Consiglio di Stato sezione IV – sentenza n. 3431 del 28 luglio 2016
N. 03431/2016REG.PROV.COLL.
N. 07916/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7916 del 2015, proposto da:
P. Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Sanino, Marco Napoli, con domicilio eletto presso Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
contro
T. Spa, rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Crisci, con domicilio eletto presso Stefano Crisci in Roma, piazza G. Verdi, 9;
nei confronti di
S. Srl, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Mazzon, con domicilio eletto presso Francesco Capecci in Roma, piazza della Liberta, 10;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III TER n. 08972/2015, resa tra le parti, concernente accesso ai documenti riguardanti l’affidamento della fornitura di valvole fusibili per rotabili ferroviari
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di T. Spa e di S. Srl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Paola Salvatore (su delega di Sanino), Crisci e Francesco Capecci (su delega di Mazzon);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, la società P. s.r.l. impugna la sentenza 6 luglio 2015 n. 8972, con la quale il TAR per il Lazio, sez. III-ter, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento della nota 25 febbraio 2015, con la quale T. s.p.a. ha accordato l’accesso parziale ai documenti amministrativi e negato l’estrazione di copia integrale.
La società attuale appellante, avendo partecipato (posizionandosi al secondo posto) ad una gara per l’affidamento della fornitura di valvole fusibili per circuiti AT per rotabili ferroviari, ha presentato istanza di accesso agli atti, volta in particolare ad ottenere copia dei rapporti di valutazione dei VIS (“verificatori indipendenti di sicurezza”).
Tale accesso è stato negato da T., in quanto ha riconosciuto ai citati rapporti carattere di riservatezza, ai sensi dell’art. 13 d. lgs. n. 163/2016.
Dopo un primo atto di diffida, T., confermando la propria determinazione circa la necessità di protezione del contenuto dei rapporti di valutazione, ha concesso l’accesso ad un estratto degli stessi. Tale accesso parziale è stato contestato dalla P., che ha proposto ricorso ex art. 116 Cpa.
La sentenza impugnata ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per tardività, poiché “T. ha espresso il proprio diniego all’ostensione dei rapporti di valutazione, come riconosciuto dallo stesso ricorrente, all’esito dell’incontro del 9 febbraio 2015, verbalizzando espressamente detta determinazione”. Poiché il ricorso avverso il diniego di accesso è stato notificato in data 27 marzo 2015, risulta decorso il termine di trenta giorni dalla conoscenza della determinazione di diniego, previsto dall’art. 116, co. 1, c.p.a.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando, in relazione alla tempestività del ricorso di primo grado; ciò in quanto la sentenza ha pronunciato “nell’assunto che l’atto da impugnare fosse il diniego del 9 febbraio 2015 e che la successiva determinazione con la quale T. il 25 febbraio 2015 aveva mutato avviso, concedendo un parziale accesso agli atti, non valesse a riaprire i termini per l’avvio dell’azione di cui all’art. 116 c.p.a.”, trattandosi di atto meramente confermativo, laddove, al contrario, l’atto del 25 febbraio 2015 è atto del tutto nuovo ed autonomo, contenente una diversa determinazione, e “si caratterizza (differenziandosi dalla precedente nota del 9 febbraio) proprio per l’aver individuato un nuovo, diverso (ancorché per Prinatecna insoddisfacente) “punto di equilibrio” e di mediazione tra due posizioni contrapposte”;
b) illegittimità del diniego di accesso opposto a P.; violazione art. 97 Cost.; violazione artt. 22, 24 e 25 l. n. 241/1990; artt. 6, 7 e 9 DPR n. 184/2006; artt. 13 e 79 d. lgs. n. 163/2005; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; difetto assoluto di motivazione; ingiustizia manifesta; ciò in quanto “i rapporti di valutazione oggetto dell’istanza di accesso presentata da P. – proprio perché, per espressa previsione della lex specialis, condizionavano l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva – costituivano parte integrante ed essenziale della documentazione di gara”, ed erano dunque accessibili. Né l’amministrazione aggiudicatrice, ai sensi dell’art. 79, co. 5-quater, d. lgs. n. 163/2006 ha indicato, sin dalla comunicazione di aggiudicazione definitiva, la presenza di atti per i quali l’accesso è vietato o differito, di modo che una volta che essa “si sia astenuta dal porre divieti o limitazioni all’accessibilità della documentazione di gara, deve necessariamente escludersi che di tali atti possa essere successivamente negata l’ostensione” (e ciò si sarebbe dovuto fare anche in relazione all’esigenza di particolare copertura dei documenti con gli “omissis”). Né, inoltre, tali documenti possono essere ritenuti riservati perché facenti parte del know-how aziendale della aggiudicataria.
Si sono costituite in giudizio T. s.p.a. e la controinteressata S. s.r.l., che hanno concluso per il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza.
All’udienza di trattazione in camera di consiglio, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
La pronuncia di inammissibilità per tardività della proposizione del ricorso avverso il diniego di accesso agli atti richiesti si fonda sulla individuazione del dies a quo (dal quale computare il termine di trenta giorni, previsto dall’artt. 116 c.p.a.) dalla riunione del 9 febbraio 2015, nella quale T. ha consegnato taluni documenti ed ha altresì espressamente negato l’ostensione dei rapporti di valutazione emessi a cura del VIS.
Tuttavia, risulta (ed è pacifico tra le parti) che, a seguito di atto di diffida della P., T. “confermando la propria determinazione circa la necessità di protezione del contenuto dei rapporti di valutazione, concedeva l’accesso ad un estratto degli stessi (nella specie, la prima pagina e le conclusioni)”; (v. pag. 5 memoria T. del 19 gennaio 2016). Ciò avveniva mediante invio degli estratti con nota del 25 febbraio 2015.
Orbene, ritiene il Collegio che tale successiva determinazione di T. non possa essere considerata (così come sostenuto dalla medesima: v. pag. 8 memoria) atto meramente confermativo del diniego espresso in data 9 febbraio 2015.
Ed infatti, a fronte di un (primo) diniego totale all’accesso ai rapporti di valutazione emessi dal Vis, T. ha ritenuto di poter diversamente provvedere, concedendo l’accesso ad un estratto degli stessi, all’evidente fine di conciliare (nella propria ottica di stazione appaltante) la tutela della riservatezza con il diritto di accesso dell’istante.
Appare, dunque, evidente come in data 9 febbraio 2015 ed in data 25 febbraio 2015 siano state assunte due diverse determinazioni, all’esito di due differenti percorsi valutativi, laddove, perché possa riconoscersi ad un atto amministrativo natura meramente confermativa di un provvedimento già adottato, occorre che il primo costituisca mera riproduzione del precedente (o che ad esso meramente si richiami), senza alcuna reiterazione procedimentale, novità ed autonomia di motivazione e differenza di decisione assunta.
A fronte di ciò, il fatto che T. possa aver confermato il presupposto argomentativo del precedente provvedimento del 9 febbraio 2015 non appare conferente, dato che – a fronte della reiterata affermazione di inostensibilità dei documenti – si è tuttavia pervenuti ad una loro parziale (se pur contestata) ostensione. Né rileva che, in ambedue le ipotesi, la amministrazione aggiudicatrice possa aver continuato ad essere convinta della riservatezza dei documenti e, dunque, della loro (astratta) sottrazione all’accesso, assumendo invece rilievo la differente e successiva decisione, con la quale si perviene a consentire un accesso parziale, a fronte dell’originario diniego totale.
Occorre, inoltre, osservare che tale nuova ed autonoma decisione di T. è stata assunta il 25 febbraio 2015, in pendenza del termine per ricorrere avverso il precedente diniego di accesso del 9 febbraio 2015.
Ciò comporta che non può essere condiviso quanto affermato dalla sentenza impugnata, secondo la quale – con riferimento alla diffida P. del 17 febbraio 2015 – “il fatto che la ricorrente abbia, successivamente, proposto un nuovo atto di diffida non rileva ai fini della rimessione in termini”.
Il Collegio non ha motivo di discostarsi da quella giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2015 n. 113 e 4 ottobre 2013 n. 4912, citate nella sentenza impugnata), secondo la quale il termine previsto per l’impugnazione del diniego di accesso è a pena di decadenza, di modo che “la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo”.
Il principio enunciato dalla giurisprudenza per un verso accerta la irrilevanza della nuova istanza di accesso dopo il diniego espresso sulla precedente, al fine di evitare la presentazione di istanze di accesso “a catena”; per altro verso, intende evitare che, attraverso la riproposizione di una istanza di identico contenuto, si possa eludere la natura decadenziale del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
Ma, al tempo stesso, tale principio presuppone sia la intervenuta scadenza del termine decadenziale per l’impugnazione del primo atto di diniego, sia la natura meramente confermativa dell’atto adottato dall’amministrazione sull’istanza reiterata.
Nel caso di specie, al contrario:
– per un verso l’attuale appellante ha proposto una nuova istanza ben prima della scadenza del termine per impugnare il diniego del 9 febbraio 2015;
– per altro verso, l’aggiudicataria ha adottato (in data in cui ancora non era scaduto il predetto termine decadenziale) una determinazione che, per le ragioni esposte, costituisce nuovo ed autonomo provvedimento, e non già atto meramente confermativo del precedente diniego.
Per le ragioni esposte, ed in accoglimento del primo motivo proposto (sub a) dell’esposizione in fatto), l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
3. L’accoglimento dell’impugnazione, nei termini innanzi esposti, rende necessario esaminare il motivo (non vagliato dal primo giudice e riproposto con il secondo motivo di appello), con il quale si contesta la legittimità del diniego di accesso e/o del disposto accesso parziale.
Come si è detto, oggetto della controversia è l’accesso volto ad ottenere copia dei rapporti di valutazione dei VIS (“verificatori indipendenti di sicurezza”), relativi alla società aggiudicataria S. s.r.l., accesso invece negato (nei termini di un accesso integrale) da T., poiché i citati rapporti di valutazione conterrebbero dettagli costruttivi dei fusibili, come tali suscettibili di violare segreti tecnici, ove divulgati.
In merito al ricorso volto ad ottenere l’accesso integrale ai rapporti, la appellata società S. (aggiudicataria) ne ha eccepito l’inammissibilità, per decorrenza del termine (in data 18 febbraio 2014) per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, di modo che “nella denegata ipotesi in cui parte ricorrente vedesse soddisfatta la propria pretestuosa richiesta in questa sede, non avrebbe più la possibilità di impugnare l’aggiudicazione” (pagg. 7-8 memoria del 14 gennaio 2016).
L’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse deve essere respinta.
Ciò in quanto, se è vero che il diritto di accesso deve essere più propriamente definito quale “potere di natura procedimentale volto in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritto o interessi)” (Cons. Stato, ad. Plen., 20 aprile 2006 n. 7; sez. IV, 28 febbraio 2012 n.1162), esso deve tuttavia avere i caratteri (che deriva dalla posizione cui afferisce) della personalità, concretezza e attualità, e postula un accertamento concreto dell’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti (Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006 n. 555).
Ciò comporta che, se esso è certamente attribuito (anche) per la tutela non necessariamente giurisdizionale di posizioni giuridicamente rilevanti, esso può tuttavia sussistere a prescindere dall’attualità dell’interesse ad agire per la difesa in via giudiziale di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, né è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo, nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti (Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 2006 n. 573).
Ciò che compete all’amministrazione (e successivamente al giudice, in sede di sindacato sull’operato di questa), sulla base della motivazione della richiesta di accesso (art. 25, co. 2, l. n. 241/1990), è dunque la verifica dell’astratta inerenza del documento richiesto con la posizione soggettiva dell’istante e gli scopi che questi intende perseguire per il tramite dell’accesso. Ma, al contrario, l’amministrazione non può subordinare l’accoglimento della domanda alla (propria) verifica della proponibilità e/o ammissibilità di azioni in sede giudiziaria.
D’altra parte, il diritto di accesso quale “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza” (art. 22, co. 2, l. n. 241/1990), può subire limitazioni nei soli casi indicati dalla legge – costituenti eccezione in attuazione di un bilanciamento di valori tutti costituzionalmente tutelati al detto principio generale – e non già sulla base di unilaterali valutazioni dell’amministrazione in ordine alla maggiore o minore utilità dell’accesso ai fini di una proficua tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive dell’istante.
Da quanto esposto, consegue che, nel caso di specie – posta l’inerenza dei documenti oggetto di istanza di accesso alla posizione soggettiva della P. quale partecipante alla gara – non rileva che la società appellante eventualmente non possa più (per decorrenza del termine) impugnare l’aggiudicazione definitiva, ben potendo essa procedere ad attivare altre forme di tutela giurisdizionale od anche a sollecitare interventi di ripristino della legalità da parte della stessa amministrazione o in altra sede giudiziaria (come peraltro dalla stessa indicato: v. pagg. 1-3 memoria del 21 gennaio 2016).
E tanto rende ammissibile il ricorso avverso il diniego di accesso ai documenti amministrativi.
4. Quanto ai documenti per i quali si richiede l’accesso (rapporti di valutazione dei VIS, “verificatori indipendenti di sicurezza”, relativi alla società aggiudicataria), il Collegio ritiene che gli stessi, in quanto facenti parte della documentazione di gara, non si sottraggano al diritto di accesso, per le ragioni di seguito esposte.
Come è noto, l’art. 13 d. lgs. n. 163/2006, richiamata l’applicabilità della legge n. 241/1990 in ordine al diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici (co. 1), prevede che – in disparte i casi degli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza – sono sottratti all’accesso e ad ogni forma di divulgazione, tra gli altri documenti, le “informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte ovvero a giustificazione delle medesime, che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali” (co. 5, lett. a).
Tuttavia, è comunque consentito l’accesso, al “concorrente che lo chieda in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso” (co. 6).
In definitiva, secondo il citato art. 13 d. lgs. n. 163/2006:
– fatti salvi i casi di appalti segretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, vige un generale principio di accessibilità agli atti di gara, accesso che, nelle ipotesi di cui al co. 4, può essere differito ma non escluso;
– nei casi di cui al co. 5, in via di eccezione, l’accesso può essere escluso;
– in particolare, nel caso di informazioni fornite dagli offerenti che costituiscono “segreti tecnici e commerciali”, l’accesso può essere escluso sempre che il concorrente, in sede di offerta, dichiari preventivamente che talune informazioni costituiscano i detti segreti tecnici e commerciali, e sempre che l’amministrazione, cui pervenga una istanza di accesso, ritenga fondatamente motivata e comprovata tale dichiarazione in precedenza resa;
– infine, la tutela del segreto tecnico o commerciale è tuttavia esclusa in presenza del diritto alla tutela giurisdizionale cui l’istanza di accesso inerisce, ma – giova precisare – solo per il diritto alla tutela giurisdizionale “in relazione alla procedura di affidamento del contratto”.
Occorre, dunque, osservare, in primo luogo, che l’accesso cd. difensivo prevale (ai sensi del citato art. 13, co. 5, d. lgs. n. 163/2006) sulle contrapposte esigenze di tutela del segreto tecnico e commerciale (Cons. Stato, sez. VI, 19 ottobre 2009 n. 6993), ma ciò solo laddove l’accesso sia azionato “in vista della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto nell’ambito della quale viene formulata la richiesta di accesso”.
Occorre quindi ritenere che – alla luce della formulazione letterale della norma e della interpretazione sistematica del bilanciamento di valori attuata dall’art. 13 – la prevalenza dell’accesso deve essere individuata nei soli casi in cui si impugnino atti della procedura di affidamento, ai fini di ottenerne l’annullamento e, comunque, il risarcimento del danno, anche in via autonoma (artt. 29, 30 e 120 Cpa).
Da ciò consegue che l’accesso cd. defensionale non può prevalere “ex se” sulla tutela del segreto tecnico o commerciale (cosa che potrà comunque avvenire nei casi in cui allo stesso non corrisponda una “motivata e comprovata dichiarazione”), nelle ipotesi in cui:
– esso inerisce ad interessi diversi, quali il diritto di azione in sede civile nei confronti di soggetti privati per risarcimento danno da concorrenza sleale o per illecito extracontrattuale ovvero anche per sollecitare meramente l’intervento del giudice penale (essendo ciò escluso dal riferimento normativo ai casi relativi “alla procedura di affidamento del contratto”);
– ovvero per sollecitare poteri di autotutela dell’amministrazione (essendo ciò escluso dal riferimento alla “difesa in giudizio”).
In secondo luogo, la tutela del segreto tecnico o commerciale non può essere a sua volta opposta, per la prima volta, in sede di opposizione all’istanza di accesso, dovendo essere tale indicazione oggetto di esplicita dichiarazione resa in sede di offerta, come si desume:
– sul piano letterale, dai riferimenti effettuati alle “informazioni fornite dagli offerenti nell’ambito delle offerte”, e dalla dichiarazione, anch’essa resa dall’ “offerente”, in ordine al dato che le stesse costituiscono segreto tecnico o commerciale;
– sul piano della ragionevolezza interpretativa, dal fatto che tale indicazione non può costituire un impedimento frapposto ex post dall’aggiudicatario, a tutela della posizione conseguita, nei confronti dell’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale da parte degli altri concorrenti.
Compete all’amministrazione aggiudicataria, in sede di valutazione dell’istanza di accesso eventualmente pervenuta, valutare, sulla base della dichiarazione in precedenza resa dalla offerente poi risultata aggiudicataria, se l’inerenza del documento al segreto tecnico o commerciale si fondi su una “motivata e comprovata dichiarazione”.
Nel caso di specie, il diniego opposto dall’amministrazione aggiudicataria non si fonda su una previa dichiarazione “motivata e comprovata” della società S. s.r.l., in ordine alla inerenza dei rapporti di valutazione a segreti tecnici e commerciali, ma su valutazioni proprie dell’amministrazione medesima, che non risultano, peraltro, sorrette da congrua e ragionevole motivazione.
Ne consegue che i rapporti di valutazione dei VIS relativi alla società aggiudicataria non possono essere ritenuti, alla luce delle considerazioni sin qui formulate, afferenti a segreti tecnici o commerciali e, pertanto, sottratti al diritto di accesso.
Per tutte le ragioni esposte, il ricorso instaurativo del giudizio di I grado avverso il diniego di accesso alla integrale conoscenza dei documenti richiesti deve essere accolto, con conseguente obbligo dell’amministrazione di fornire copia dei predetti documenti, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla data di comunicazione della presente sentenza, ovvero da quella di notificazione, se anteriore.
Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da P. s.r.l. (n. 7916/2015 r..g.) lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di I grado, ordina a T. s.p.a. l’esibizione dei documenti richiesti dall’appellante, nei modi e termini di cui in motivazione.
Compensa tra le parti spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/07/2016
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