Consiglio di Stato sezione VI sentenza n. 4923 depositata il 23 novembre 2016
N. 04923/2016REG.PROV.COLL.
N. 00101/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 101 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Societa’ Cooperativa C. (gia’ P.C. Soc.Coop.), in proprio e quale mandataria del costituendo Rti, Rti M. s.r.l., Rti SE s.p.a., Rti K. S.C.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avvocato Massimiliano Brugnoletti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Bertoloni, n. 26/B;
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, Ministero per i beni e le attività culturali-Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici per la Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
N. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Valentino Vulpetti, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Sabotino, 2/A;
per la riforma
della sentenza 27 settembre 2012, n. 1697, del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Bari, Sezione I.
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Stefano Gattamelata, per delega dell’avvocato Massimiliano Brugnoletti, Fabio Tortora dell’Avvocatura generale dello Stato e Valentina Lipari, per delega dell’avvocato Valentino Vulpetti.
FATTO e DIRITTO
1.– La Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia ha indetto, con bando del 28 giugno 2010, un procedura ristretta per l’affidamento della concessione, per sei anni, di «servizi aggiuntivi» per la valorizzazione di diverse sedi museali e monumenti pugliesi. Il valore totale della concessione è stato indicato in euro 5.220.000,00. Detti servizi aggiuntivi sono stati distinti in sottogruppi per ciascuno dei quali la Direzione regionale ha indicato il valore di riferimento.
La Società Cooperativa C. non ha presentato domanda di partecipazione e ha impugnato la lettera di invito e il capitolo tecnico innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, per i motivi riproposti in appello e riportati nei successivi punti
2.– Il Tribunale amministrativo, con ordinanza 24 novembre 2011, n. 925, ha accolto la domanda cautelare, sospendendo l’efficacia degli atti impugnati «fino all’esito del loro riesame alla luce dei rilievi attorei».
Lo stesso Tribunale, con sentenza 27 settembre 2012, n. 1697, ha dichiarato inammissibile il ricorso per la mancata presentazione, alla stazione appaltante, della domanda di partecipazione.
3.– La ricorrente in primo grado ha proposto appello, deducendo che la stessa non avrebbe potuto presentare la domanda in quanto il Tribunale, con la citata ordinanza n. 925 del 2011, prima che scadesse il termine per la presentazione delle domande, aveva sospeso la procedura di gara, inclusa la clausola relativa al predetto termine.
In ogni caso, si è rilevato che la mancata presentazione della domanda, è stata conseguenza della oggettiva impossibilità di formulare un’offerta. Si sostiene, infatti, che il valore della concessione, indicato in euro 3.170.498,00 nel capitolato tecnico allegato alla lettera di invito a fronte di euro 5.220.000,00, indicato nell’atto di sollecitazione, non fosse idoneo a consentire la presentazione di un’offerta remunerativa. In particolare, l’appellante sostiene che detto valore non fosse in grado di sostenere i costi fissi dell’appalto e che anche un’offerta pari agli importi posti a base di gara sarebbe stata comunque in perdita.
3.1.– L’appellante ha proposto motivi aggiunti con i quali ha impugnato l’atto di aggiudicazione in favore della N. s.r.l., successivamente intervenuto.
3.2.– Si sono costituite in giudizio l’amministrazione intimata e la controinteressata, chiedendo il rigetto dell’appello. Si è, altresì, dedotta l’inammissibilità dell’appello per mancata impugnazione del sopravvenuto atto di aggiudicazione mediante apposito ricorso in primo grado, non potendosi ritenere sufficiente la proposizione di motivi aggiunti in sede di impugnazione.
3.3.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 13 ottobre 2016.
4.– L’appello non è fondato.
La mancata presentazione della domanda di partecipazione non può ritenersi giustificata dall’adozione dell’ordinanza cautelare di sospensione dell’efficacia della procedura di gara, in quanto, prescindendo da ogni altro rilievo, la pubblicazione della sentenza ha privato di effetti il provvedimento cautelare che, per sua natura, ha valenza provvisoria sino alla definizione nel merito della controversia.
Chiarito ciò, detta omessa presentazione della domanda priva l’appellante della legittimazione a ricorrere.
La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che la legittimazione al ricorso presuppone il riconoscimento di una situazione giuridica attiva, protetta dall’ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall’amministrazione o da un soggetto ad essa equiparato.
Nel settore degli appalti pubblici tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione (Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4; Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2016, n. 1352).
L’operatore economico che volontariamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione venga nuovamente bandita.
A tale regola generale si può fare eccezione solamente in tre tassative ipotesi e cioè quando: i) si contesti in radice l’indizione della gara; ii) si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; iii) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Questo Consiglio ha affermato, con orientamento che la Sezione condivide, che l’individuazione delle clausole escludenti è sottoposta ad una esegesi rigorosa. Si considerano tali le clausole che precludono la partecipazione alla gara, perché: i) prescrivono in modo univoco requisiti soggettivi di ammissione o di partecipazione alla gara, arbitrari e discriminatori; ii) introducono situazioni di fatto la carenza delle quali determina in via immediata e diretta l’effetto escludente; iii) determinano un’abnorme restrizione all’accesso alla selezione e quindi alla conseguente tutela, precludendo a priori scelte economiche che l’operatore vorrebbe introdurre nella procedura di gara in chiave competitiva, ferma restando l’impossibilità che l’impresa assente miri, con la propria impugnativa, ad imporre all’amministrazione condizioni di maggiore convenienza finanziaria o gestionale.
In questa tipologie di clausole non possono farsi rientrare anche quelli che individuano l’entità dell’importo posto a base di gara soprattutto nel caso in cui, in concreto, almeno una impresa abbia partecipato alla selezione e la sua offerta non sia stata esclusa ma ritenuta meritevole di aggiudicazione (Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2013, n. 3404).
Alla luce di quanto esposto, venendo in rilievo, nella fattispecie in esame, tale ultima tipologia di clausole che non impedisce la presentazione della domanda, ne consegue la correttezza della statuizione del primo giudice e la conseguente inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
5.– La pronuncia di rito esime il Collegio dall’analizzare le censure di merito prospettate dall’appellante.
6.– L’appellante è condannata al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, che si determinano in complessive euro 8.000,00, oltre accessori di legge, da corrispondere al Ministero per i beni e le attività culturali e alla N. s.p.a. nella misura, per ciascuno, di euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio che si determinano in complessive euro 8.000,00, oltre accessori di legge, da corrispondere al Ministero per i beni e le attività culturali e alla N. s.p.a. nella misura, per ciascuno, di euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Dante D’Alessio, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
Vincenzo Lopilato | Sergio Santoro | |
IL SEGRETARIO
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