CONSIGLIO di STATO sentenza n. 5014 del 28 novembre 2016 sez. II

LAVORO RAPPORTO DI LAVORO EXTRACOMUNITARI – PERMESSO PER SOGGIORNANTI DI LUNGO PERIODO – RILASCIO – DINIEGO – GIUDIZIO SULLA PERICOLOSITA’ SOCIALE – OBBLIGO

FATTO E DIRITTO

1. L’appellante ha chiesto alla Questura di Milano il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo.

Con decreto del 28 ottobre 2013, n. 8492, la Questura di Milano ha respinto l’istanza, rilevando che la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 5 maggio 2011, ha condannato l’interessato per reati di truffa, commercio ambulante di articoli con marchio contraffatto, detenzione e commercio di materiale atto alla contraffazione ed alterazione di segni distintivi di prodotti industriali.

2. Col ricorso n. 49 del 2014 (proposto al TAR per la Liguria), l’interessato ha impugnato il decreto di data 28 ottobre 2013 e ne ha chiesto l’annullamento.

3. Il TAR, con la sentenza n. 186 del 2015, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio.

4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto.

Le Amministrazioni statali si sono costituite in giudizio ed hanno chiesto che l’appello sia respinto.

Con l’ordinanza n. 2984 del 2015, questa Sezione ha accolto la domanda incidentale cautelare dell’appellante ed ha sospeso l’esecutività della sentenza appellata.

All’udienza del 3 novembre 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. Col primo motivo d’appello, l’interessato ha dedotto che il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe stato emesso in violazione dell’art. 4, comma 3, dell’art. 5, comma 5, dell’art. 9, comma 4, e dell’art. 26, comma 7 bis, del testo unico 25 luglio 1998, n. 298, poiché la Questura di Milano ha respinto l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, per motivi di lavoro autonomo, per il solo fatto che egli – con sentenza della Corte d’appello di Genova del 5 maggio 2011, passata in giudicato – è stato condannato alla pena di cinque mesi e quindici giorni di reclusione e di euro 550 di multa, per la violazione degli articoli 474 e 473 del codice penale.

Con i due motivi d’appello, l’interessato ha dedotto che l’Amministrazione avrebbe dovuto effettuare una valutazione in concreto della sua situazione personale (tenendo conto della risalenza e dell’unicità del reato commesso), in quanto è stato presente in Italia dal 1990 ed ha costantemente lavorato, come è risultato dalla documentazione esibita a corredo delle varie istanze di rinnovo succedutesi nel tempo.

Inoltre, contrariamente a quanto ha rilevato il TAR, vi sarebbero legami familiari che l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare, risiedendo in Italia il suo unico fratello.

6. Così sintetizzate le articolate censure dell’atto di appello, ritiene la Sezione che esse siano infondate e vadano respinte.

6.1. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione dell’art. 26, comma 7 bis, del d.lgs. 286 n. 1998 (introdotto dall’art. 21, comma 2, della legge 189/2002), ritiene la Sezione di dover ribadire quanto già affermato con la propria precedente sentenza 12 settembre 2014, n. 4659, per la quale il medesimo art. 26, comma 7 bis, è univoco nel disporre che deve esservi la revoca del titolo di soggiorno (e quindi, a maggior ragione, la reiezione della domanda di rilascio o di rinnovo del permesso) nei confronti di chi sia stato condannato irrevocabilmente per i reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge n. 633 del 1941 e dagli art. 473 e 474 c.p. (che comprendono tutte le ipotesi di contraffazione, alterazione o indebito uso di marchi o di segni distintivi dei prodotti), senza che sia necessaria alcuna ulteriore motivazione in ordine alla pericolosità sociale (cfr. Cons. Stato, III, 27 marzo 2012 n. 1784).

Le questioni di costituzionalità dell’art. 26, comma 7 bis, sono state più volte considerate manifestamente inammissibili dalla Corte Costituzionale (cfr. ord. 4 maggio 2005, n. 189; sent. 22 giugno 2006, n. 240; ord. 21 marzo 2007, n. 101; ord. 17 luglio 2009, n. 219; sent. 29 aprile 2010, n. 152).

Il comma 7 bis mira a reprimere, con misure anche amministrative, comportamenti la cui pericolosità sociale può non emergere, se li si considera singolarmente, ma che rientrano nell’ambito di fenomeni di illegalità di vaste proporzioni, che recano un grave pregiudizio ai diritti di proprietà industriale e incidono negativamente sulle regole della concorrenza, con pregiudizio di chi rispetti invece la legge (cfr. Cons. Stato, III, 9 luglio 2013, n. 3650).

La disposizione dunque risulta di per sé ragionevole, anche se considerata alla luce dei principi in tema di limiti all’applicazione delle preclusioni automatiche e delle previsioni restrittive in tema di soggiorno e di svolgimento di attività lavorativa, richiamati dall’appellante.

6.2. L’appellante incentra le proprie deduzioni – per superare il dato testuale delle disposizioni complessivamente applicate col provvedimento impugnato – anche sulle argomentazioni dell’ordinanza della Corte Costituzionale n. 58 del 2014, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale, riguardante l’applicazione automatica della misura del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, nel caso di condanna prevista dall’art. 381 c.p.p.: la Corte ha infatti confrontato la posizione del lavoratore extracomunitario che si trovi in una situazione di irregolarità, a quella del lavoratore che chieda il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

Osserva il Collegio che, nella specie, non si tratta di un diniego di un permesso per soggiornanti di lungo periodo, sicché non rilevano le considerazioni svolte al riguardo dalla Corte Costituzionale.

Il caso in esame è invece sostanzialmente assimilabile a quello deciso da questa Sezione con la sentenza 23 settembre 2015, n. 4470, che ha chiarito quale sia l’effettivo ambito di applicazione del principio posto a base della citata ordinanza della Corte Costituzionale n. 58 del 2014.

La sentenza n. 4470 del 2015 ha rilevato che la Corte Costituzionale:

– ha condiviso il principio secondo cui l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 esige che l’eventuale diniego di rilascio del ‘permesso per soggiornanti di lungo periodo’ sia sorretto da un giudizio sulla pericolosità sociale, con una motivazione fondata anche sulla durata del soggiorno nel territorio nazionale e sull’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, escludendo l’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate;

– si è dunque riferita unicamente ai casi in cui si tratti della richiesta della carta di soggiorno di lungo periodo, e cioè ai casi in cui vi sia stata una specifica domanda in tal senso.

Nel caso in esame, invece, non si tratta del provvedimento che ha esaminato la sussistenza dei requisiti per il rilascio della carta di soggiorno di lungo periodo, sicché non può applicarsi all’appellante la ‘interpretazione costituzionalmente orientata’ prefigurata dalla ordinanza n. 58 del 2014.

7. Per le ragioni che precedono, l’appello è infondato e va respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello n. 4876 del 2015.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.