Consiglio di Stato sezione II sentenza n. 5087 depositata il 3 novembre 2017
LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – INFERMITA’ DA CAUSA DI SERVIZIO – NESSO DI CAUSALITA’ TRA EVENTI DI SERVIZIO ED INFERMITA’
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, già dipendente dell’INAIL, presentava nell’anno 1986 domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità (omissis).
La domanda veniva negativamente definita dal Commissario straordinario dell’INAIL con provvedimento n. 486/1993, che disconosceva la sussistenza del suddetto rapporto eziologico, nonostante il Collegio medico di appello ne avesse affermato la configurabilità, rivedendo il parere negativo espresso dal Collegio medico di primo grado.
Il ricorso proposto avverso il provvedimento reiettivo, incentrato sul carattere vincolante del pronunciamento del Collegio medico di secondo grado e sulla carenza motivazionale della determinazione commissariale, che lo aveva illegittimamente disatteso, è stato accolto dal T.A.R. per il Lazio con la sentenza n. 4142/2005, passata in cosa giudicata, sulla scorta della carenza motivazionale del provvedimento di diniego, il quale non recava le ragioni per le quali aveva recepito uno dei pareri che erano stati espressi, in termini discordanti, all’interno del procedimento ed in particolare l’opinione dissenziente del rappresentante dell’Amministrazione all’interno del Collegio medico di appello, a discapito dell’orientamento degli altri componenti del medesimo organo consultivo.
Con determina n. 7653/2005 il Direttore centrale dell’INAIL ha annullato il precedente provvedimento negativo e confermato il disconoscimento della dipendenza da causa di servizio della predetta infermità.
Il ricorrente, affermando che sarebbe precluso all’Amministrazione discostarsi dal parere del Collegio medico di seconda istanza in punto di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità e lamentando che la stessa, adottando il citato provvedimento, si sarebbe sottratta all’obbligo di ripetere “l’iter amministrativo nel senso legale e legittimo ritenuto dall’Organo Giurisdizionale e che in precedenza non ha osservato”, anche in virtù del tempo (oltre dodici anni) trascorso dal provvedimento originariamente impugnato, sottoponeva le sue doglianze al Tribunale di Cassino che, dopo aver acquisito una CTU medico-legale (recante esiti asseritamente favorevoli alla tesi attorea), declinava la sua giurisdizione a favore del giudice amministrativo con la sentenza n. 1435/2008.
Il ricorrente riassumeva quindi il giudizio dinanzi al T.A.R. per il Lazio, Sezione di Latina, affinché venisse data esecuzione alla sentenza n. 4142/2005, ma il giudice adito, con la sentenza n. 914/2013, dichiarava sussistente la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro.
Il Tribunale di Cassino, nuovamente investito dall’interessato, dichiarava con la sentenza n. 217/2015 il ricorso inammissibile perché afferente alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Le Sezioni Unite della Cassazione, adite dal ricorrente con istanza di regolamento di giurisdizione ai fini della risoluzione dell’apertosi conflitto negativo, con la sentenza n. 13576/2016 individuava in quello amministrativo il giudice avente la potestà di ius dicere.
Riassunto quindi il giudizio dinanzi al T.A.R. per il Lazio, il ricorrente concludeva per l’annullamento del provvedimento negativo dell’INAIL, siccome contrastante con la sentenza n. 4142/2005, e per l’accertamento del nesso causale tra l’infermità ed il servizio prestato, anche utilizzando la CTU acquisita nel corso del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Cassino.
Il T.A.R., con la sentenza oggetto di impugnazione, ha respinto il ricorso.
Mediante le censure formulate con il relativo atto di appello, viene dedotto, in sintesi, che l’Amministrazione avrebbe dovuto motivare in ordine alle ragioni del diniego, che non le era consentito discostarsi dal parere del Collegio medico di II istanza, dopo che il provvedimento originario era stato annullato dal T.A.R. ed il parere di primo grado sostituito da quello, favorevole, di seconda istanza, che dopo la sentenza n. 4142/2005 l’INAIL non avrebbe potuto poteva emettere un nuovo provvedimento, essendo stato annullato dal T.A.R. quello precedentemente emesso, e che se il T.A.R. avesse ritenuto ammissibile il nuovo provvedimento, oltre a dover motivare tale conclusione, avrebbe dovuto decidere nel merito in ordine al riconoscimento della dipendenza della infermità da causa di servizio.
Si è costituito l’INAIL chiedendo il rigetto dell’appello.
Tanto premesso, l’appello non è meritevole di accoglimento.
Dopo aver descritto la complessa vicenda processuale che ha preceduto la sentenza impugnata, come dianzi riassunta, la parte appellante lamenta essenzialmente che il T.A.R., adito in sede di ottemperanza della sentenza n. 4142/2005 e quindi al fine di far dichiarare il contrasto con il formatosi giudicato del provvedimento n. 7653/2005, di rinnovato diniego del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità contratta dal medesimo quale impiegato dell’INAIL (ora in quiescenza), nonché far accertare ope iudicis la suddetta dipendenza, non ha dato riscontro esaustivo alla domanda attorea ed erroneamente ritenuto che l’Amministrazione, dopo che era stato annullato, con sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, passata in giudicato, il precedente provvedimento negativo, avesse il potere di reiterare la determinazione negativa.
Deve ribadirsi che, con la sentenza oggetto di ottemperanza (n. 4142/2005, pronunciata dal T.A.R. per il Lazio, sede di Roma), è stato sancito l’annullamento del primigenio provvedimento reiettivo adottato dall’Amministrazione (in persona del Commissario straordinario dell’INAIL) in ordine alla domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio presentata dal ricorrente con riferimento all’infermità (omissis).
Le ragioni del disposto annullamento, in un quadro procedimentale caratterizzato e reso peculiare dal contrasto tra i pareri del Collegio medico di primo grado e di quello di appello (il primo contrario alla richiesta di parte istante, il secondo favorevole, sebbene con il dissenso minoritario del rappresentante dell’Amministrazione), attengono essenzialmente alla carenza motivazionale del provvedimento di rigetto: il giudice di cognizione infatti, dopo aver evidenziato il carattere obbligatorio ma non vincolante del parere endo-procedimentale dell’organo tecnico, “sia esso di primo che di secondo grado (…) dal quale il Comitato esecutivo – e quindi nel caso in esame il Commissario straordinario – può discostarsi”, ha precisato che “il potere dell’organo decidente di disattendere l’avviso espresso dall’organo tecnico dev’essere esercitato motivatamente, anzi nel caso in cui nel procedimento intervengano pareri tra lo contrastanti l’obbligo di motivazione deve ritenersi particolarmente rigoroso, giacché l’Amministrazione deve dar conto delle ragioni in base alle quali privilegia l’uno piuttosto che l’altro”, rilevando altresì che “in particolare, in materia di riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio, e dunque della sussistenza del nesso di causalità tra eventi di servizio ed infermità, la pubblica amministrazione non può prescindere dall’entità e dalle circostanze materiali obiettive del servizio dal momento che, anche per infermità di natura (omissis), non può escludersi l’incidenza di fattori esterni capaci, in qualità di concause, di rivelare la medesima infermità o provocarne l’aggravamento rapido”.
“Nella fattispecie all’esame” – conclude il T.A.R. – “è pertanto del tutto insufficiente il richiamo (neppure il rinvio) all’opinione espressa dal membro dissenziente del Collegio medico di II grado (peraltro designato dall’Amministrazione), senza che siano confutate, sia pur sinteticamente ma esaustivamente, le argomentazioni degli altri membri alla luce degli elementi valutativi a cui si è fatto cenno appena sopra. Né la riscontrata carenza può ritenersi colmata, da un lato, per relationem alla detta opinione, giacché è anch’essa a sua volta sfornita di un minimo supporto motivazionale in quanto meramente ripetitiva del giudizio di I grado …”.
Con la sentenza appellata (n. 791/2016, pronunciata dal T.A.R. per il Lazio, Sezione staccata di Latina), il ricorso di ottemperanza è stato respinto “in quanto le allegazioni del ricorrente si pongono in aperto contrasto con quanto statuito dalla sentenza di cui è chiesta l’esecuzione dato che: a) la tesi del ricorrente è che l’INAIL non avrebbe potuto adottare “un nuovo provvedimento in contrasto con una decisione giurisdizionale passata in giudicato dovendosi al contrario conformarsi a quella decisione” e che pertanto debba essere riconosciuto il suo diritto, previo riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità, al trattamento previdenziale di invalido per servizio; b) va rilevato in contrario che la decisione del 2005 aveva espressamente affermato che il parere del collegio medico (sia di primo grado che di appello) non avesse carattere vincolante e che pertanto il competente organo di amministrazione attiva non fosse tenuto a conformarvisi, salvo obbligo di motivazione della soluzione scelta; la stessa decisione aveva anche respinto la domanda di accertamento del diritto al riconoscimento dell’equo indennizzo vantando l’interessato un interesse legittimo a fronte del potere dell’amministrazione; c) di conseguenza la nuova determinazione negativa sulla istanza del ricorrente non si pone in contrasto con il giudicato ma in realtà lo attua perché, venendo in definitiva in rilievo l’annullamento di un provvedimento per difetto di motivazione, l’unico vincolo scaturente dalla sentenza è quello alla riadozione di un nuovo provvedimento che sia munito di adeguata motivazione; ciò è quello che l’ente ha fatto”.
Ebbene, deve respingersi la deduzione attorea secondo cui, a seguito dell’annullamento del primo provvedimento di diniego, all’Amministrazione sarebbe stato precluso, pena la violazione del giudicato formatosi sulla sentenza di annullamento, la reiterazione del provvedimento di rigetto: come recentemente ribadito anche da questa Sezione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 660 del 14 febbraio 2017), si “denomina “one shot temperato” il principio, affermato da costante giurisprudenza, per cui l’Amministrazione, dopo aver subito l’annullamento di un proprio atto, può rinnovarlo una sola volta, e quindi deve riesaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, senza potere in seguito tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati”.
Nella specie, tuttavia, il provvedimento di cui viene sostenuto il carattere violativo del giudicato – i cui effetti conformativi, come si è visto, si sostanziano nella prescrizione di dotare il provvedimento conclusivo del procedimento di una congrua motivazione, anche alla luce dei divergenti apporti consultivi acquisiti nel corso del procedimento – costituisce (solo) la seconda manifestazione della volontà provvedimentale dell’Amministrazione, risultando quindi adottata nell’esercizio di un potere che, sulla base della citata giurisprudenza, non poteva ritenersi da essa già interamente consumato.
Né potrebbe sostenersi, sotto diverso profilo, che l’Amministrazione non si sia conformata alla suddetta statuizione, adottando un provvedimento ancora carente, come era stato riconosciuto il primo, sul piano motivazionale.
Basti osservare che il provvedimento asseritamente contrastante con il giudicato indica esaurientemente i profili di non condivisibilità del parere collegiale di seconda istanza, sotto il profilo del contrasto del medesimo con le “evidenze scientifiche” (alla luce della “natura esclusivamente degenerativa della infermità palesata” e della “ordinaria evolutività della stessa che nega qualsivoglia eccezionale anomalia dell’andamento anatomo-patologico e clinico e consente, quindi, di ricomprenderla nell’ambito di un processo autonomo, spontaneo ed indipendente da fattori esogeni”) e della errata oltreché omissiva valutazione delle “circostanze lavorative” (atteso che “il (omissis) ha sostanzialmente svolto attività di collaboratore di amministrazione con funzioni di sportello, di cassa, di liquidazione delle indennità dell’inabilità temporanea al lavoro”).
Né potrebbe accedersi alla tesi attorea secondo cui, anche qualora avesse ritenuto l’ammissibilità di un provvedimento reiterativo del diniego, sarebbe stato compito del T.A.R. entrare nel “merito” della vicenda, accertando la spettanza al ricorrente del diritto reclamato.
In primo luogo, infatti, il T.A.R., come già evidenziato nella sentenza oggetto di ottemperanza, ha correttamente osservato: “quanto alla domanda di accertamento dell’assunto “diritto” al chiesto riconoscimento, in materia, la posizione giuridica soggettiva rivestita dal dipendente ha consistenza di interesse legittimo a fronte del relativo atto, avente natura provvedimentale perché suscettibile di introdurre una modifica di status nel patrimonio giuridico del destinatario”, con la conseguente improponibilità di domande dichiarative.
Inoltre, anche qualora sussistessero le condizioni per convertire l’azione di ottemperanza (e di accertamento) in azione di annullamento del nuovo provvedimento di diniego (superando d’emblée la plausibile eccezione di tardività della stessa adombrata dalla parte resistente), nessuna indicazione è stata resa dalla parte appellante in ordine alla illogicità e/o travisamento di fatto ipoteticamente inficianti il giudizio tecnico-discrezionale trasfuso nel provvedimento contestato.
Né a tal fine potrebbe ritenersi sufficiente il richiamo della CTU acquisita nell’ambito del giudizio civile, prima della sua riassunzione dinanzi al giudice amministrativo.
E’ noto infatti che, secondo la logica del sindacato avente ad oggetto le modalità con le quali l’Amministrazione ha esercitato il suo potere, anche tecnicamente connotato, l’ammissione (e l’utilizzazione) di una CTU può avvenire al fine di illuminare gli eventuali profili di inattendibilità tecnico-scientifica della determinazione amministrativa, non certo al fine di sostituire quest’ultima con la valutazione operata dal CTU (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1454: “il sindacato giurisdizionale su tali decisioni è ammesso esclusivamente nelle ipotesi di vizi logici desumibili dalla motivazione degli atti impugnati, dai quali si evidenzi l’inattendibilità metodologica delle conclusioni cui è pervenuta l’Amministrazione, ovvero nelle ipotesi di irragionevolezza manifesta, palese travisamento dei fatti, omessa considerazione di circostanze di fatto, tali da poter incidere sulla valutazione finale, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito”).
Tuttavia, come si è detto, nessuna deduzione viene articolata dall’appellante al fine di evidenziare, anche sulla scorta della citata CTU, gli eventuali vizi inficianti, sotto i profili (istruttori e motivazionali) suindicati, le conclusioni cui è pervenuta l’Amministrazione.
L’appello in conclusione, come anticipato, deve essere respinto.
La peculiarità dell’oggetto della controversia giustifica infine la compensazione delle spese sostenute dalle parti relativamente al giudizio di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese del giudizio di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
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