Consiglio di Stato sez. V sentenza n. 3716 del 27 luglio 2017
N. 03716/2017REG.PROV.COLL.
N. 09244/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9244 del 2015, proposto da:
L. L. s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Arturo Cancrini, Pietro Pomanti e Francesco Vagnucci, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, piazza San Bernardo, n. 101;
contro
Z. P. C. s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Paoletti e Emanuela Paoletti, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, viale Maresciallo Pilsudski, n. 118;
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa per legge dagli avvocati Angela Raimondo e Antonio Ciavarella, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
nei confronti di
F. S. s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati John Riccardo Paladini e Valeria Pecorone, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Premuda, n. 3;
P. C. s.r.l., B. B. s.r.l., R. F. s.r.l., in persona dei rispettivi rappresentanti legali in carica, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione II ter, n. 12133/2015, resa tra le parti, concernente l’affidamento in concessione del punto di ristoro delL. L. presso Villa Torlonia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Z. P. C. s.r.l. di Roma Capitale e della F. S. s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2017 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Paoletti, Pecorone, Scarpello, su delega dell’avvocato Cancrini, e Garofoli, in dichiarata delega dell’avvocato Raimondo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Z. P. C. s.r.l. – società interamente partecipata da Roma Capitale – ha indetto una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento in concessione del servizio di ristoro da condursi all’interno delL. L., struttura facente parte del complesso di Villa Torlonia a Roma.
Alla selezione hanno partecipato i seguenti operatori economici: la L. L. s.r.l., la P. C. s.r.l., la B. B. s.r.l., la R. F. s.r.l. e la F. S. s.r.l.
Quest’ultima, all’esito delle operazioni di gara, è risultata aggiudicataria.
La società L. L., quinta classificata, ha ritenuto il provvedimento di aggiudicazione illegittimo per cui lo ha impugnato davanti al TAR Lazio – Roma, il quale con sentenza 23/10/2015, n. 12133, ha respinto il ricorso.
Avverso la sentenza ha proposto appello la società L. L..
Per resistere al ricorso si sono costituite in giudizio la Z. P. C., Roma Capitale e la F. S..
Successivamente tutte le parti, con apposite memorie, hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
Con due ordinanze collegiali la 5/5/2016, n. 1814 e la 8/8/2016, n. 3546, la Sezione ha disposto incombenti istruttorii.
A seguito dell’intervenuta esecuzione dell’incombente tutte le parti, ad eccezione di Roma Capitale, hanno prodotto nuovi scritti difensivi.
Alla pubblica udienza del 13/7/2017, la causa è definitivamente passata in decisione.
Col primo motivo di gravame l’appellante lamenta che il TAR avrebbe errato a respingere la censura con cui era stato dedotto che tutte le concorrenti che la precedono in graduatoria avrebbero dovuto essere escluse dalla gara a causa dell’omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendale in sede di offerta.
La doglianza è infondata.
In primo luogo occorre osservare che, come correttamente rilevato dal TAR, la gara di che trattasi è finalizzata all’affidamento di una concessione di servizi.
Quest’ultima trova la sua disciplina nell’art. 30 del codice dei contratti pubblici approvato con D. Lgs. 12/4/2006, n. 163, secondo il quale le disposizioni del codice si applicano limitatamente a “quanto disposto nel presente articolo”. La norma, però, non prevede che i concorrenti debbano indicare in sede di offerta gli oneri della sicurezza aziendale.
Tale onere, peraltro, non era imposto nemmeno dalla disciplina di gara.
In secondo luogo, anche in relazione all’affidamento degli appalti pubblici, la più recente giurisprudenza ha ritenuto che, alla luce dei principi eurounitari della tutela dell’affidamento, della certezza del diritto, della parità di trattamento, della non discriminazione, della proporzionalità e della trasparenza, per le gare (come quella di specie) bandite anteriormente all’entrata in vigore del nuovo c.d. codice degli appalti pubblici e delle concessioni (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), nelle ipotesi in cui l’obbligo di indicazione separata dei costi di sicurezza aziendale non sia stato specificato dalla legge di gara, e non sia in contestazione che dal punto di vista sostanziale l’offerta rispetti i costi minimi di sicurezza aziendale, l’esclusione del concorrente non può essere disposta se non dopo che lo stesso sia stato invitato a regolarizzare l’offerta dalla stazione appaltante nel doveroso esercizio dei poteri di soccorso istruttorio (in termini Cons. Stato A.P. 27/7/2016, n. 19; Sez. V, 11/5/2017, n. 2199; 18/1/2017, n. 194; 23/12/2016, n. 5444; III, 27/10/2016, n. 4527; Corte Giust. U.E., Sez. VI, 10/11/2016, in C-140/16, C-697/15 e C-162/16).
Nel caso di specie, come più sopra rilevato, la lex specialis della gara non conteneva un’espressa previsione che imponesse ai concorrenti di indicare separatamente gli oneri della sicurezza aziendale, né è stato contestato che le offerte delle imprese che precedono l’appellante non rispettassero i costi minimi della sicurezza interna.
Col secondo motivo si denuncia l’errore in cui sarebbe incorso il TAR nel respingere la censura con cui l’odierna appellante aveva dedotto che i progetti tecnici presentati da tutte le altre concorrenti presentassero gravissime carenze sotto il profilo della conformità alla normativa di cui all’allegato IV al D. Lgs. 9/4/2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Difatti, gli anzidetti progetti non prevederebbero due bagni e due spogliatoi (uno per ciascun sesso), come prescritto dalle norme di cui all’allegato IV del citato D. Lgs. n. 81/2008, ma un unico bagno e un unico spogliatoio senza distinzione di genere.
Al riguardo, la F. S. chiede lo stralcio della documentazione prodotta dalla società L. L. in data 28/6/2016 (rectius 30/6/2016), avente ad oggetto, tra l’altro, alcuni atti della ASL RM 1 relativi agli spogliatoi della struttura in contestazione, in quanto a suo dire relativa a fatti nuovi e successivi alla data dell’udienza tenutasi in data 25/2/2016 e, comunque, tardivamente depositata.
La richiesta non merita accoglimento.
Per un verso con la fissazione di una nuova udienza si riaprono i termini processuali per il deposito di nuove memorie e nuovi documenti, per altro verso la rilevanza delle nuove produzioni documentali, se, come nella specie, ritualmente e tempestivamente depositate in giudizio (posto che la causa è stata trattata alle pubbliche udienze del 21/7/2016 e del 13/7/2017), sono rimesse all’esclusiva valutazione del Collegio.
Nel merito il mezzo di gravame è infondato.
Quanto ai bagni l’art. 1.13.3.2. dell’anzidetto allegato IV stabilisce: “Per uomini e donne devono essere previsti gabinetti separati; quando ciò sia impossibile a causa di vincoli urbanistici o architettonici e nelle aziende che occupano lavoratori di sesso diverso in numero non superiore a dieci, è ammessa un’utilizzazione separata degli stessi”.
In base alla trascritta disposizione è consentita l’utilizzazione separata del medesimo servizio igienico nell’ipotesi in cui il datore di lavoro utilizzi “lavoratori di sesso diverso in numero non superiore a dieci”.
Tale previsione normativa va interpretata nel senso che l’obbligo di istituire servizi igienici distinti per genere scatta solo laddove gli individui di sesso diverso impiegati superino le dieci unità per ciascun turno di lavoro, essendo evidentemente contraria alla ratio della norma una diversa opzione ermeneutica che ne estenda inutilmente la portata anche alle ipotesi in cui il numero di lavoratori utilizzati, pur mantenendosi entro il limite di dieci per turno, sia complessivamente superiore.
Nel caso di specie non è nemmeno allegato che le controinteressate prevedano, per ciascun turno, un numero di lavoratori superiore a dieci.
Con riguardo agli spogliatoi gli artt. 1.12.1. e 1.12.2. dell’allegato IV al D. Lgs. n. 81/2008 stabiliscono rispettivamente:
“1.12.1. Locali appositamente destinati a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando questi devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di cambiarsi in altri locali.
1.12.2. Gli spogliatoi devono essere distinti fra i due sessi e convenientemente arredati. Nelle aziende che occupano fino a cinque dipendenti lo spogliatoio può essere unico per entrambi i sessi; in tal caso i locali a ciò adibiti sono utilizzati dal personale dei due sessi, secondo opportuni turni prestabiliti e concordati nell’ambito dell’orario di lavoro”.
Tuttavia, l’art. 63 del medesimo D. Lgs., dopo aver stabilito al comma 1 che: “I luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell’allegato IV”, dispone, al successivo comma 5, che: “Ove vincoli urbanistici o architettonici ostino agli adempimenti di cui al comma 1 il datore di lavoro, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e previa autorizzazione dell’organo di vigilanza territorialmente competente, adotta le misure alternative che garantiscono un livello di sicurezza equivalente”.
Pertanto, in presenza di vincoli di carattere architettonico, è consentito derogare alle prescrizioni di cui al trascritto art. 1.12.2..
Nella specie non è né allegato, né dimostrato che gli spazi esistenti all’interno della struttura da affidare consentano la previsione di spogliatoi separati, mentre per contro, come rilevato dal giudice di prime cure, “le caratteristiche planovolumetriche dell’ambiente ove è prevista la collocazione del servizio comprendono un ambiente ristretto nel quale non vi sono gli spazi per differenziare tali ambienti”.
Col terzo motivo l’appellante si duole della reiezione del motivo con cui si rimproverava alla stazione appaltante di non aver tenuto conto del regime vincolistico gravante sul bene da affidare.
Infatti, in conformità a tale regime, la Zetema avrebbe dovuto:
a) escludere dalla gara le concorrenti meglio collocate in graduatoria per non aver preventivamente acquisito sul loro progetto il parere della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali;
b) prevedere l’obbligo della previa acquisizione di tale parere nella lex specialis.
La doglianza non merita accoglimento.
Sul punto il TAR ha condivisibilmente affermato che: <<il bando pone a carico delle parti l’onere “di ottenere ogni autorizzazione, permesso, licenza e nulla osta eventualmente occorrenti per l’esecuzione degli interventi previsti nel progetto di allestimento approvato”, e dunque, ove necessario, anche del parere della Soprintendenza.
Si tratta, all’evidenza, di una scelta di merito dell’Amministrazione, ovvero quella di configurare tale onere tra gli adempimenti a carico del concessionario, così che esso costituisce un coelemento della prestazione cui quest’ultimo si obbliga, con la conseguenza che si assume il rischio della non conformità o non ammissibilità degli arredi siccome proposti e nel caso in cui non dovesse risultare possibile eseguire l’allestimento come proposto in sede di gara, risulterà inadempiente, con ogni rilievo in termini di esecuzione del contratto.
In questi termini, la stazione appaltante ha esercitato un potere discrezionale nel configurare in siffatti termini la procedura di gara, ovvero rinviando alla fase esecutiva della concessione l’acquisizione del parere della Soprintendenza, scelta che non appare irragionevole per evidenti ragioni di economia del procedimento di gara attesi i ristretti termini per confezionare e proporre le offerte (il bando risulta spedito il 29.12.2014 ed il termine di ricezione delle offerte risulta fissato al 18.2.2015), nonché, soprattutto, attesa l’esiguità dell’impatto degli allestimenti sul decoro e sul regime vincolistico dell’immobile, sia in termini economici che strutturali e tecnici, che non giustifica sotto il profilo dell’efficienza dell’azione amministrativa un appesantimento del procedimento in fase istruttoria”.
Alla luce delle suddette considerazioni, risulta del tutto inconferente la richiesta istruttoria avanzata dall’appellante per acquisire gli atti concernenti le valutazioni espresse dalla Sovrintendenza Capitolina sul progetto dell’aggiudicataria. Trattasi, infatti, di documentazione che attiene alla fase di esecuzione del contratto.
Col quarto motivo l’appellante lamenta che il TAR avrebbe omesso di pronunciare sulle censure, qui riproposte, con cui era stato dedotto che:
a) le concorrenti controinteressate avrebbero dovuto essere escluse dalla gara per non aver allegato all’offerta il piano economico-finanziario richiesto dall’art. 5.3 del disciplinare di gara;
b) il prospetto costi ricavi presentato da ciascuna delle suddette concorrenti (richiesto a pena di esclusione dall’art. 5.3 del disciplinare) sarebbe carente sotto svariati profili, in quanto non avrebbe i contenuti di un bilancio previsionale, così come descritti dall’art. 2435 bis del cod. civ. e, in ogni caso, sarebbe lacunoso in quanto, in violazione degli artt. 5.1, punto A7, del disciplinare e 6 del capitolato, non indicherebbe i costi della sicurezza e le spese di giardinaggio, il che avrebbe impedito alla Commissione di gara di verificare la complessiva sostenibilità delle offerte;
c) l’omessa indicazione degli oneri della sicurezza nel prospetto costi ricavi presentato dall’aggiudicataria avrebbe inciso negativamente sul sub procedimento di valutazione dell’anomalia dell’offerta, rendendo il giudizio di congruità espresso dalla Commissione di gara carente e lacunoso.
Le doglianze così sinteticamente riassunte sono infondate.
Dispone l’art. 5.3 del disciplinare di gara: “All’offerta economica dovrà, a pena di esclusione, essere allegato un prospetto dei costi e dei ricavi, dal quale si evinca con chiarezza la sostenibilità del progetto presentato. A tale scopo il piano deve essere elaborato tenuto conto dei presupposti e delle condizioni di base proposte nel Capitolato d’oneri e dovrà riportare l’esatta indicazione delle voci di entrata e di spesa, inclusi il canone di concessione annuale e la percentuale di royalty offerti. Il piano dovrà essere proiettato per un arco temporale coincidente con la durata della concessione (dal 1 aprile 2015 al 31 dicembre 2017)”.
Com’è evidente, dunque, i concorrenti non avevano alcun obbligo di presentare né un piano economico finanziario, né un bilancio previsionale con i contenuti di cui all’art. 2435 bis, ma semplicemente un “prospetto dei costi e dei ricavi”, in relazione al quale la trascritta norma di gara non poneva alcun vincolo in ordine alle poste attive e passive da indicare.
Pertanto, che i prospetti costi/ricavi presentati dalle concorrenti che precedono l’appellante non contemplassero le voci da quest’ultima ritenute essenziali è circostanza ininfluente e non idonea a viziare le relative offerte.
Con riguardo ancora all’asserita violazione degli artt. 5.1. A7 del disciplinare e 6 del capitolato è sufficiente rilevare che:
a) il primo prevede che il concorrente debba dichiarare “di aver tenuto conto, nel redigere l’offerta, degli obblighi connessi alle disposizioni in materia di sicurezza e protezione dei lavoratori, nonché alle condizioni del lavoro”, ma la prescrizione non è posta a pena di esclusione;
b) il secondo fa, tra l’altro, obbligo al concessionario di “provvedere a propria cura e spese alla pulizia e alla manutenzione del verde delle aree individuate nella Tavola n. 2 con un tratto punteggiato verde, per un totale di mq 1.715”, stabilisce, quindi, un obbligo che riguarda la fase di esecuzione del contratto e non quella della gara, per cui la sua eventuale violazione non può comportare esclusione dalla procedura selettiva.
La mancata indicazione di oneri di sicurezza e spese di giardinaggio non è, infine, sufficiente a viziare il giudizio emesso dalla stazione appaltante in ordine alla congruità dell’offerta aggiudicataria.
Difatti, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale che la Sezione condivide, affinché un’offerta possa essere giudicata incongrua, non è sufficiente che alcuni dei suoi elementi costitutivi non siano stati quantificati o lo siano stati in maniera anormalmente bassa, ma è necessario che la mancata quantificazione o la sottostima siano tali da evidenziare la completa erosione dell’utile dichiarato (da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 18/7/2017, n. 3548; 29/5/2017, n. 2556 e 13/2/2017, n. 607).
Col quinto motivo di gravame l’appellante lamenta, tra l’altro, che il TAR avrebbe errato a respingere la censura con cui era stato dedotto che la stazione appaltante non avrebbe potuto indire la gara per cui è causa in quanto il sito denominato L. L. non era compreso tra i cespiti che Roma Capitale (proprietaria del bene) aveva affidato a Z. P. C. perché né gestisse le procedure di sfruttamento.
Al riguardo la F. S. eccepisce l’inammissibilità della censura in quanto la stessa risulterebbe incompatibile con la domanda dell’appellante volta ad ottenere l’aggiudicazione in proprio favore.
L’eccezione è infondata.
L’appellante ha chiesto in via principale l’aggiudicazione in proprio favore, e, per il caso in cui risultasse impossibile soddisfare tale interesse, ha dedotto una censura idonea a salvaguardare almeno l’interesse strumentale al rifacimento della gara.
Contrariamente, poi, a quanto affermato dal TAR, l’interesse dell’appellante a dedurre la censura di che trattasi non risulta pregiudicato dal fatto che ove “fondata non si giustificherebbe neppure la prosecuzione da parte sua della gestione del servizio, dal momento che tale servizio è svolto in forza di affidamento ottenuto da parte della stessa Zètema”.
Ed invero, alla luce di quanto sopra esposto e indipendentemente dalla legittimità del rapporto in essere tra la Z. P. C. e la società L. L., quest’ultima vanta un interesse di tipo strumentale al rifacimento della gara legittimamente tutelabile in questa sede.
Nel merito la doglianza è fondata.
Nel respingere la Censura il TAR ha rilevato che: “l’affidamento in concessione del servizio in esame nella sede indicata dagli atti di gara oggetto dell’odierno ricorso, trova legittimazione da parte della società Zètema nel rapporto di servizio in essere tra detta società e Roma Capitale, sia in forza della sua naturale inclusione nel complesso delle attività direttamente contemplate nell’oggetto della convenzione, attesa la strumentalità funzionale – ancorchè in assenza di un effettivo collegamento strutturale – con la ludoteca Technotown di Villa Torlonia; sia in forza della clausola generale di riserva che si è dapprima riportata e che è sufficiente ad includere nell’affidamento tutte quelle attività residuali ed atipiche che siano comunque funzionalmente connesse all’espletamento del mandato ricevuto”.
Sennonché, come correttamente dedotto dall’appellante, il rapporto di servizio in essere tra la Z. P. C. e Roma Capitale non è da solo sufficiente ad attribuire alla prima il potere di disporre del bene, occorrendo, all’uopo, anche e soprattutto che lo stesso bene abbia costituito oggetto di uno specifico affidamento da parte dell’ente proprietario (Roma Capitale).
Al fine di appurare questo profilo la Sezione ha emesso le ordinanze istruttorie, n. 1814/2016 e n. 3546/2016 con cui chiesto a Roma Capitale di fornire <<una documentata relazione sulla controversia de qua con specifici chiarimenti circa l’effettiva ricomprensione della struttura denominata “Limonaia” tra i beni affidati alla Z. P. C. s.r.l.>>.
Ora, la documentazione acquisita agli atti a seguito delle dette ordinanze, dimostra la fondatezza della lagnanza. Infatti la struttura denominata Limonaia, distinta da quella denominata Tecnotown, adibita a ludoteca, non figura tra i beni affidati da Roma Capitale alla Z. P. C..
Sotto il profilo impugnatorio l’appello va, quindi, accolto limitatamente al motivo da ultimo esaminato che comporta il travolgimento dell’intero procedimento di gara.
Dal che discende de plano l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di risarcimento in forma specifica.
Resta da esaminare la pretesa ad ottenere il risarcimento dei danni per equivalente che l’appellante specifica in appello nelle seguenti voci:
a) danno emergente, costituito dalle spese sostenute per partecipare alla gara, quantificato in € 6.000 (oltre accessori);
b) lucro cessante connesso alla mancata aggiudicazione ed esecuzione del contratto, stimato nella misura del 10 % dell’importo a base d’asta;
c) danno curriculare quantificato nella misura del 3% del valore dell’intervento.
La domanda è inammissibile.
Ed invero, in primo grado la richiesta risarcitoria, è stata formulata col ricorso introduttivo del giudizio in modo assolutamente generico con conseguente inammissibilità della stessa.
Si legge, infatti, nel ricorso: “si chiede sin da ora la condanna dell’ente resistente a risarcire per equivalente monetario il danno cagionato all’istante, nella misura da quantificarsi in corso di causa”.
La domanda è stata specificata in appello, ma in maniera del tutto irrituale, stante il divieto di nova di cui all’art. 104, comma 1, c.p.a.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La peculiarità e novità delle questioni affrontate giustifica l’integrale compensazione di spese e onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado, secondo quanto specificato in motivazione, annullando conseguente gli atti impugnati in primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore
Daniele Ravenna, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Alessandro Maggio | Francesco Caringella | |
IL SEGRETARIO
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