Consiglio di Stato sezione III sentenza n. 1345 depositata il 13 marzo 2015
N. 01345/2015REG.PROV.COLL.
N. 08764/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8764 del 2014, proposto dal:
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., dalla Prefettura di Udine – U.T.G., in persona del Prefetto p.t., e dal Commissario delegato per l’emergenza della mobilità riguardante la A4, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
contro
R. de E. S.p.A. e T. soc. cons. a r. l., in persona del legale rappresentante p.t. M. de E., rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Clarizia e Andrea Gemma, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, Via Principessa Clotilde, n. 2;
nei confronti di
A. V. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Moreschini e Giuseppe Campeis, con domicilio eletto presso Paola Moreschini in Roma, Piazza dell’Orologio n. 7;
P. & C. S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio.
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia n. 457 del 29 agosto 2014, resa tra le parti, concernente l’emanazione di interdittiva antimafia e la conseguente revoca dell’affidamento dei lavori di realizzazione di un tratto della terza corsia dell’autostrada A4.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di R. de E. S.p.A. e di A. V. S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2015 il Cons. Dante D’Alessio e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Andrea Gemma, Giuseppe Campeis e l’avvocato dello Stato Agnese Soldani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La società R. de E. ha impugnato davanti al T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia l’interdittiva antimafia, comunicata dal Prefetto di Udine con nota del 9 giugno 2014, nonché il decreto, n. 281 del 24 luglio 2014, con il quale il Commissario delegato per l’emergenza della mobilità riguardante la A4 (tratto Venezia – Trieste) ed il raccordo Villesse – Gorizia, preso atto della disposta interdittiva, ha revocato il precedente decreto n. 59 del 3 maggio 2010, nella parte in cui aveva disposto l’affidamento in favore della suddetta società dei lavori per la realizzazione di un tratto della terza corsia dell’autostrada A4.
2.- Il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, con la sentenza n. 457 del 29 agosto 2014, resa in forma semplificata nella camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare, ha accolto il ricorso.
Il T.A.R., dopo aver ricordato i principi che sono stati elaborati dalla giurisprudenza in materia di interdittiva antimafia e dopo aver premesso che gli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico ma unitario, con una valutazione che deve essere effettuata in relazione «al complessivo quadro indiziario, nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri», ha ritenuto che «le carenze dell’interdittiva prefettizia impugnata non riguardano solo i singoli episodi, ma soprattutto il collegamento tra di loro, affatto mancante e nemmeno enunciato nell’atto prefettizio se non con indimostrate affermazioni apodittiche».
Invero, ha aggiunto il T.A.R., «nella sua parte finale (pagina 13) l’interdittiva prefettizia si limita a richiamare le condanne relative alla vicenda siciliana, la mancata riabilitazione e l’affidamento di lavori in subappalto a ditte implicate con la mafia» ma non sono spiegati «neppure a grandi linee i collegamenti tra le varie vicende, non si paragona ogni singolo aspetto all’entità dei lavori, al numero dei subappalti e al fatturato globale della ditta, attualmente (2013) con un portafoglio lavori pari a 2.317 milioni di euro, ricavi pari a 572 milioni e 2732 dipendenti».
Secondo il T.A.R, «le vicende poste a fondamento dell’interdittiva prefettizia … risultano in gran parte risalenti nel tempo, scollegate tra di loro, in carenza di un disegno unitario complessivo e comunque alquanto modeste in relazione all’attività della ditta, sia dal punto di vista numerico, sia infine dal punto di vista economico». Con la conseguenza che non risulta «dimostrato un quadro sufficientemente preciso, anche se solo indiziario, in grado di sorreggere un giudizio di possibilità d’infiltrazione mafiosa».
3.- L’Amministrazione ha appellato l’indicata sentenza, ritenendola erronea sotto diversi profili, ed ha contestato analiticamente, in relazione agli elementi sui quali si è basata l’interdittiva, le affermazioni fatte dal giudice di primo grado.
All’appello si sono opposte le società R. de E. e T..
3.1.- La società A. V., nel costituirsi in giudizio, ha sostenuto l’improcedibilità e/o inammissibilità dell’appello per difetto di notifica alle parti interessate a contraddire.
Ma l’eccezione, a prescindere da ogni questione sulla posizione processuale rivestita dalla società A. V., è infondata tenuto conto che l’appello (della sentenza che era stata notificata all’Amministrazione il 15 settembre 2014) è stato presentato alla notifica per tutte le parti, in data 15 ottobre 2014, e solo per precauzione è stato successivamente rinotificato, per le ragioni esposte dall’Avvocatura dello Stato nella memoria in data 21 dicembre 2014, nei confronti delle società R. de E. S.p.A. e T., destinatarie del provvedimento interdittivo e della conseguente revoca dell’affidamento dei lavori di realizzazione di un tratto della terza corsia dell’autostrada A4, che si sono costituite regolarmente in giudizio e non hanno sollevato alcuna eccezione in proposito.
3.2.- Ciò rende superflua ogni questione sull’applicabilità alla fattispecie del termine dimezzato relativo al rito per i giudizi in materia di appalti.
Peraltro giustamente l’Avvocatura dello Stato ha ricordato i principi espressi in materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 17 del 31 luglio 2014.
4.- Nel merito, la Sezione ritiene che l’appello, anche se ben articolato, non possa essere accolto.
L’impugnata interdittiva, che pure è frutto di un’ampia ed approfondita attività investigativa, fornisce, infatti, un quadro indiziario che si basa su fatti che sono risalenti nel tempo, di sicura consistenza, e fatti più recenti nei quali invece non si riescono a cogliere elementi indiziari tali da giustificare, anche nel collegamento con le vicende più risalenti, un provvedimento interdittivo che produce effetti di sicura gravità per ogni azienda e a maggior ragione per una azienda che è leader nel mercato delle costruzioni stradali.
I risultati delle articolate indagini svolte dall’Amministrazione, che costituiscono il presupposto dell’interdittiva, non sembrano dimostrare, quindi, nel loro complesso, la sussistenza di elementi tali da far ritenere possibile, anche solo a livello indiziario, un condizionamento attuale, da parte della criminalità organizzata, dell’attività dell’impresa resistente.
5.- Invero, l’interdittiva si fonda su fatti oggettivamente più rilevanti (le vicende siciliane e napoletane), che risalgono alla fine degli anni 80 e all’inizio degli anni 90 (le vicende siciliane) e alla metà degli anni 90 (le vicende giudiziarie napoletane), che sono quindi risalenti nel tempo (e che non hanno dato luogo, in precedenza a provvedimenti interdittivi), e su fatti più recenti (le vicende di Aviano e Portopiccolo a Sistiana) che non assumono oggettivamente la stessa rilevanza indiziaria del necessario condizionamento dell’impresa da parte della malavita organizzata.
Altri fatti poi descritti nell’interdittiva dimostrano il mancato rispetto da parte dell’impresa (e dei suoi rappresentanti) di disposizioni di legge (per lo più di natura tributaria) che possono anche determinare la possibile irrogazione di sanzioni da parte dell’ordinamento ma che non sono indice di quel condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata che costituisce il presupposto dell’interdittiva antimafia i cui effetti, come si è detto, sono particolarmente gravi per un’impresa che ha raggiunto rilevanti dimensioni nel settore nazionale ed europeo delle infrastrutture stradali.
6.- Come ha riassunto il T.A.R., dopo aver analizzato in modo dettagliato (dal punto 9 della sentenza) le singole vicende sulle quali si è basata l’interdittiva:
«- la vicenda siciliana del 1993 è troppo risalente per cui manca ogni sua attualizzazione;
– la vicenda napoletana oltre che anch’essa risalente, si è conclusa con assoluzioni piene;
– la vicenda di Pordenone è costituita da un episodio isolato senza riferimento alla mafia;
– i lavori di Aviano sono stati già controllati a livello militare per cui ogni interferenza non poteva essere nota alla ditta ricorrente;
– quanto ai lavori di Portopiccolo a Sistiana, i condizionamenti mafiosi non sono dimostrati e riguardano una parte minima e quantitativamente non significativa dei subappalti, riferita a ditte tutte certificate e nessuna destinataria di interdittiva al momento dell’affidamento del subappalto;
– le altre vicende tributarie e fiscali appaiono infine ultronee rispetto a ogni reato di mafia».
7.- A prescindere da qualche possibile imprecisione (ed enfasi) contenuta nella sentenza appellata (evidenziata dall’avvocatura dello Stato), deve, pertanto, ritenersi sostanzialmente condivisibile, pur con qualche precisazione terminologica, la conclusione raggiunta dal giudice di primo grado secondo cui «le vicende poste a fondamento dell’interdittiva…» non sono «in grado di sorreggere un giudizio di possibilità d’infiltrazione mafiosa».
8.- La Sezione ritiene peraltro di dover aggiungere, anche in relazione alle censure sollevate dall’Avvocatura dello Stato nel suo appello, che le vicende siciliane e napoletane, dettagliatamente descritte nell’interdittiva prefettizia, avrebbero potuto anche avere rilevanza (ai fini di una interdittiva) se i fatti descritti fossero stati più recenti e comunque in grado di dimostrare o far supporre un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa da parte della criminalità organizzata.
Per quanto riguarda la vicenda siciliana, non può, infatti, non disconoscersi il rilievo delle condanne (patteggiate) subite da Claudio de Eccher nel 1994, per corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio in concorso, e nel 1995, per associazione a delinquere, turbativa libertà degli incanti e corruzione aggravata per un atto contrario ai doveri di ufficio, così come la condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis c.p.) del dipendente geometra Li Pera Giuseppe, ed analogamente non può non disconoscersi il rilievo dei fatti accertati nel giudizio penale che ha visto coinvolti Claudio e M. de E. per la vicenda napoletana (poi peraltro conclusasi con l’assoluzione degli stessi dal reato di cui al 416 bis c.p. e la riparazione per l’ingiusta detenzione di Claudio de Eccher), ma tali fatti, a prescindere da ogni altra valutazione, sono oramai molto risalenti nel tempo ed appaiono peraltro anche non collegati fra loro e comunque non sono tali da provare un condizionamento attuale dell’impresa e giustificare oggi un provvedimento interdittivo.
8.1.- Tale conclusione non si pone peraltro in contrasto con il principio che questa Sezione ha costantemente affermato (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato Sez. III, n. 305 del 23 gennaio 2015), secondo cui l’interdittiva può fondarsi, oltre che su fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando tuttavia dal complesso delle vicende esaminate, e sulla base degli indizi (anche più risalenti) raccolti, possa ritenersi sussistente un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa.
8.2.- Ma tale attuale condizionamento, nella fattispecie, non risulta sufficientemente provato dai fatti più recenti (che non assumono oggettivamente la stessa rilevanza di quelli molto risalenti nel tempo) descritti nell’interdittiva prefettizia impugnata.
8.3.- Né risulta sufficiente per provare un legame attuale con la vicenda siciliana il riferimento, contenuto nell’interdittiva, all’incarico rivestito nella società da Francesca Deffendi, figlia di Gianfranco Deffendi (a sua volta ex manager della società), condannato nel 1994 e nel 1997 nello stesso procedimento che aveva portato alle condanne di Claudio de Eccher.
8.4.- Peraltro deve essere ribadito il principio secondo il quale il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), dovendo l’informativa antimafia indicare (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti (da ultimo, Consiglio di Stato Sez. III, n. 305 del 23 gennaio 2015 cit.).
9.- Non si può poi giungere a conclusione diversa per la vicenda di Pordenone (riguardante la condanna di de Eccher Claudio nel 1994, con sentenza patteggiata, per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, per fatti verificatisi nel 1987), trattandosi (anche in tal caso) di vicenda risalente nel tempo non in grado di dimostrare un attuale condizionamento dell’impresa.
10.- Per quanto riguarda i lavori nella base militare americana di Aviano, l’informativa ha fatto riferimento al pagamento di alcune fatture per lavori dati in subappalto (per un totale di poco superiore ai 50.000 euro) ad una ditta (la CIM Costruzioni Industriali di Gela) risultata implicata in attività mafiose.
Nell’informativa si fa poi riferimento ad irregolarità nell’assunzione di operai ed alla circostanza che M. de E. era stato indagato (e poi prosciolto) nell’inchiesta che aveva riguardato anche la suddetta CIM Costruzioni Industriali.
L’informativa ha fatto inoltre riferimento all’accertata presenza nel cantiere di numerosi lavoratori con precedenti di polizia anche per associazione a delinquere di stampo mafioso.
10.1.- In proposito si deve osservare, come ha fatto anche il T.A.R., che risulta oggetto di contestazione solo uno dei rapporti di subappalto (a fronte di ben 237 subappalti con altre ditte), per un importo complessivo molto modesto, di circa € 50.000, a fronte di lavori che prevedevano una spesa complessiva di circa 564 milioni di dollari e che erano stati aggiudicati alla resistente R. de E. per circa 100 miliardi di lire.
10.2.- Anche tale vicenda non è poi recente (risale agli anni 2001 e 2002) e non prova, anche per la sua modesta rilevanza, l’esistenza di un condizionamento attuale dell’impresa.
Peraltro la R. de E. ha anche dichiarato (e tale circostanza non è stata smentita) che dopo aver sottoscritto il contratto con la CIM Costruzioni Industriali il 15 novembre 2001 ha poi risolto il rapporto con tale società per inadempimenti contrattuali (con la conseguente modestia delle prestazioni fatturate). E ciò proverebbe ulteriormente la «inesistenza del benché minimo “rapporto”» fra le due società.
Inoltre, come ha evidenziato il T.A.R., tutte le ditte subappaltatrici avevano prodotto il prescritto certificato antimafia ed erano state sottoposte ai rigorosi controlli determinati dal fatto di dover operare all’interno di una struttura militare americana.
10.3. Per quanto riguarda, poi, l’accertata presenza nel cantiere di 391 lavoratori con precedenti di polizia, alcuni dei quali anche per associazione mafiosa, si deve osservare che il dato numerico si riferisce al complesso dei lavori eseguiti presso la base di Aviano e non riguarda solo i lavoratori della R. de E. e delle società sub appaltatrici. Così come non può avere rilievo, ai fini in questione, la circostanza che nove, fra le persone per le quali la R. de E. aveva chiesto l’accesso alla base, non risultavano regolarmente assunte.
Ma anche l’affermazione secondo cui nove persone fra quelle per le quali la R. de E. aveva chiesto l’accesso risultavano avere precedenti di polizia risulta troppo generica per poter assumere rilevanza ai fini dell’impugnata interdittiva.
Senza contare che, come la R. de E. ha dimostrato, l’accesso alla base militare era regolato da rigide procedure di sicurezza che erano oggetto di specifiche previsioni contrattuali e che l’accesso alla base militare era controllato sia da militari statunitensi che dai carabinieri italiani.
10.4.- Anche i fatti riguardanti i lavori nella base di Aviano, come ha ritenuto il T.A.R., non risultano pertanto sufficienti a dimostrare un possibile attuale condizionamento dell’impresa.
11.- Resta la questione (più recente) dei lavori per la realizzazione del villaggio turistico di Portopiccolo, nella baia di Sistiana, affidati alla società R. de E. per un importo di circa 180 milioni di euro.
In proposito si sostiene, nell’interdittiva, che la R. de E. ha affidato alcuni lavori in sub appalto, per un importo di 4 milioni di euro, alla società IDEA MAS che, a sua volta, ha dato in sub appalto una parte dei lavori (per un milione di euro ciascuna), alla FE.MA s.r.l. e alla BRI-FE Costruzioni s.r.l., che risultano collegate ad esponenti della criminalità organizzata (il clan della ‘ndrangheta Feliciano).
Nell’interdittiva si sostiene poi che anche la società IDEA MAS risulta legata al gruppo controllato da Feliciano Carmelo.
Infine l’interdittiva fa riferimento ad un contratto, per circa 40.000,00 euro affidato dalla R. de E. alla BSE s.r.l., riconducibile a Scullino Francesco ritenuto appartenente allo stesso gruppo criminale.
11.1.- Sul punto il T.A.R. ha ritenuto che, anche in tale vicenda, i condizionamenti mafiosi non sono dimostrati, riguardando una parte minima e quantitativamente non significativa dei subappalti, riferita a ditte tutte certificate.
Inoltre, tutte le ditte citate nell’interdittiva avevano prodotto i certificati antimafia e nessuna delle citate ditte subappaltarici aveva ricevuto direttamente, almeno prima dell’affidamento dei relativi lavori, un’interdittiva prefettizia antimafia.
Secondo il giudice di primo grado, quindi, il coinvolgimento di alcune ditte affidatarie dirette e indirette di subappalti con esponenti della criminalità organizzata «non dimostra né la consapevolezza di tali legami da parte delle R. de E. né la possibilità di un’influenza sui suoi livelli decisionali».
11.2.- Tali affermazioni risultano sostanzialmente condivisibili tenuto conto delle ragioni indicate dal T.A.R. ed anche delle rigorose procedure che sono state poste in essere dalla R. de E. per il controllo, anche ai fini antimafia, delle società subappaltatrici.
Peraltro, mentre nell’interdittiva impugnata sono state indicate ampiamente le ragioni che fanno ritenere legate alla malavita calabrese le società FE.MA s.r.l. e BRI-FE Costruzioni s.r.l., meno evidenti sono le ragioni che fanno ritenere legate allo stesso gruppo malavitoso la società IDEA MAS che è la diretta subappaltatrice della sociètà R. de E..
In ogni caso, l’accertato contatto con un’impresa ritenuta vicina alla criminalità organizzata, che si è realizzato mediante il subappalto di uno dei tanti subappalti oggetto dei lavori aggiudicati alla società R. de E. (e poi attraverso il successivo ulteriore subappalto dei lavori a società ritenute contigue alla criminalità organizzata), non può ritenersi sufficiente a far ritenere a rischio di condizionamento mafioso l’attività della società resistente.
Né tale condizionamento può desumersi dall’ulteriore subappalto, per circa 40.000,00 euro, affidato dalla R. de E. alla BSE s.r.l., pure ritenuta contigua alla criminalità organizzata.
11.3.- In conseguenza (anche) gli elementi riguardanti i lavori nella Baia di Sistiana non sono sufficienti a dimostrare il condizionamento mafioso della società.
12.- L’Avvocatura dello Stato, sia nel suo atto di appello sia nel corso dell’udienza di merito, ha insistito nel sostenere l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha dato rilievo al fattore dimensionale che sembrerebbe garantire alle imprese di grandi dimensioni, come la società resistente, una sostanziale esimente in materia di informativa antimafia.
Secondo l’Amministrazione l’affermazione di tale principio risulterebbe estremamente pericolosa perché porterebbe alla conclusione che se un’impresa è molto grande, e gestisce molti sub appalti, non può essere ritenuta a rischio di condizionamento mafioso, per aver affidato una parte dei lavori in subappalto a società contigue ad ambienti criminali, se non si prova che lo ha fatto consapevolmente. Con il conseguente rischio che si produca una forte limitazione nell’esercizio del controllo di legalità e nelle azioni di contrasto alla criminalità organizzata.
12.1.- Ritiene la Sezione che, tenuto conto delle osservazioni formulate dall’Avvocatura dello Stato, deve essere meglio chiarito il senso delle affermazioni contenute sul punto nella sentenza di primo grado.
Non può, infatti, ritenersi, in generale, che un’impresa solo perché molto grande e perché gestisce molti sub appalti non possa essere ritenuta a rischio di condizionamento mafioso, se ha affidato una parte dei lavori in subappalto a società che risultano contigue alla criminalità organizzata.
Infatti, anche da (apparentemente) piccole vicende e dai collegamenti che si possono determinare (anche) nei casi di subappalto possono trarsi ragionevolmente elementi di prova, o anche solo indiziari, di un collegamento (anche) di una grande impresa con la malavita organizzata. Soprattutto se tali elementi sono collegati ad altri elementi di maggiore rilevanza che fanno ritenere probabile o possibile tale collegamento.
12.2.- Nella fattispecie peraltro il T.A.R. è giunto alla conclusione, che questa Sezione ha ritenuto di condividere, che, se mancano altri rilevanti elementi, non si può ritenere che la grande impresa sia condizionata dalla malavita organizzata solo per aver affidato in subappalto una porzione non consistente di lavori e per importi non particolarmente rilevanti ad un’impresa risultata collegata alla malavita organizzata.
Soprattutto se la grande impresa ha dimostrato di aver posto in essere procedure di controllo (anche antimafia) nella gestione dei subappalti e quando le imprese alle quali è stato affidato il subappalto non sono state a loro volta destinatarie di provvedimenti interdittivi.
13.- In conclusione, pur dovendosi esprimere riserve su alcune espressioni (eccessive) contenute nella sentenza di primo grado sull’operato dell’Amministrazione appellante, comunque volto alla realizzazione dell’interesse pubblico in una materia di particolare complessità, la sentenza appellata deve ritenersi, nel suo complesso, esente dalle censure sollevate in appello.
Non può, infatti, disconoscersi, come si è già detto, che le vicende riportate nell’interdittiva o non sono idonee a giustificare una valutazione antimafia (le irregolarità fiscali), pur evidenziando il mancato rispetto di disposizioni di legge, o sono eccessivamente risalenti nel tempo (anche se di possibile rilevanza), o (quando più recenti) riguardano fatti che, pur facendo riferimento ad un possibile contatto (attuale) dell’impresa con soggetti legati alla malavita organizzata non sono in grado di dimostrare l’esistenza di un collegamento tale da condizionare l’attività dell’impresa.
14.- Alla luce degli elementi esposti l’appello non risulta fondato e deve essere respinto.
Sono fatti salvi ovviamente gli ulteriori atti dell’Amministrazione.
15.- Le spese del grado di appello possono essere integralmente compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dispone la compensazione integrale fra le parti delle spese e competenze del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Dante D’Alessio, Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/03/2015
IL SEGRETARIO
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