CONSIGLIO di STATO sentenza n. 4509 del 27 ottobre 2016 sez. IV
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – MOBBING – PUBBLICO IMPIEGO – COMPORTAMENTI A CARATTERE PERSECUTORIO – ONERE DELLA PROVA
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso depositato in data 24 febbraio 2009 il signor An. Ca., assistente capo della Polizia Penitenziaria in servizio presso il Centro Penitenziario di Secondigliano, ha chiesto l’accertamento del diritto al risarcimento del danno professionale, economico, biologico ed esistenziale patito per effetto della condotta vessatoria dell’Amministrazione (mobbing) con conseguente condanna dell’Amministrazione stessa al pagamento della somma complessiva di euro 136.880 ovvero di quella ritenuta di giustizia.
2. Con sentenza 11 marzo 2011, n. 1444, il T.A.R. per la Campania, sez. VII, ha respinto il ricorso, ritenendo che i successivi episodi di conflitto fra il ricorrente e l’Amministrazione penitenziaria, neppure se complessivamente considerati, non consentissero di individuare un disegno unitariamente persecutorio e discriminante.
3. Il signor Ca. ha interposto appello contro la sentenza proponendo anche una domanda cautelare, che la Sezione ha respinto con ordinanza 30 giugno 2011, n. 2786.
3.1. Premessa un’analisi della nozione di mobbing, formulata sulla base della giurisprudenza, l’appellante si duole di una serie di comportamenti dell’Amministrazione, descritti dettagliatamente nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado ed esposti in termini riassunti in questo grado di appello, che avrebbero causato una lesione permanente della sua integrità psico-fisica e configurerebbero in capo all’Amministrazione resistente un cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Si duole del mancato accoglimento della richiesta di nomina di un c.t.u. (il T.A.R. avrebbe omesso di pronunziarsi) e insiste nella sua domanda.
4. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
5. All’udienza pubblica del 20 ottobre 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
6. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.
7. L’appello è infondato.
7.1. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “il mobbing, nel rapporto di impiego pubblico, si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica” (sez. VI, 12 marzo 2015, n. 1282; sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 284).
7.2. Pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare:
a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1945; Cass. civ., sez. lav., 19 febbraio 2016, n. 3291; id., 16 marzo 2016, n. 5230).
7.3. La sussistenza di condotte c.d. mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione o emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini della configurazione del mobbing (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 gennaio 2015, n. 28; id., sez. III, 4 febbraio 2015, n. 529; id., sez. VI, 12 marzo 2015, n. 1282; id., sez. III, 14 maggio 2015, n. 2412; id., sez. VI, n. 284/2016, cit.).
7.4. Conseguentemente un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1945; id., sez. VI, n. 284/2016, cit.).
7.5. Su queste premesse, è sufficiente osservare, che anche al di là dei singoli episodi lamentati dall’appellante (di cui il Collegio ritiene di far propria la dettagliata analisi compiuta dal primo giudice, che bene sottolinea come il privato accorpi anche vicende succedutesi pure ad ampio intervallo di tempo l’una dalle altre e fatti privi, almeno in apparenza, di qualunque connessione tra di loro), il signor Ca. non ha replicato all’argomento principale posto a base della decisione impugnata, nel senso che non ha assolto all’onere di dimostrare l’esistenza di quell’intento persecutorio, unificante i singoli eventi, che solo potrebbe giustificare l’accoglimento della domanda sotto il profilo del preteso mobbing.
7.6. Manca dunque, nella specie, la stessa condotta illecita ascrivibile all’Amministrazione intimata.
7.7. Quanto alla mancata nomina di un c.t.u., della quale in questo grado neppure vengono chiaramente indicate le finalità, il Collegio è dell’avviso che essa sia priva di qualunque ragione e non possa dunque essere accolta.
8. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.
9. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
10. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
11. Considerata la natura della controversia, le spese di lite relative al secondo grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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