CONSIGLIO di STATO sentenza n. 4163 del 10 ottobre 2016 sez. IV
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO – EQUO INDENNIZZO – COMITATO PER LE PENSIONI PRIVILEGIATE ORDINARIE
Fatto
La signora-OMISSIS- ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso il diniego opposto dal Ministero della Difesa all’istanza da lei proposta per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità che aveva determinato la morte del coniuge, Capo di seconda classe -OMISSIS- e la consequenziale concessione di equo indennizzo.
A sostegno dell’appello, l’istante ha dedotto:
1) violazione degli artt. 8, 9 e 10 della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (con riferimento alla reiezione della censura con cui era stata denunciata l’omissione delle doverose garanzie partecipative nel corso del procedimento);
2) erroneità delle conclusioni del primo giudice in ordine alle doglianze articolate nel merito delle conclusioni raggiunte dall’Amministrazione nel senso dell’insussistenza di nesso eziologico fra la patologia accusata dal coniuge dell’istante (carcinoma polmonare) e l’esposizione all’amianto per motivi di servizio.
L’Amministrazione appellata non si è costituita.
All’udienza del 22 settembre 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.
Diritto
1. L’odierna appellante, signora-OMISSIS-, ha purtroppo perso nel 1988 il proprio coniuge, Capo di seconda classe -OMISSIS- in conseguenza delle complicazioni di una patologia neoplastica (carcinoma polmonare) della quale ha successivamente chiesto l’accertamento della dipendenza da causa di servizio, chiedendo conseguentemente il riconoscimento di un equo indennizzo.
L’istanza è stata respinta con decreto direttoriale del 14 luglio 1992, dopo che:
– la Commissione Medica Ospedaliera dell’ospedale della Marina Militare di La Spezia si era espressa nel senso della dipendenza dell’infermità da causa di servizio (verbale nr. 5471 del 20 aprile 1989);
– la Commissione per le Pensioni Privilegiate Ordinarie aveva successivamente espresso, invece, parere contrario a tale riconoscimento (verbale nr. 8042/90 del 28 maggio 1990).
2. Avverso tali determinazioni l’interessata ha proposto ricorso giurisdizionale, che il T.A.R. del Lazio ha però respinto con la sentenza oggetto dell’odierno appello.
3. Ciò premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.
4. Innanzi tutto, va disatteso il primo motivo, col quale parte appellante reitera la doglianza di violazione delle garanzie partecipative previste dalla legge 7 agosto 1990, nr. 241; in particolare, ai rilievi del primo giudice, che ha evidenziato la non necessità di comunicazione di avvio del procedimento trattandosi nella specie di procedimento a istanza di parte, l’appellante oppone che sono stati omessi gli avvisi relativi ai passaggi endoprocedimentali che sarebbero stati utili a consentirle di replicare alle determinazioni assunte dall’Amministrazione, prima che queste si cristallizzassero nel provvedimento di diniego.
In tal modo, l’istante invoca una sorta di applicazione ante litteram dell’art. 10-bis della citata legge nr. 241/1990, pur riconoscendo espressamente che tale norma non è applicabile ratione temporis alla vicenda che occupa.
Tale impostazione non può però essere condivisa, dovendo affermarsi in via di principio che, una volta assolto l’onere informativo dell’avvio del procedimento amministrativo (ovvero, come nel caso di specie, una volta che questo è stato avviato su impulso dello stesso interessato), l’Amministrazione non è tenuta a comunicare anche i successivi atti istruttori ed endoprocedimentali, incombendo alla parte interessata, che è ormai pienamente a conoscenza dell’iterprocedimentale in corso – e salvo l’obbligo del preavviso di diniego, che come si è visto in questo caso non rileva -, l’onere di esercitare effettivamente le proprie garanzie partecipative.
5. Col secondo mezzo, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto le censure articolate nel merito delle conclusioni raggiunte dall’Amministrazione nel senso dell’esclusione della dipendenza da causa di servizio della patologia che ha cagionato il decesso del coniuge della stessa istante.
5.1. Al riguardo, occorre preliminarmente osservare che in parte qua il primo giudice:
– ha richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale, che questa Sezione condivide, secondo cui è del tutto fisiologico, in materia di equo indennizzo, che il diniego di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio trovi il proprio fondamento nel parere del C.P.P.O., anche qualora questo vada in contrario avviso rispetto al precedente parere della C.M.O., a condizione che il diverso avviso sia adeguatamente motivato sul piano tecnico-scientifico (cfr. ex plurimisCons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2014, nr. 5179; id., sez. VI, 1 dicembre 2009, nr. 7516; id., sez. IV, 10 dicembre 2007, nr. 6333);
– ha rilevato, con riferimento al caso di specie, che da un lato il parere del C.P.P.O. risultava corredato da congrua motivazione immune da vizi logici o travisamenti di fatto ictu oculi rilevabili, e che per altro verso le censure articolate in ricorso non contenevano argomenti idonei a scalfirne le conclusioni, essendo incentrate sostanzialmente sul richiamo del contrasto di detto parere con il precedente avviso della C.M.O., e più in generale su una ricostruzione scientifica alternativa e opposta in tema di eziologia dell’infermità accusata dal deceduto, non idonea però a inficiare le diverse conclusioni dell’Amministrazione.
5.2. Tanto premesso, l’esame degli atti del primo grado di giudizio evidenzia che le conclusioni del T.A.R. risultano in parte qua pienamente condivisibili.
Infatti, l’impugnato diniego richiama espressamente il parere del C.P.P.O. “sfavorevole alla concessione del predetto beneficio per non dipendenza da causa di servizio, in quanto, pur essendo ancora oscura l’intima essenza e l’esatta eziopatogenesi delle neoplasie maligne, viene tuttavia esclusa dalla prevalente dottrina medica ogni influenza causale dei fattori generici (disagi, strapazzi, privazioni ecc.) e che, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante è possibile ravvisare alcun nesso con il servizio, tenuto presente che nel caso di specie gli invocati eventi nocivi (polveri, fumi, condizionatori d’aria ecc.) non assumono un ruolo prevalente nel determinismo della forma neoplastica in questione”.
Si aggiunge altresì, richiamando apposita relazione di perizia, che “tra le principali cause favorenti l’insorgenza del carcinoma polmonare risultano il fumo di tabacco, i prodotti di combustione della nafta, della benzina, del carbone ecc., alcune sostanze radioattive e le virosi respiratorie e la bronchite cronica che danno lesioni dell’epitelio bronchiale cui può conseguire proliferazione cellulare di tipo neoplastico”, e viene poi evidenziato che “dall’anamnesi riportata nella cartella clinica relativa al ricovero del 28.01.88 risulta che il militare in questione fumasse da molti anni (ca. 14) quaranta sigarette al dì ed al fumo da tabacco è riconosciuto, perché scientificamente provato, ruolo causale nell’eziopatogenesi del carcinoma polmonare, mentre i disagi generici legati all’ambiente di bordo non costituiscono cause determinanti ed efficienti nell’insorgenza di tale infermità, in quanto provocano variazioni nella concentrazione ambientale di sostanze nocive, polveri e fumi, di entità minima e, quindi, non sufficiente a determinare maggiore possibilità di rischio a contrarre la malattia rispetto alla popolazione normale”.
Trattasi, come è del tutto evidente, di argomentazioni ampie e specificamente ancorate sia alle risultanze della letteratura scientifica in materia, sia alle specifiche circostanze di fatto relative ai possibili fattori determinanti l’insorgere della patologia (passato di forte fumatore dell’interessato) ed alle specifiche mansioni cui era stato adibito durante il servizio (ridimensionamento della sua possibile esposizione a sostanze nocive).
5.3. A fronte di tali piene risultanze, se risulta umanamente comprensibile l’insistenza dell’odierna appellante nel coltivare un’opposta convinzione, i noti e indefettibili limiti al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni rimesse alla sfera tecnico-discrezionale della p.a. precludono di accedere, in carenza di significativi elementi indiziari di macroscopici errori e travisamenti, a un riesame di merito delle conclusioni testé riassunte.
6. Per completezza espositiva, va aggiunto che non possono essere condivise, siccome manifestamente infondate, neanche le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’appellante in via subordinata con riferimento all’art. 5-bis del decreto-legge 21 settembre 1987, nr. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, nr. 472, del quale è denunciato il contrasto con plurimi parametri costituzionali nella parte in cui, come si è visto, consente che il parere della C.M.O., la quale si sia espressa nel senso della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, possa essere contraddetto dal diverso avviso del C.P.P.O.
6.1. La questione de qua, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost., è stata più volte dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, osservandosi che la valutazione medico-legale sulla dipendenza da causa di servizio di un’infermità invalidante, in vista della decisione sulla liquidabilità dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata, è più complessa di quella necessaria per decidere sulla domanda di riconoscimento di dipendenza dell’infermità da causa di servizio, e in relazione a tale maggiore complessità, si giustifica la specifica competenza del C.P.P.O. (cfr. Corte cost., sent. 21 giugno 1996, nr. 209; ord. 26 luglio 1996, nr. 323).
6.2. Quanto all’ipotizzato contrasto con l’art. 38 Cost., va rilevato che la questione attiene non tanto alla tutela del diritto alla salute del lavoratore, quanto piuttosto alla tutela delle esigenze di vita del familiare superstite attraverso l’obbligo solidaristico imposto allo Stato di predisporre rimedi risarcitori-indennitari.
Sotto tale ultimo profilo la Corte ha più volte affermato che non è illegittima la disciplina che assoggetti a oneri e condizioni il riconoscimento di detti benefici, non avendo in questo caso il diritto tutelato dall’art. 38 portata assoluta, ma dovendo conciliarsi e bilanciarsi con altri interessi e valori di primario rilievo costituzionale, come ad esempio l’equilibrio delle finanze pubbliche (cfr. Corte cost., sent. 11 novembre 2010, nr. 316; ord. 23 maggio 2003, nr. 173).
Ne discende che, se la prospettata questione di legittimità costituzionale fosse mossa dall’intento di riconoscere portata prevalente e assoluta al diritto alla salute, ciò dovrebbe comportare l’incostituzionalità di ogni disciplina che assoggetti il riconoscimento di benefici economici in favore dei portatori di determinate patologie a presupposti ed accertamenti medico-legali: ma è evidente che una tale spettanza “automatica” dei benefici, per il solo fatto dell’esistenza di un’infermità, non costituisce esito doveroso alla luce del vigente quadro costituzionale.
6.3. Infine, quanto al richiamo all’art. 24 Cost., anche sotto tale profilo la questione è manifestamente infondata, atteso che un problema di tutela del diritto di difesa può porsi, oltre che per i procedimenti giurisdizionali, non anche per tutti i procedimenti amministrativi, ma al più per quelli a carattere contenzioso o sanzionatorio (cfr. Corte cost., sent. 21 aprile 1994, nr. 155), caratteri che certamente non ha la procedura per il riconoscimento dell’equo indennizzo, laddove non v’è frustrazione del diritto alla tutela giurisdizionale, il quale può utilmente essere esercitato all’esito delle valutazioni compiute dalla p.a.
7. Alla stregua dei superiori rilievi, s’impone una pronuncia di reiezione del gravame e di conferma della sentenza impugnata.
8. Non essendovi costituzione di controparte, non v’è luogo ad alcuna statuizione sulle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
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