Consiglio di Stato sezione IV sentenza n. 5488 depositata il 24 novembre 2017

LAVORO – SICUREZZA SUL LAVORO – RAPPORTO DI LAVORO – VITTIMA DEL DOVERE – IMPIEGO PUBBLICO – INFERMITA’ PER CAUSA DI SERVIZIO – DIFFERENZE

FATTO e DIRITTO

1. Nel 1995 la signora (omissis), all’epoca agente scelto di P.S. e ora operatore amministrativo contabile presso l’ufficio personale della Questura di Belluno, ha subito gravissime ustioni con postumi permanenti cercando di impedire all’ex fidanzato di dare fuoco alla moto di cui reclamava la restituzione.

2. A seguito di tali fatti, il T.A.R. per l’Emilia-Romagna le ha riconosciuto il diritto all’equo indennizzo di prima categoria (sentenza 29 marzo 2004, n. 424), dapprima negato dal Ministero dell’interno. La signora (omissis) dichiara di avere successivamente ottenuto, sulla base di questa sentenza, la concessione della pensione privilegiata.

3. Nell’aprile 2009, la signora (omissis) ha fatto richiesta dei benefici accordati alle “vittime del dovere”.

4. Con decreto del Capo della Polizia in data 24 settembre 2013, la richiesta è stata respinta.

5. La signora (omissis) ha impugnato il provvedimento di diniego proponendo un ricorso che il T.A.R. per il Veneto, sez. I, ha accolto con sentenza 14 maggio 2014, n. 636, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio. Il Tribunale regionale ha ritenuto insufficiente la motivazione del rifiuto, che si sarebbe risolta in una mera ripetizione di precedenti giurisprudenziali e non avrebbe rappresentato in modo chiaro e univoco le ragioni del provvedimento.

6. L’Amministrazione dell’interno ha rinnovato il provvedimento facendo ampio riferimento ai passaggi delle sentenze penali successivamente intervenute e, ritenendo non sussistere elementi idonei a far mutare il proprio orientamento negativo, ha confermato il diniego con decreto del Capo della Polizia in data 6 luglio 2015.

7. La signora (omissis) ha nuovamente impugnato il provvedimento di diniego proponendo un ricorso che il T.A.R. per il Veneto, sez. I, ha respinto con sentenza 10 giugno 2016, n. 603, compensando fra le parti le spese di lite. Il Tribunale regionale ha reputato che, nella fattispecie – ferma restando la riconducibilità a causa di servizio delle gravissime lesioni riportate dalla ricorrente – mancherebbe lo specifico presupposto normativo del rischio eccezionale e dell’atto ai limiti dell’eroismo (necessario, secondo la giurisprudenza, per il riconoscimento del beneficio secondo la normativa di settore), che andrebbe valutato ex ante e non ex post sulla base delle conseguenze di danno che ne sono derivate.

8. La signora (omissis) ha interposto appello avverso la sentenza n. 603/2016, formulando assieme una domanda cautelare.

9. Nel merito, ha riproposto i motivi del ricorso introduttivo di primo grado:

a) violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1, co. 563 e 564, della legge 23 dicembre 2005, n. 266; eccesso di potere per travisamento dei fatti. Dalla ricostruzione della vicenda, come operata dalla sentenza del T.A.R. per l’Emilia-Romagna n. 424/2004 e dagli atti del procedimento penale avviato contro l’autore del reato, letti nella loro interezza e non solo nei passaggi estrapolati ritenuti più utili all’Amministrazione, emergerebbe il quid pluris rispetto all’ordinario adempimento dei compiti di istituto;

b) eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e per travisamento delle risultanze dell’istruttoria. L’Amministrazione prima e il T.A.R. poi non avrebbero valutato il contenuto del verbale della commissione medica di seconda istanza del 27 giugno 1997 (che avrebbe evidenziato l’intento di evitare non un danno a un bene materiale, ma il rischio di danni a terzi derivanti dallo scoppio del serbatoio), il parere della Questura di Forlì-Cesena favorevole all’accoglimento dell’istanza, il parere non ostativo della Prefettura U.T.G. delle medesime città.

10. Il Ministero dell’interno si è costituito in giudizio per resistere all’appello senza svolgere difese e depositando il fascicolo del giudizio di primo grado.

11. Alla camera di consiglio del 19 gennaio 2017, su richiesta della parte privata, unica presente, la causa è stata rinviata al merito a data fissa.

12. Con memoria depositata il 9 ottobre 2017, l’appellante ha ribadito sinteticamente i propri argomenti e ha insistito per l’accoglimento dell’appello.

13. All’udienza pubblica del 9 novembre 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

14. In via preliminare, il Collegio:

a) dà per acquisita la ricostruzione e l’esposizione del fatto delittuoso che è all’origine della presente controversia, che – dettagliatamente riportate nelle sentenze penali e nella vasta documentazione acquisita agli atti, cui si rinvia – non sono state contestate dalle parti costituite se non in relazione all’intento che avrebbe mosso l’appellante. Di conseguenza e con il limite ricordato, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio;

b) condivide l’orientamento secondo cui la giurisdizione sul riconoscimento dello status di “vittima del dovere”, in vista del conseguimento dei benefici connessi, appartiene all’A.G.O., quale giudice del lavoro e dell’assistenza sociale, venendo in questione un diritto soggettivo e non un interesse legittimo (secondo l’indirizzo ormai consolidato delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione: sentenze 16 novembre 2016, n. 23300; 17 novembre 2016, n. 23396; 13 gennaio 2017, n. 759; 19 giugno 2017 n. 15055; in senso adesivo per il G.A., da ultimo, T.A.R. Toscana, sez. I, 19 gennaio 2017, n. 63, ove ampia analisi della questione);

c) in mancanza di uno specifico motivo di gravame non può tuttavia – ai sensi dell’art. 9 c.p.a. – rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, sicché deve passare all’esame dell’appello nel merito.

15. L’appello è fondato.

15.1. Nel solco di una consolidata, costante e condivisibile giurisprudenza, nella articolata e complessa normativa di settore e in particolare ai sensi dei commi 563 e 564 dell’art. 1 della legge n. 266/2005, il riconoscimento dello status e dei benefici delle “vittime del dovere” per gli appartenenti alle Forze di polizia o alle Forze armate presuppone che l’evento letale o lesivo non sia solo genericamente connesso all’espletamento di funzioni d’istituto, ma è indispensabile che sia anche dipendente da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia o a operazioni militari o ancora all’espletamento di attività di soccorso e che il rischio stesso vada oltre quello ordinario connesso all’attività di istituto (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. III, 11 aprile 2014, n. 1794; Id., sez. III, 11 agosto 2015, n. 3916; Id., sez. III, 7 settembre 2015, n. 4129; Id., sez. III, 16 dicembre 2016, n. 5362; Cass. civ., sez. lav., 24 giugno 2016, n. 13114; Id., sez. un., 13 gennaio 2017, n. 759; Id., sez. un., 4 maggio 2017, n. 10792).

15.2. Nel caso di specie, è ormai fuori discussione che le gravissime lesioni riportate dalla signora (omissis) siano riconducibili a causa di servizio. Per questo l’appellante si è vista attribuire i benefici di legge relativi.

15.3. Nel negare l’ulteriore riconoscimento di “vittima del dovere”, l’Amministrazione ha però trascurato la sentenza del T.A.R. per l’Emilia-Romagna n. 424/2004, resa fra le medesime parti del presente giudizio e non impugnata, la quale ha dichiarato che “la ricorrente ha tentato di impedire il compimento dell’azione anche a rischio della propria vita, il che appare ictu oculi inverosimile, se finalizzato alla sola protezione del bene della proprietà di un motociclo” e che “la (omissis), ancorché recatasi all’appuntamento per motivi personali, ha poi legittimamente assunto le proprie funzioni istituzionali, di fronte alla prospettiva della commissione di un reato e ad una situazione di pericolo per la pubblica incolumità, attivandosi per impedirli, anziché preoccuparsi della propria incolumità personale”.

15.4. Da quanto ha accertato il T.A.R. bolognese, oltre tutto con efficacia di giudicato fra le parti, deve ritenersi che, ai fini dell’attribuzione dello status di “vittima del dovere” e dei connessi benefici di legge, il comportamento dell’appellante, anche valutato ex ante, ha comportato l’assunzione di un rischio superiore a quello cui la signora (omissis) sarebbe stata ordinariamente esposta nelle sue funzioni di istituto.

15.5. Non sono decisive in senso contrario le sentenze penali del Tribunale di Forlì e della Corte d’appello di Bologna – valorizzate dall’Amministrazione nel motivare la reiterazione del diniego – le quali entrambe affermano che la signora (omissis) avrebbe agito per impedire la distruzione della moto, perché il Collegio ritiene che la valutazione dell’intento della vittima del reato, costituitasi parte civile nel processo, possa costituire un elemento da prendere in considerazione, non rappresenti tuttavia un “fatto materiale” capace di far stato nel processo civile o amministrativo ai sensi dell’art. 654 c.p.p. e, nella vicenda, ceda di fronde allo specifico e persuasivo accertamento operato sul punto dal T.A.R..

16. Dalle considerazioni che precedono discende che – come anticipato – l’appello è fondato e va pertanto accolto, con riforma della sentenza impugnata e accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

17. Considerata la complessità della vicenda nei termini appena esposti, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, manda alla segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare la parte appellante.