CONSIGLIO di STATO sentenza n. 5033 del 30 novembre 2016 sez. II
LAVORO RAPPORTO DI LAVORO EXTRACOMUNITARI – PROTEZIONE INTERNAZIONALE – DIRITTO ALL’UNITA’ FAMILIARE
FATTO E DIRITTO
1. -OMISSIS-, nata in Vinnitsa (Ucraina) il (omissis), ha presentato il 27 novembre 2014 domanda di protezione internazionale al Ministero dell’Interno.
1.1. Il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, con provvedimento prot.-OMISSIS-del 12 maggio 2015, ha disposto il trasferimento della richiedente in Polonia, in quanto Stato membro a competente a decidere sull’istanza di protezione internazionale.
2. Avverso tale provvedimento l’interessata ha proposto ricorso avanti al T.A.R. Lazio, chiedendone, previa sospensione, l’annullamento.
2.1. La ricorrente, in particolare, ha lamentato la violazione dei termini di cui all’art. 29, comma 2, del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604, e la mancata considerazione dei suoi legami familiari, vivendo ella a Bologna insieme con la suocera, il marito, anch’egli richiedente asilo nel capoluogo emiliano, e con il figlio, frequentante la prima elementare.
2.2. Nel primo grado del presente giudizio si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso.
2.3. Il T.A.R. per il Lazio, con la sentenza n. 12356 del 2 novembre 2015 resa in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ha respinto il ricorso, incentrato sulla dedotta violazione dell’art. 29 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604, in quanto ha osservato che l’impugnato trasferimento è stato adottato e notificato entro il prescritto termine di sei mesi dal riconoscimento della propria competenza da parte della Polonia.
3. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessata, chiedendone, previa sospensione, la riforma.
3.1. Si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere all’appello.
3.2. Con l’ordinanza n. 298 del 28 gennaio 2016 il Collegio, stante l’esistenza dei dedotti legami familiari con il territorio nazionale e di un immediato grave pregiudizio per la ricorrente e la sua famiglia, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata, rinviando la causa all’udienza pubblica del 12 maggio 2016.
3.3. Con la successiva ordinanza n. 2550 del 13 giugno 2016 il Collegio, ravvisata la possibilità di ritenere eventuali profili di inammissibilità dell’appello, ha segnalato la questione, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., assegnando alle parti termine per presentare memorie.
3.4. Infine nella pubblica udienza del 10 novembre 2016 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello deve essere accolto, in relazione al secondo motivo di censura, alla luce delle considerazioni che seguono.
4.2. Nel ricorso in appello -OMISSIS- ha dedotto che sarebbe stato violato il suo diritto di informazione, previsto dall’art. 4 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604, e sarebbero stati, altresì, completamente trascurati i suoi rapporti familiari, avendo ella un marito e un figlio di 7 anni che, frequentando la seconda classe elementare, risulta perfettamente inserito nel tessuto scolastico a Bologna.
4.3. L’appello deve essere dichiarato inammissibile, quanto al primo motivo, perché la questione con esso proposta – la violazione dell’art. 4 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604 – è emersa ed è stata fatta valere solo nel presente grado di giudizio, sicché essa viola il divieto dei nova in appello (art. 104, comma 1, c.p.a.), come il Collegio ha osservato, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., nell’ordinanza n. 2550 del 13 giugno 2016.
4.4. Nel ricorso di primo grado, infatti, la censura sollevata con il primo motivo di appello non era mai stata articolata, tanto che il T.A.R. per il Lazio, nella sentenza impugnata, si è pronunciato solo sulla dedotta violazione dell’art. 29 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604.
4.5. L’appello è fondato, invece, quanto alla dedotta violazione dei rapporti familiari, dovendosi tenere presente sia l’art. 10 che l’art. 11 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604.
4.6. Tale motivo non è stato in alcun modo esaminato né menzionato nella sentenza impugnata.
4.7. Al riguardo va osservato che l’intero nucleo familiare, composto dall’appellante, dal marito, -OMISSIS-, e dal figlio di sette anni, ha presentato domanda di asilo politico (v. docc. 2 e 3 fasc. ricorrente in primo grado) e vive attualmente in Bologna presso la suocera dell’appellante, la quale ha regolare permesso di lungo soggiorno.
5. In base all’art. 10 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604, “se un familiare di un richiedente ha presentato in uno Stato membro una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una prima decisione di merito, l’esame della domanda di protezione internazionale compete a detto Stato membro, sempre che gli interessati abbiano espresso tale desiderio per iscritto”, mentre il successivo art. 11 contempla l’ipotesi in cui “diversi familiari e/o fratelli minori non coniugati presentano una domanda di protezione internazionale nel medesimo Stato membro simultaneamente, o in date sufficientemente ravvicinate perché le procedure di determinazione dello Stato competente possano essere svolte contemporaneamente”.
4.9. Le due disposizioni e, più in generale, l’intera disciplina del Regolamento preservano e tutelano il diritto all’unità familiare dei richiedenti la protezione internazionale.
5. Non risulta, tuttavia, che il provvedimento del Ministero dell’Interno, impugnato in primo grado, abbia tenuto conto di tale diritto e, in particolare, della domanda presentata dal marito dell’odierna appellante e dall’intero nucleo familiare al fine di ottenere la protezione internazionale.
5.1. E ciò senza dire, peraltro, che non risulta essere stata adeguatamente presa in considerazione nemmeno la situazione del minore, costituendo l’interesse superiore del minore, ai sensi dell’art. 6, comma 1, del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604, “un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, di tutte le procedure previste nel presente regolamento”.
6. In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello di -OMISSIS- è fondato, sicché, in riforma della sentenza impugnata, il provvedimento del Ministero dell’Interno, impugnato in primo grado, deve essere annullato per violazione dell’art. 10 del Regolamento (CE) 26 giugno 2013, n. 604, salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazioni alla luce delle ragioni sin qui esposte.
7. Le spese del doppio grado di giudizio, attesa la complessità del quadro fattuale evidenziato, possono essere interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto da -OMISSIS-, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS-emesso il 12 maggio 2015 dal Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione – Direzione Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione e l’Asilo – Unità Dublino.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS- ed -OMISSIS-.
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