Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 3646 del 24 luglio 2017
N. 03646/2017REG.PROV.COLL.
N. 05102/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 5102 del 2013, proposto da:
H. P. G. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Turco, con domicilio eletto presso lo studio legale Marco Gardin in Roma, via Laura Mantegazza, 24;
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Sansoni e Debora Pacini, con domicilio eletto presso lo studio legale Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio, 15;
nei confronti di
M. F. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Natale Giallongo, con domicilio eletto presso lo studio legale Giammarco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
B. L. A. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE, SEZIONE I, n. 644/2013, resa tra le parti, concernente esclusione dalla gara per la fornitura di elementi di arredo e relativa installazione, nonché risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Firenze e di M. F. Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. Valerio Perotti e uditi per le parti gli avvocati Ciliutti, per delega di Pacini, e Diaco per delega di Giallongo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Risulta dagli atti che il Comune di Firenze indiceva una gara, da aggiudicarsi secondo il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relativa alla fornitura di elementi di arredo ed alla connessa installazione, per allestimento integrato della nuova biblioteca nel Quartiere 2, area Pegna ex Benelli.
La società H. P. s.r.l. partecipava alla gara, ottenendo il miglior punteggio (punti 88,23, di cui 40 per l’offerta economica e 48,23 per l’offerta tecnica). Peraltro, all’esito della successiva verifica di congruità, scaturiva la determinazione di esclusione in data 7 giugno 2012, con conseguente aggiudicazione a favore della seconda classificata (M. F.).
L’offerta della H. P. veniva giudicata anomala in ragione: a) dell’assenza sia delle certificazioni di eco sostenibilità del legno e dei relativi marchi, sia delle certificazioni di bassa tossicità dei mobili, richieste dall’art. 11 del Capitolato speciale; b) del difetto di coerenza nella formulazione dei prezzi; c) dell’inadeguatezza del valore economico offerto rispetto al costo del lavoro ed alle esigenze di tutela dei lavoratori; mancata giustificazione del costo della sicurezza; d) della mancanza di adeguata giustificazione dei tempi di lavorazione, previsti in 10 giorni.
Avverso il provvedimento di aggiudicazione, la determina di esclusione e gli atti connessi H. P. proponeva ricorso al Tribunale amministrativo della Toscana, deducendo i seguenti tre motivi di gravame:
Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12, 83, 84, 86, 87, 88 e 89 del d.lgs. n. 163/2006, nonché degli artt. 120 e 121 del d.p.r. n. 207/2010; eccesso di potere per difetto di presupposti, violazione del giusto procedimento, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria ed illogicità; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990.
In particolare, ad avviso della ricorrente il responsabile unico del procedimento non poteva svolgere anche l’incarico di verificazione della congruità dell’offerta, essendo lui stesso progettista dell’opera in questione; inoltre, ai sensi dell’art. 121 del d.p.r. n. 207 del 2010 il predetto responsabile dovrebbe effettuare il giudizio di anomalia facendosi affiancare da tecnici, dalla Commissione giudicatrice o da apposita Commissione, laddove nel caso di specie avrebbe proceduto da solo.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12, 83, 84, 86, 87, 88 e 89 del d.lgs. n. 163/2006, nonché degli artt. 120 e 121 del d.p.r. n. 207/2010; eccesso di potere per difetto dei presupposti, violazione del giusto procedimento, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria ed illogicità; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; sviamento di potere.
La ricorrente deduceva altresì che le indagini svolte dall’amministrazione avrebbero riguardato, ciascuna, elementi parzialmente differenti dai precedenti, in violazione del principio del contraddittorio. Criticava inoltre l’esito del giudizio di verifica dell’anomalia, osservando quanto segue: a) la certificazione era stata presentata per i pannelli grezzi in truciolare, per il laminato e per la colla, mentre per quanto concerne la pedana era “scontato” che il larice utilizzato fosse certificato FSC; del resto, gran parte dei produttori possiedono la certificazione ISO 14001 relativa al rispetto ambientale, al pari di H. P. s.r.l.; b) non vi sarebbero, nell’offerta, prezzi diversi per prodotti uguali; c) il costo del lavoro era stato calcolato sulla base della previsione di spesa relativa ai montaggi, considerando un monte ore superiore a quello ritenuto effettivamente necessario; d) i tempi previsti di lavorazione non erano ristretti, trattandosi di biblioteca piccola e di arredi per la maggior parte prodotti in serie, mentre gli elementi a disegno erano prodotti in laboratorio e solo assemblati sul luogo.
Violazione e falsa applicazione degli artt. 120 e 121 del d.p.r. n. 207/2010, nonché degli artt. 11, 12, 83 e 84 del d.lgs. n. 163/2006; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento; difetto di istruttoria ed illogicità; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990.
Rilevava, in particolare, che le principali attività riguardanti la gara sarebbero state svolte dal Presidente del seggio di gara, anziché dalla Commissione giudicatrice, laddove le buste relative all’offerta tecnica sarebbero state aperte alla presenza del Presidente della Commissione giudicatrice.
Si costituivano in giudizio il Comune di Firenze e la controinteressata M. F. s.r.l., rilevando l’infondatezza del ricorso e chiedendone pertanto la reiezione.
Con ordinanza 5 settembre 2012, n. 597, il giudice adito respingeva l’istanza cautelare, per difetto dei presupposti.
Con successiva ordinanza 27 ottobre 2012, n. 4285, il Consiglio di Stato rimetteva la causa al giudice di prime cure, ai fini della sollecita trattazione della causa nell’udienza di merito.
Con successiva ordinanza istruttoria del 7 febbraio 2013, n. 175, il Tribunale amministrativo disponeva l’acquisizione del verbale della seduta del 1° marzo 2012, relativo all’apertura dei plichi contenenti la documentazione tecnica. Tale verbale, dal quale risulta che la seduta si era svolta alla presenza del solo Presidente della Commissione giudicatrice e di uno dei partecipanti alla gara, veniva depositato in giudizio dal Comune di Firenze in data 19 febbraio 2013.
Con sentenza 19 aprile 2013, n. 644, il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso.
Avverso tale decisione la società H. P. s.r.l. interponeva appello, deducendo un unico, articolato motivo di censura e quindi riproponendo, di seguito, le questioni già oggetto dei motivi di ricorso respinti nel precedente grado di giudizio.
Si costituivano in giudizio sia il Comune di Firenze, sia il M. F. s.r.l., chiedendo il rigetto del gravame.
Con ordinanza 28 agosto 2013, n. 3309, la Sezione respingeva l’istanza cautelare proposta dall’appellante, non ravvisando la sussistenza del necessario fumus boni iuris.
Successivamente le parti ulteriormente illustravano con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive, ed all’udienza del 15 giugno 2017, dopo la rituale discussione, la causa passava in decisione.
DIRITTO
Con l’introduttivo motivo di appello, H. P. contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui ha rigettato i rilievi a suo tempo formulati circa la supposta incompatibilità del Rup, deducendo che, nel caso di specie, “il RUP ha svolto la funzione di progettista integrale dell’opera e successivamente ha svolto – oltre al ruolo di RUP – anche il ruolo di giudice dell’anomalia dell’offerta: in sostanza, ha giudicato se stesso e la valenza (negata) al progetto che evidentemente meno si avvicina all’idea che essa stessa aveva concepito dell’opera.
La censura mossa da questa difesa in primo grado sta proprio qui e non già o per lo meno non solo nel fatto che il RUP abbia svolto ex se il ruolo di valutazione dell’anomalia dell’offerta”.
Per l’appellante, inoltre, nel caso di specie non potrebbero applicarsi i principi di diritto di cui alla sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2012, n. 36, per cui “il legislatore ha rimesso al R.U.P. ogni valutazione innanzi tutto in ordine al soggetto cui affidare la verifica, non escludendo che, a seconda dei casi, possa ritenere sufficienti e adeguate le competenze degli uffici e organismi della stazione appaltante, o invece concludere nel senso della necessità di un nuovo coinvolgimento della commissione aggiudicatrice anche per la fase de qua. […] Quanto sopra induce l’adunanza plenaria ad escludere che, nel caso che occupa, l’aver proceduto direttamente il R.U.P. alla verifica di anomalia possa costituire ex se un vizio di legittimità della procedura”.
Ciò in quanto quella decisione presupponeva una situazione di fatto completamente diversa da quella odierna, “in quanto atteneva ad una gara d’appalto ove il RUP aveva svolto le sole funzioni sue proprie (non certo il ruolo di progettista integrale dell’opera, come viceversa si è verificato nel caso di specie)”.
Il motivo di appello è infondato.
Il principio di diritto di cui alla richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria ha infatti integrale applicazione anche nel caso di specie: il fatto che il Rup, in precedenza, aveva svolto anche il ruolo di progettista dell’opera appaltata, non generava alcuna forma di incompatibilità tra le varie funzioni ricoperte.
Per l’appellante, l’incompatibilità poggerebbe sul fatto che, data una siffatta “commistione” di ruoli, il Rup, al contempo progettista e giudice dell’anomalia, finirebbe contraddittoriamente per “giudicare se stesso”.
L’assunto non è corretto già sotto il profilo logico. Invero, il giudizio compiuto dal Rup in sede di valutazione dell’anomalia di un’offerta riguarda solo tale offerta; non già la validità del progetto di base da esso a suo tempo elaborato (validità che, essendo quel progetto posto a base di gara, è data per acquisita); il suo giudizio, cioè, si limita alle soluzioni proposte dai vari offerenti, che con tale progetto di base devono risultare coerenti.
L’incompatibilità attiene ad un rischio di crisi nella posizione di terzietà di soggetti: ma la terzietà qui non viene in discussione, dal momento che il Rup (progettista o meno che sia) non è chiamato a valutare la bontà del progetto posto a base di gara, bensì la rispondenza delle altrui offerte ai parametri ivi formulati.
Del resto, emerge dagli atti che il concreto Rup non era membro né della Commissione giudicatrice, deputata alla valutazione dell’offerta, né componente del Seggio di gara, che aveva proceduto all’attribuzione dei punteggi dell’offerta economica e alla determinazione dei punteggi finali.
Il Rup, invero, era intervenuto solo nella fase finale della procedura, quando le offerte erano già state valutate dall’apposita Commissione giudicatrice, e solo per verificare la sospetta anomalia dell’offerta risultata economicamente più vantaggiosa. Non ha quindi applicazione, per difetto di presupposti, l’art. 84, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006, altresì invocata dall’appellante, atteso che tale eccezionale disposizione introduce un’ipotesi di incompatibilità fra membro della Commissione giudicatrice e chi ha svolto (o comunque è preposto a svolgere) funzioni tecniche o amministrative relative all’appalto da affidare (id est, il progettista o il direttore dei lavori).
Condivisibilmente, dunque, la sentenza impugnata ha, sul punto, respinto l’originario ricorso di H. P. s.r.l.: “L’art. 84 del d.lgs. n. 163/2006 esclude che gli affidatari di incarichi relativi al contratto della cui aggiudicazione si tratta possano svolgere le funzioni di componente della commissione di gara.
Tale norma introduce una specifica causa di incompatibilità tra l’assunzione dei predetti incarichi e la nomina a membro della commissione chiamata a individuare la migliore offerta, ma nulla dispone riguardo al responsabile unico del procedimento, la cui attività è distinta da quella dei commissari di gara.
La diversità di ruolo tra responsabile del procedimento e commissario di gara emerge in via generale dagli artt. 10 e 84 del d.lgs. n. 163/2006, i quali delineano i diversi compiti dei due soggetti, nonché, in particolare, dall’art. 121 del d.p.r. n. 207/2010, cui fa rinvio, quanto agli appalti di forniture, l’art. 284 del d.p.r. medesimo; la suddetta disposizione del regolamento attuativo riserva solo al responsabile del procedimento la verifica delle giustificazioni presentate dai concorrenti in sede di procedimento di valutazione di congruità dell’offerta. Pertanto, nessuna causa di incompatibilità valevole per i membri della commissione di gara può essere estesa al responsabile del procedimento”.
Del pari infondato è il subordinato rilievo per cui il Rup avrebbe comunque dovuto avvalersi della Commissione di gara ai fini del giudizio di anomalia. Invero, nessuna disposizione del Codice dei contratti pubblici e del relativo regolamento applicabili ratione temporis impone la verifica collegiale di congruità dei prezzi (l’art. 121 d.P.R. n. 207 del 2010 semplicemente prevede, qualora emergano elementi sintomatici di anomalia dell’offerta, che venga chiusa la seduta pubblica della commissione di gara e che il responsabile del procedimento sia chiamato a verificare le giustificazioni presentate dai concorrenti interessati, avvalendosi degli uffici, di appositi organismi tecnici della stazione appaltante oppure della commissione di gara).
Anche su tale questione trova applicazione il principio di diritto individuato da Cons. Stato, Ad. plen. n. 36 del 2012, secondo cui “allorché si apre la fase di verifica delle offerte anormalmente basse, la commissione aggiudicatrice ha ormai esaurito il proprio compito, essendosi in tale momento già proceduto alla valutazione delle offerte tecniche ed economiche, all’assegnazione dei relativi punteggi ed alla formazione della graduatoria provvisoria tra le offerte; una possibile riconvocazione della commissione, di regola, è ipotizzabile solo laddove in sede di controllo sulle attività compiute emergano errori o lacune tali da imporre una rinnovazione delle valutazioni (oltre che nell’ipotesi di regressione della procedura a seguito di annullamento giurisdizionale, come previsto dal comma 12 dell’art. 84). Pertanto, è del tutto fisiologico che sia il R.U.P., che in tale fase interviene ad esercitare la propria funzione di verifica e supervisione sull’operato della commissione, il titolare delle scelte, e se del caso delle valutazioni, in ordine alle offerte sospette di anomalia”.
Del resto prosegue la Plenaria, “ben diverse sono le valutazioni da compiersi nell’ambito del subprocedimento di verifica di anomalia, rispetto a quelle compiute dalla commissione aggiudicatrice in sede di esame delle offerte. Infatti, mentre alla stregua dell’art. 84 del Codice la commissione è chiamata […] soprattutto a esprimere un giudizio sulla qualità dell’offerta, concentrando pertanto la propria attenzione soprattutto sugli elementi tecnici di essa, il giudizio di anomalia si concentra invece sull’offerta economica, e segnatamente su una o più voci di prezzo considerate non in linea con i valori di mercato o comunque con i prezzi ragionevolmente sostenibili; inoltre, mentre la valutazione delle offerte tecniche dei concorrenti è compiuta dalla commissione su base comparativa, dovendo i punteggi essere attribuiti attraverso la ponderazione di ciascun elemento dell’offerta come previsto dall’art. 83 del Codice, al contrario il giudizio di congruità o non congruità di un’offerta economica è formulato in assoluto, avendo riguardo all’affidabilità dei prezzi praticati ex se considerati”.
Non paiono fondate le ulteriori censure (riproduttive di quelle già dedotte nel precedente grado di giudizio) relative ai ravvisati profili di eccesso di potere nell’operato del Rup.
In primo luogo, si deduce che la sentenza appellata non si sarebbe espressa sulla censura volta a denunziare la decisione del Rup di contestare ad H. P. l’avvenuta presentazione di soltanto parte delle necessarie certificazioni (riferite, in particolare, soltanto ad alcuni degli elementi costitutivi dell’arredo). Per l’appellante, invece, ciò sarebbe corretto, poiché “nella realtà empirica la certificazione dei materiali lignei che compongono un mobile non è garantita per ogni singolo componente e nei fatti la certificazione assoluta è irrealizzabile”.
A supporto si richiama materiale tratto da siti internet di alcuni organismi privati (in particolare, alcune Ong), dai quali dovrebbe desumersi che neppure queste ultime sarebbero in grado di certificare ogni componente legnoso che costituisce il mobile finito (ricorrendo ad espressioni generiche del tipo “il legno non certificato contenuto nei mobili […] è comunque legno controllato”. Dunque, conclude la società H. P., “il mobile ottiene la garanzia PEFSC solo per alcuni componenti dello stesso; per il resto ci si accontenta di dichiarazioni di provenienza generiche meramente descrittive, ma prive di cogenza”.
Le argomentazioni dell’appellante, induttive e generiche, non sono idonee ad integrare un elemento di prova; e le stesse sono smentite dal tenore dell’art. 11 del Capitolato speciale d’appalto, per cui ciascun concorrente doveva dimostrare l’eco-sostenibilità della fornitura mediante la certificazione del legno e della bassa tossicità dei mobili (certificazione PEFC – PEFSC e Greenguard), ferma restando la possibilità di produrre ulteriori certificazioni riferite a materiali, energia e atmosfera, salute umana, salute dell’eco sistema e responsabilità sociale.
Dunque, era possibile integrare la documentazione richiesta, ma non anche ridurla.
Correttamente, quindi, il giudice di prime cure ha rilevato che “la qualità di tutti i prodotti offerti, sotto il profilo della non tossicità e del rispetto dell’ambiente, doveva essere comprovata attraverso l’idonea certificazione predefinita dalla stazione appaltante; al contrario, la ricorrente ha presentato le necessarie certificazioni in relazione ad alcuni soltanto degli elementi costitutivi dell’arredo […]
Dirimente al riguardo è il verbale di audizione sottoscritto dal rappresentante della società istante (oltre che dal responsabile del procedimento), dal quale risulta (nei paragrafi contrassegnati dai numeri 9 e 10) che «la ditta non dispone di prodotti certificati ma solo di certificazioni delle materie prime che compongono alcuni prodotti» e che «per la certificazione del larice di rivestimento, pur non essendo dichiarata in sede di offerta, la ditta concorrente garantisce la fornitura in sede di esecuzione»”.
Deve invece considerarsi inammissibile, perché questione dedotta per la prima volta in appello, l’ulteriore censura per cui le valutazioni del Rup, concernenti anche specifiche carenze dell’offerta, sarebbero illegittime, dovendo il giudizio di anomalia essere riferito alla complessità di quest’ultima e non a singoli suoi aspetti specifici.
Quanto poi alla questione della mancata indicazione del costo della sicurezza del lavoro, l’appellante sostiene di avere in realtà fornito “le più chiare e precise giustificazioni riguardanti il costo della manodopera”. Egli omette però di specificare, in appello, di quali giustificazioni concretamente si tratti, con conseguente inammissibilità del profilo di gravame, per genericità.
Per completezza, va comunque detto che la sentenza impugnata, sul punto, aveva così motivato: “Come precisato dal responsabile unico nella relazione conclusiva (documento n. 5 depositato in giudizio contestualmente al gravame), l’interessata non ha puntualizzato il contratto nazionale di riferimento, le qualifiche utilizzate e gli oneri della conduzione organizzata dei lavori, né ha indicato il costo della sicurezza, a fronte dei compiti di allestimento, montaggio, collocazione e adattamento in opera cui è chiamato l’appaltatore (art. 6 del capitolato)”, dando atto dell’esistenza di omissioni che ben avrebbero potuto giustificare la valutazione di anomalia, trattandosi di aspetti fondamentali dell’offerta.
Ciò, a maggior ragione, alla luce delle censure formulate dal Rup in merito all’assenza di alcune certificazioni e di alcuni mobili.
Del pari inammissibile è la mera e pedissequa trascrizione degli originari motivi di ricorso, in nulla contestualizzati alla luce delle motivazioni della sentenza impugnata.
In effetti, la mera riproposizione dei motivi è ammessa solo se il giudice di primo grado non li abbia esaminati o li abbia disattesi con argomenti palesemente inconferenti, nel qual caso, però, il ricorrente dovrebbe comunque contestare la mancanza o la non pertinenza della motivazione. In ogni altro caso il gravame deve contenere una critica ai capi di sentenza appellati (così Cons. Stato, Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10).
Conclusivamente l’appello va respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante H. P. s.r.l. al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del Comune di Firenze e della controinteressata M. F. s.r.l., che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00) ciascuno, oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Valerio Perotti, Consigliere, Estensore
Stefano Fantini, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Valerio Perotti | Giuseppe Severini | |
IL SEGRETARIO
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