CONSIGLIO di STATO sentenza n. 5016 del 29 novembre 2016 sez. II
LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – CONCORSO PUBBLICO – VALUTAZIONI ESPRESSE DALLE COMMISSIONI GIUDICATRICI – PROVE DI CONCORSO
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 4237/2013 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma – ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante R. S. volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento con cui la Commissione ha deliberato di non procedere alla lettura dei successivi elaborati, con riferimento alle prove di esame del concorso indetto con bando pubblicato sulla G.U. IV ss. n. 3 del 12.01.2012 – Serie IV – per la copertura di 200 posti di sedi notarili, concorso indetto con D.D. 28.12.2009.
2. L’odierno appellante aveva prospettato quattro macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, sostenendo che:
a) per un verso il giudizio di inidoneità reso sul primo elaborato (atto “mortis causa”) era illogico e viziato;
b) sotto altro profilo, la “scelta” di non procedere alla correzione degli altri due elaborati era errata, in quanto non era riscontrabile alcuna nullità dell’elaborato corretto, né alcuna insufficienza connotata dal carattere della gravità (come previsto dal comma 7 dell’art. 11 del decreto legislativo n. 166/2006).
3. Il Ministero della Giustizia si era costituito chiedendo la reiezione del ricorso in quanto infondato.
4. Il primo giudice ha partitamente esaminato le censure proposte dall’appellante e le ha respinte deducendo che:
a) il sindacato giurisdizionale in subiecta materia doveva svolgersi all’interno del perimetro “abnormità/irragionevolezza”;
b) la Commissione aveva proposto temi che prevedevano non già soluzioni corrette predeterminate in astratto, bensì più soluzioni possibili in concreto, purché correttamente costruite sul piano giuridico ed adeguatamente motivate;
c) dalla lettura delle motivazioni della Commissione emergeva che il candidato sostanzialmente non aveva considerato e quindi non aveva concretamente risolto i problemi posti dalla traccia (nello specifico, il verbale indicava che “il candidato non ha, difatti, adeguatamente considerato l’intento del testatore – evidenziato dal riferimento al patto di famiglia – di rendere il più possibile sicura l’attribuzione dell’azienda al figlio C., optando – pur avendo enunciato una chiara opzione in ordine all’applicazione dell’istituto ex art. 588 cpv. cc – per una sostanziale divisione con determinazione di quote, con conseguente contraddizione intrinseca dell’atto ed elusione delle problematiche proposte. Omette, inoltre, l’individuazione del soggetto onerato del legato in favore di Cecilia, aggravando le criticità che la traccia intende superare. La parte teorica risulta – inoltre – caratterizzata dalla medesima contraddizione”);
d) il giudizio della Commissione secondo cui il candidato, nel redigere l’atto sulla base di una traccia da lui travisata, ‘non aveva “adeguatamente” considerato l’intento del testatore’ ed aveva eluso le problematiche proposte, era espressivo della conseguente inidoneità dell’atto a realizzare “le finalità pratiche indicate dalle parti”, e suscettivo di integrare una delle ipotesi di grave insufficienza della prova, come individuate dall’Organismo di valutazione nella seduta del 14 marzo 2011;
e) la Commissione aveva altresì fatto riferimento ad una “contraddizione intrinseca dell’atto” – laddove il candidato, pur avendo enunciato una chiara opzione per l’istituto ex art. 588 cpv c.c., aveva invece optato per una sostanziale divisione con determinazione di quote – in tal modo evidenziando una ulteriore ipotesi di grave insufficienza della prova, come individuata dalla Commissione ai sensi del predetto art. 11, comma 7, sub specie di “contraddittorietà tra le soluzioni adottate ….e le relative ragioni giustificative”;
f) ciò legittimava la interruzione della correzione dei successivi elaborati e la formulazione del giudizio di inidoneità;
g) detto giudizio reso dalla Commissione, in sé privo di elementi di macroscopica arbitrarietà od irragionevolezza, non poteva essere smentito attraverso il richiamo effettuato dall’originario ricorrente alla dottrina, o mediante la produzione in giudizio di pareri pro veritate, atteso che, spettava in via esclusiva alla Commissione “la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi e, a meno che non ricorresse l’ipotesi residuale del macroscopico errore logico”, non era consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate opinioni di soggetti terzi.
5. l’originario ricorrente rimasto soccombente ha impugnato la detta decisione, che ha criticato sotto numerosi angoli prospettici, chiedendone la riforma e riproponendo integralmente le censure disattese in primo grado.
Più in dettaglio, l’appellante ha rilevato che la sentenza impugnata aveva affermato taluni principi generali astraendosi dal caso concreto e richiamando elementi (ad esempio in punto di irrilevanza dei pareri pro veritate) distonici rispetto alle censure proposte.
Inoltre la decisione di prime cure aveva acriticamente riproposto il principio della insindacabilità delle valutazioni rese dalle commissioni di concorso omettendo di cogliere che nel caso di specie si era in presenza di un diverso metro valutativo, adottato in corso di correzione, che rendeva inattendibile la valutazione resa dalla commissione con riferimento alla posizione dell’appellante.
6. In data 16.1.2014 il Ministero della Giustizia si è costituito depositando atto di stile.
7. In data 16.7.2016 il Ministero della Giustizia ha depositato un’articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato e ribadendo che l’elaborato attinto dalla negativa valutazione della Commissione era effettivamente carente, in quanto nell’elaborato avrebbe dovuto assolutamente chiaro che la determinazione delle quote dovesse avvenire con riferimento al momento dell’apertura della successione, in quanto una predeterminazione delle stesse in un momento anteriore era incompatibile con la struttura e la funzione dell’istituto asseritamente prescelto della institutio ex re certa.
8.Alla odierna pubblica udienza del 3 novembre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto.
1.1. La impugnata decisione ha preso in esame le censure afferenti alla specifica posizione dell’appellante e le ha motivatamente respinte; il che induce alla reiezione delle doglianze incentrate sulla pretesa nullità/genericità dell’appellata sentenza (in ogni caso, si rammenta che per pacifica giurisprudenza l’omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa- Consiglio Stato , sez. VI, 18 agosto 2010 , n. 5880).
1. 2. Ciò premesso, al fine di perimetrare esattamente l’oggetto dell’odierno giudizio, rileva il Collegio che esso riposa nella delibazione di una duplice doglianza, che può così essere sintetizzata: l’elaborato corretto dalla commissione non era insufficiente e men che meno “gravemente insufficiente” in quanto non si poteva ivi ravvisare alcuna grave lacuna che avrebbe facoltizzato la commissione ad omettere di esaminare gli ulteriori compiti redatti dall’appellante.
1.2.1. Così precisato l’oggetto del contendere, possono adesso prendersi in esame le argomentazioni critiche proposte dall’appellante.
2. Appare in primo luogo conducente riportare integralmente il contenuto del giudizio di inidoneità reso dalla Commissione nei confronti dell’appellante, che – nel segnalare che il candidato odierno appellante non aveva concretamente risolto i problemi posti dalla traccia, si sostanzia delle seguenti argomentazioni: “il candidato non ha, difatti, adeguatamente considerato l’intento del testatore – evidenziato dal riferimento al patto di famiglia – di rendere il più possibile sicura l’attribuzione dell’azienda al figlio C., optando – pur avendo enunciato una chiara opzione in ordine alla applicazione dell’istituto ex art. 588 cpv. cc – per una sostanziale divisione con determinazione di quote, con conseguente contraddizione intrinseca dell’atto ed elusione delle problematiche proposte. Omette, inoltre, l’individuazione del soggetto onerato del legato in favore di Cecilia, aggravando le criticità che la traccia intende superare. La parte teorica risulta – inoltre – caratterizzata dalla medesima contraddizione”.
2.1. Come dianzi rilevato, con il primo e principale motivo di censura ci si duole dell’omesso rilievo – da parte del primo giudice – della illegittimità dell’operato della commissione che avrebbe inesattamente rilevato una grave lacuna giuridica nell’elaborato redatto dall’appellante ed altrettanto erroneamente aveva deliberato di non procedere alla correzione degli ulteriori elaborati da questi redatti.
2.2. Il Collegio non concorda con la prospettazione dell’appellante.
Quanto al vizio di natura “generale”, ravvisato nell’operato della commissione, si evidenzia che l’art. 11, del d.Lgs. 24 aprile 2006 n. 166, da leggere in combinato disposto con l’art. 10 comma 2 (“la commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l’ordine di correzione delle prove stesse.”) del medesimo decreto, prevedeva che “nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.
L’ onere della Commissione riposante nella pre-determinazione dei criteri di valutazione, alla stregua di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 10 del d.Lgs. 166/2006, è stato soddisfatto (vedasi seduta del 14 marzo 2011 verbale n. 7) avendo essendosi in detta occasione stabilito che la eventuale inidoneità dell’atto a realizzare “le finalità pratiche indicate dalle parti” era suscettiva di integrare, appunto, una delle ipotesi di grave insufficienza della prova.
La previa predisposizione di una elencazione schematica indicante le ipotesi legittimanti la scelta di non procedere alla correzione degli ulteriori elaborati è incontestata.
Ed infatti nel medesimo verbale n. 7 del 14 marzo 2011 in cui venivano determinati i criteri di cui all’art. 11, comma 7, la Commissione ha proceduto previamente all’individuazione, ai sensi dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. 166/2006, dei criteri “generali” di correzione cui attenersi nella valutazione degli elaborati, stabilendo preliminarmente di approvare solo le soluzioni adottate dai candidati che presentassero: a) la rispondenza dell’elaborato al contenuto della traccia; b) l’aderenza delle soluzioni adottate alle norme ed ai principi dell’ordinamento giuridico; c) la corrispondenza delle soluzioni all’interesse delle parti, quale manifestato al notaio dai contraenti; d) l’adeguatezza delle tecniche redazionali, anche nella prospettiva delle chiarezza espositiva dell’atto.
Quanto finora esposto implica la conseguenza che, a monte, non possano ravvisarsi ex se vizi del processo valutativo seguito dalla commissione. Proprio la previsione dell’art. 11 comma 7 ( che, a differenza della previgente disciplina, non raccorda lo “sbarramento” all’attribuzione di un punteggio minimo), giustificava l’enucleazione immediata di criteri specifici alla stregua dei quali considerare la presenza di “nullità o gravi insufficienze”, tali da postulare un giudizio di inidoneità preclusivo del giudizio finale complessivo sin dalla lettura del primo elaborato, oppure a seguito della correzione del secondo elaborato (ed è altrettanto logico e razionale che, qualora tali nullità o gravi insufficienze fossero emerse durante la correzione del terzo elaborato, egualmente esse, da sole, ossia quando anche nel primo e secondo elaborato la commissione non avesse riscontrato nullità o gravi insufficienze, precludessero l’ammissione alla prova orale).
2.3. Quanto sopra impone però un puntuale riscontro in sede di applicazione dei detti criteri.
2.3.1. L’approccio alle specifiche censure circa la esposizione delle valutazioni della commissione specificamente riferibili all’elaborato redatto dall’appellante non può non tenere conto del condivisibile principio, che costituisce jus receptum in giurisprudenza, secondo il quale “le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile. Ne consegue che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore (e quindi sostituire il proprio giudizio a quello della Commissione), se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della logicità, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l’adeguatezza della motivazione, ben potendo questa essere adeguata e sufficiente e tuttavia al tempo stesso illogica; stante, invero, il diverso rilievo ed ambito concettuale, che assumono i due vizi, l’uno non può essere arbitrariamente dedotto dall’altro e, soprattutto, un giudizio critico negativo reso dalla Commissione esaminatrice mediante punteggio numerico non risulta affetto né da profili di insufficienza, né da profili di irrazionalità solo perché il giudice, senza rilevare alcuna concreta eclatante discrasia tra la votazione negativa attribuita e il contenuto degli elaborati, decida di sostituire (indebitamente) la propria competenza a quella specifica riconosciuta dall’ordinamento alla Commissione, invadendo gli ambiti di discrezionalità tecnica alla stessa riservati.( tra le tante, Consiglio Stato , sez. VI, 09 febbraio 2011 , n. 871).
2.3.2. A tale indirizzo giurisprudenziale è stata data continuità dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (tra le tante, si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 23/05/2016, n. 2110) sui giudizi afferenti a prove di esame o di concorso essendosi affermato che:
I) il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti;
II) il punteggio numerico vale come sintetica motivazione (cfr. riassuntivamente, per tutte, sez. V, 26 maggio 2015, n. 2629; Corte cost., 8 giugno 2011, n. 175; Corte cost., 1° agosto 2008, n. 328, relativa al concorso notarile, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
Da tali condivisibile principi non ritiene il Collegio di doversi discostare; e si rileva altresì che con riferimento alla posizione dell’appellante la pluralità di profili negativi evidenziata dalla commissione giustifica la scelta di non procedere oltre nella correzione degli elaborati, e, a fortiori, il giudizio di non idoneità.
2.3.3. Va in proposito rammentato il giudizio della Commissione secondo cui il candidato, nel redigere l’atto sulla base di una traccia da lui travisata, ‘non ha “adeguatamente” considerato l’intento del testatore’ ed ha eluso le problematiche proposte, ciò che può considerarsi espressivo della conseguente inidoneità dell’atto a realizzare “le finalità pratiche indicate dalle parti”. Inoltre, la Commissione fa altresì riferimento ad una “contraddizione intrinseca dell’atto” – laddove il candidato, pur avendo enunciato una chiara opzione per l’istituto ex art. 588 cpv c.c., ha invece optato per una sostanziale divisione con determinazione di quote – in tal modo evidenziando una ulteriore ipotesi di grave insufficienza della prova, come individuata dalla Commissione ai sensi del ripetuto art. 11, comma 7, sub specie di “contraddittorietà tra le soluzioni adottate ….e le relative ragioni giustificative”, che legittima la interruzione della correzione dei successivi elaborati e la formulazione del giudizio di inidoneità
2.3.4. L’appellante prospetta una critica frontale a tale opinamento (che, come si è già chiarito, è ascrivibile alla lata discrezionalità valutativa dell’Amministrazione) e cerca di supportarlo attraverso il richiamo a scritti della dottrina.
2.4. Senonché, un tale modo di procedere pretenderebbe un inammissibile sindacato di merito che, nell’ordine:
a) travalica il giudizio di legittimità;
b) impinge nella lata discrezionalità dell’amministrazione (che, come è noto, è sindacabile esclusivamente nelle ipotesi di manifesta irragionevolezza/abnormità);
c) collide con il principio di infungibilità dei giudizi emessi dalle commissioni valutative.
2.5. In sostanza, l’appellante pretenderebbe che, pur non essendo rinvenibili vizi di manifesta irragionevolezza/abnormità, si procedesse ad una riedizione delle valutazioni espresse dall’Amministrazione.
2.5.1. Il Collegio non può seguire l’appellante in tale percorso.
Il Collegio infatti (come del pari chiaritosi nella richiamata decisione della Sezione n. 3855/2011) non condivide l’approccio di fondo “atomistico” con il quale la parte appellante ha isolato ciascuna delle carenze e insufficienze evidenziate dalla Commissione, per poi procedere a raffronto di essa con quanto sul punto contenuto nelle prove di altri candidati ed inferirne un giudizio di asserita identità degli elaborati sotto tale profilo: infatti, è evidente che la gravità e l’incidenza di un errore non necessariamente risultano apprezzabili sulla base della lettura della sola parte dell’elaborato in cui è contenuto l’errore medesimo, dovendo tenersi conto di come questa s’inserisce all’interno dello svolgimento della traccia nel suo complesso (ad esempio, e per quel che qui vale, alla luce della combinata lettura dell’atto redatto e della parte teorica nella quale dovrebbero essere esposte le problematiche giuridiche affrontate e le ragioni giustificative a sostegno delle soluzioni prescelte).
2.5.2. Anzitutto si evidenzia che il giudizio espresso dalla commissione – per sua natura in via di principio sintetico- è stato nel caso di specie addirittura sovrabbondante, laddove la Commissione si è, nella parte finale, spinta a chiarire le conseguenze che riteneva di trarre dalla riscontrate lacune.
Secondariamente, si rammenta che il compito della commissione si esaurisce nella indicazione di ciò che essa ha considerato “grave errore” senza che possa neppure ipotizzarsi (come traspare richiedersi nel ricorso in appello) che – a fini di completezza di giudizio- essa dovesse addirittura chiarire quale fosse la soluzione alternativa corretta, e neppure, ad avviso del Collegio, specificare (giocoforza con ricorso ad aggettivazioni che a tutto concedere sarebbero pleonastiche) la ragione per cui l’omessa trattazione di un intero istituto giuridico ovvero il fraintendimento relativo ad una disposizione fossero riconducibili nel parametro della gravità, tanto più a fronte di una pluralità di riscontrate lacune.
3. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto
3.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663).
3.2.Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
4. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge
Condanna parte appellante al pagamento, a favore dell’Amministrazione resistente e costituita, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 3.000,00 (Euro tremila/00), oltre IVA e CPA e 15% a titolo di rimborso spese generali come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.