituti “esterni”;
3.- L’esame delle altre questioni rimaste deve essere preceduta dalla ricostruzione del quadro normativo rilevante e dalle implicazioni di sistema desumibili in relazione alla ricostruzione del rapporto di lavoro degli avvocati degli enti pubblici.
3.1.- L’art. 3 del regio-decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) ha previsto che gli avvocati e i procuratori degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti pubblici sono «iscritti nell’elenco speciale» annesso all’albo (art. 3, comma 4).
L’art. 15 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), dopo avere previsto che il ruolo dei dipendenti pubblici si distingue in amministrativo, tecnico e professionale, ha disposto che appartengono a quest’ultimo «i dipendenti i quali, nell’esercizio dell’attività svolta nell’ambito dei compiti istituzionali dell’ente cui appartengono, si assumono, a norma di legge, una personale responsabilità di natura professionale e per svolgere le loro mansioni devono essere iscritti in albi professionali». La norma aggiunge che: «dell’esercizio dei singoli mandati professionali i dipendenti appartenenti al ruolo professionale rispondono direttamente al legale rappresentante dell’ente».
L’art. 19 del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 346 (Disposizioni sul rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70) ha previsto che:
– «l’attività legale negli enti è espletata presso uffici legali, ai sensi dell’art. 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, giusto il disposto dell’art. 15 della legge 20 marzo 1975, n. 70, previsti nell’ordinamento dei servizi di ciascun ente, la cui organizzazione è assicurata dalla funzione di coordinamento ai livelli centrali e periferici» (comma 1);
– «agli uffici legali sarà garantito il necessario supporto amministrativo e tecnico di collaborazione, adeguato qualitativamente-quantitativamente e funzionalmente dipendente dagli uffici stessi, nonché idonea dotazione di mezzi strumentali» (comma 2);
– «gli aspetti organizzativi generali, anche per quanto attiene alle esigenze di collaborazione degli uffici legali con il direttore generale ed i dirigenti delle unità funzionali ed operative, nonché la rilevazione della osservanza degli obblighi connessi al rapporto di impiego sono fissati dall’ordinamento dei servizi» (comma 3);
– «gli incarichi di coordinamento, sia a livello centrale che periferico, sono conferiti al personale legale sulla base delle specifiche e peculiari esigenze di funzionalità dei singoli uffici» (comma 4).
L’art. 23 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) ha disposto che:
– «gli avvocati degli uffici legali specificamente istituiti presso gli enti pubblici, anche se trasformati in persone giuridiche di diritto privato, sino a quando siano partecipati prevalentemente da enti pubblici, ai quali venga assicurata la piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente ed un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta, sono iscritti in un elenco speciale annesso all’albo» (comma 1, prima parte);
– «l’iscrizione nell’elenco è obbligatoria per compiere le prestazioni indicate nell’articolo 2» e «nel contratto di lavoro è garantita l’autonomia e l’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica dell’avvocato» (comma 1, seconda parte);
– «per l’iscrizione nell’elenco gli interessati presentano la deliberazione dell’ente dalla quale risulti la stabile costituzione di un ufficio legale con specifica attribuzione della trattazione degli affari legali dell’ente stesso e l’appartenenza a tale ufficio del professionista incaricato in forma esclusiva di tali funzioni; la responsabilità dell’ufficio è affidata ad un avvocato iscritto nell’elenco speciale che esercita i suoi poteri in conformità con i principi della legge professionale» (comma 2);
– «gli avvocati iscritti nell’elenco sono sottoposti al potere disciplinare del consiglio dell’ordine» (comma 3).
3.2.- Gli avvocati dell’I.N.P.S., cosi come quelli in generale degli enti pubblici, rivestono, rispetto agli avvocato del libero foro, una posizione peculiare nel sistema.
A tale proposito, occorre distinguere un piano strutturale e un piano funzionale.
Sul piano strutturale, gli avvocati del libero foro stipulano con i clienti un contratto di prestazione d’opera professionale che è retto interamente dalle regole di diritto privato, con conseguente responsabilità secondo i principi civilistici.
Gli avvocati degli enti pubblici stipulano, da un lato, un contratto di lavoro con l’ente pubblico, in veste di datore di lavoro, che li inserisce, con qualifiche di funzionario o dirigente, nell’organizzazione dell’ente, dall’altro, un contratto di prestazione d’opera professionale con il medesimo ente pubblico, in veste di “cliente unico”, con il quale viene conferito, secondo modalità dipendenti dalla tipologia di Ente che viene in rilievo, incarico di svolgere una determinata attività difensiva.
Sul piano funzionale, l’attività che gli avvocati pongono in essere risente della indicata duplicità di posizione strutturale, essendo necessario anche, in relazione a tale aspetto, distinguere due ambiti. Un primo ambito attiene allo svolgimento dell’attività professionale che deve essere eseguita in piena autonomia al fine di assicurare il rispetto delle regole che operano per tutti gli avvocati, con la conseguenza che non sono ammesse interferenze da parte dell’Ente “cliente” in grado di condizionare le scelte difensive da assumere, ferma la responsabilità dell’avvocato secondo le regole generali nei confronti del rappresentante legale dell’Ente medesimo
Un secondo ambito attiene al contenuto “esterno” dell’attività e cioè al suo inserimento nell’ambito della complessiva organizzazione pubblica, in relazione alla quale l’Ente “datore di lavoro” conserva i suoi poteri privati e pubblici volti ad assicurare, mediante ad esempio la previsione di un orario di servizio, l’inserimento coordinato dell’attività svolta dall’avvocato nell’ambito della propria organizzazione, che rispetti sempre il proprium dei compiti assegnati.
Il piano strutturale e funzionale sono strettamente connessi.
L’Ente pubblico, nel regolare a livello organizzativo, in qualità di datore di lavoro, il rapporto di lavoro, gode di ampia discrezionalità, che, però, non può essere esercitata in una direzione tale da incidere sul piano funzionale afferente al contenuto proprio delle attività poste in essere. Se tale discrezionalità non incontrasse i suddetti limiti sarebbe agevole per l’ente pubblico eludere le garanzie di autonomia professionale dell’avvocato mediante la previsione di regole organizzative in grado di vanificare sostanzialmente tale autonomia.
4.- Con un primo motivo gli appellanti assumono che gli atti organizzativi impugnati, nella parte in cui collocano gli avvocati dell’ufficio legale alle dipendenze del direttore regionale e provinciale, si porrebbero in contrasto con le norme sopra riportate e inciderebbero sull’autonomia degli avvocati nello svolgimento della loro attività professionale.
Il motivo è fondato.
Gli atti organizzativi impugnati hanno il contenuto di seguito indicato.
La determinazione commissariale 29 dicembre 2008, n. 140: i) attribuisce al Direttore generale, nell’ambito di competenza territoriale, le funzioni di coordinamento delle attività professionali legali (All. C, art. 19, comma 1, lettera n); ii) istituisce presso ciascuna Direzione generale «la Conferenza dei coordinatori legali», che è presieduta dal Direttore regionale (All. C, art. 19, comma 4); iii) prevede che le «Direzioni provinciali, tenuto conto delle direttive regionali, esercitano le funzioni (…)di gestione delle attività professionali» (All. C, art. 20, comma 1, lettera d); iv) la Direzione regionale «esercita, nell’ambito degli indirizzi stabiliti dagli organi e delle direttive gestionali emanate dal Direttore generale, il coordinamento delle attività professionali legali» (All. “A”, punto “A”); v) la Direzione provinciale «pianifica, coordina operativamente e svolge, nell’ambito degli indirizzi stabiliti dagli organi e delle direttive gestionali emanate dal Direttore generale e dal Direttore regionale, le attività professionali legali» (All. “A” punto “B”).
La determinazione commissariale 23 ottobre 2008, n. 26 ha soppresso il richiamo all’ «autonomia tecnica, professionale ed organizzativa (con propri uffici) », come era previsto nelle previgenti determinazioni, che, invece, è rimasta per i professionisti medici.
Le determinazioni 17 luglio 2014, n. 117 e n. 118, con cui si è proceduto, rispettivamente, ad approvare il regolamento di organizzazione dell’Istituto e sostituire le determinazioni n. 36 e 140 del 2008, hanno ripreso, sostanzialmente, il contenuto ritenuto lesivo delle precedenti determinazioni impugnate con il ricorso introduttivo del giudizio.
Le determinazioni 30 giugno 2016, n. 89 e 27 luglio 2016, n. 100 confermano anch’essa la pregressa impostazione.
Tali determinazioni, sin qui indicate, sono illegittime per violazione delle norme di regolazione della materia, così come sopra interpretate. Le stesse direttive riconoscono in capo ai Direttori provinciali la «responsabilità gestionale del contenzioso amministrativo e giudiziario in stretto raccordo e collaborazione con il coordinamento legale».
Le suddette determinazioni amministrative impugnate prevedono, come risulta dall’analisi del loro contenuto, che la funzione di coordinamento dell’ufficio legale venga assegnata ad un dirigente regionale o locale. Tale previsione si inserisce nell’ambito del potere organizzativo dell’Ente ma, nella specie, tale potere è stato esercitato in modo da superare il limite ad esso posto dal sistema a garanzia dell’autonomia funzionale degli avvocati dell’Istituto. Si dispone, infatti, che l’ufficio legale è inserito nell’ambito di un ufficio regionale o provinciale, il cui titolare è un Dirigente regionale o provinciale che esercita funzioni di direzione nei confronti degli avvocati facenti parte dell’Ente. Tale articolazione strutturale dell’ufficio comporta una chiara interferenza di un Dirigente nell’ambito dell’attività professionale propria del singolo avvocato. Non è, infatti, conforme al modello legale, come sopra prefigurato, che l’attività dell’avvocato debba essere conforme a direttive specifiche adottato da un soggetto esterno. E’ necessario dunque che, sul piano organizzativo, l’ufficio legale sia dotato di una propria autonomia e che sia collegato unicamente al rappresentante legale dell’Ente e non ad altri dirigenti abilitati a guidarne l’attività. Del resto, la stessa legge n. 247 del 2012 esplicita chiaramente un principio già desumibile dal sistema nella parte in cui prevede che è necessaria la «stabile costituzione di un ufficio legale» che abbia una «specifica attribuzione».
Devono, pertanto, essere dichiarate illegittime le determinazioni impugnate nei limiti sin qui indicati.
5.- Con un secondo motivo si contesta la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittime le determinazioni n. 89 e 220 del 2010, nella parte in cui rivedono i criteri di determinazione degli onorari riducendoli nella misura pari alla metà dei minimi della tariffa professionale. In particolare, si contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che è obbligo dell’ente pubblico dosare gli onorari in ragione del carico di lavoro sostenuto dal singolo professionista, del risultato ottenuto e della quantità e qualità del prodotto finale. Gli appellanti assumono l’incidenza illegittima su ambiti che dovrebbero essere riservati alla contrattazione collettiva. Nella memoria del 9 marzo 2016 gli appellanti hanno dedotto che la questione economica è stata oggetto di intervento normativo con l’adozione dell’art. 9 del decreto-legge n. 90 del 2014. Si assume, però, che permane un «sicuro interesse alla decisione per il periodo pregresso».
Il motivo non è ammissibile.
Gli appellanti deducono che gli atti impugnati sarebbero lesivi per il periodo intercorrente dalla loro adozione all’entrata in vigore del decreto-legge n. 90 del 2014.
Sul tale aspetto le censure sono inammissibili, in quanto gli appellanti non hanno dedotto alcun elemento volto a dimostrare che le determinazioni impugnate nel periodo della loro “vigenza” sono state applicate in senso pregiudizievole per gli appellanti. In altri termini, non sono stati indicati elementi puntuali di raffronto tra il compenso che sarebbe stato ottenuto in applicazione delle pregresse regolazioni e il compenso effettivamente percepito in applicazione delle nuove regolazioni, con riferimento a specifiche attività svolte dagli appellanti. In definitiva, la censura, così come prospettata, si risolve in una astratta contestazione delle determinazioni generali impugnate che, in un processo di natura soggettiva, quale è quello amministrativo, non può trovare ingresso. Non è un caso che in altri tre appelli aventi ad oggetto la medesima questione in esame e decisi con sentenza pubblicata in pari data a quella in esame, altri avvocati dell’I.N.P.S. e le stesse associazioni di categoria hanno dedotto la mancanza di interesse alla pronuncia in ordine a tale aspetto alla luce della sopravvenienza normativa sopra indicata.
6.- L’esito della controversia della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando:
a) dichiara l’appello in parte improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in parte fondato e in parte in fondato nei limiti indicati nella parte motiva della presente sentenza;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
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