Consiglio di Stato sentenza n. 4184 del 20 agosto 2013
LAVORO – LAVORO:STRAORDINARIO E NOTTURNO – CORRESPONSIONE SOMME RELATIVE A LAVORO PRESTATO OLTRE L’ORARIO DI SERVIZIO – ONERE DELLA PROVA
FATTO
C.M., nella qualità di ex dipendente della Casa di Riposo XXX, chiedeva al TAR dell’Emilia Romagna l’accertamento del diritto al compenso per l’attività lavorativa diurna, festiva, notturna, prestata oltre il normale orario di lavoro nel periodo dal 1 marzo 1985 al 30 aprile 1988 e la condanna della suddetta casa di riposo al pagamento dei relativi compensi con gli interessi e la rivalutazione monetaria.
Il TAR, anche a seguito di rinnovate istruttorie, con sentenza n. 545 del 2 aprile 2002 respingeva il ricorso, affermando dapprima la mancata impugnazione del regolamento organico nella parte in cui questo disciplinava la quantità di personale, di mansioni e di modalità di svolgimento delle stesse ed inoltre la necessità di preventiva autorizzazione al lavoro straordinario e rilevando l’assenza di preventive e formali autorizzazioni del datore di lavoro o di sue ratifiche allo svolgimento di eventuale lavoro straordinario e nemmeno di imposizioni d’ufficio di particolari turni di servizio.
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 19 luglio 2002 la M. impugnava la sentenza in questione, sollevando le seguenti censure:
1. Motivazione insufficiente, violazione dell’art. 36 della Costituzione e degli artt. 2099 e 2108 c.c. Le conclusioni tratte dal TAR non sono condivisibili, poiché qualora il dipendente pubblico anche in difetto di autorizzazione abbia prestato lavoro straordinario nell’ambito la sua attività, l’autorizzazione può ritenersi implicita ed il lavoro straordinario deve essere retribuito. Ciò accade quando tale prestazione non sia una libera scelta del dipendente, ma ne costituisca un obbligo preciso in quanto sia indispensabile e non dilazionabile: tale è il caso dell’appellante, inserita in un’organizzazione con servizio necessario 24 h su 24 e quindi adibita a prestare servizio anche notturno, vista l’articolazione solamente su due dipendenti. La previsione regolamentare di corresponsione di compensi straordinari nel caso di eccedenza del numero di ospiti oltre le 15 unità appare del tutto fuor di luogo, poiché una sola persona di servizio non poteva assolutamente disimpegnarlo per l’intero arco delle 24 ore giornaliere, elemento di cui l’Amministrazione della Casa era ben consapevole, viste le delibere emesse da 1986 ed il 1988 inerenti la necessità di ampliare in misura rilevante la pianta organica ed infine l’affidamento alla Cooperativa “Il Cigno” del servizio di assistenza agli anziani con la previsione di cinque figure professionali. In ogni caso le prestazioni straordinarie della M. risulta da tutta la documentazione evidenziata e sono state virtualmente riconosciute dalle delibere richiamate dalla relazione dell’ex presidente della Casa di Riposo assunta nel giudizio di primo grado.
2. In subordine, violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. Motivazione omessa o insufficiente. Il TAR ha del tutto omesso di provvedere sulla domanda subordinata ai sensi dell’art. 2041 c.c., in considerazione dell’indebito arricchimento conseguito dalla Casa di Riposo, utilizzo pluriennale che appare provato e che il quale si può prescindere dalla impugnazione degli atti che disciplina le modalità di prestazione del lavoro straordinario.
L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso e quindi la condanna della Casa di Riposo intimata al pagamento della somma di € 28.646,47 oltre alla rivalutazione monetaria ed interessi legali ed in via subordinata all’ammissione della prova testimoniale su serie di capitoli specificamente indicati, indicando i testi da sentire.
La Casa di Riposo XXX si è costituita in giudizio, rilevando l’improponibilità e l’inammissibilità dell’appello e contestando in radice e in fatto e in diritto le tesi sostenute dalla ex dipendente.
Alla odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Assume la M. nella sua qualità di ex addetta al servizio presso la Casa di Riposo XXX, ora collocata in pensione, di essere stata interessata nel periodo dal 1 marzo 1985 al 30 aprile 1988 da attività lavorativa diurna, festiva, notturna prestata oltre il normale orario di lavoro ed in modalità quantitative molto pesanti, trovandosi in sole due addette al servizio ed avendo la Casa di Riposo necessità sostanziale di una presenza costante 24 ore su 24.
La previsione contenuta nel regolamento organico dell’Ente, secondo la quale il lavoro prestato oltre il normale orario doveva essere autorizzato o quanto meno successivamente ratificato, era stata superata dai successivi gli eventuali riconoscimenti e dalle previsioni di incrementare il personale.
Ora la situazione descritta dall’appellante è sì priva di autorizzazioni o di ratifiche formali da parte della Direzione, ma vi è da rilevare pregiudizialmente che le prestazioni che sarebbero state svolte dalla M. appaiono prive di credibilità: il turno di 24 ore su 24 avrebbe costretto l’interessata a lavorare da tredici a venti ore per giorno per i sette giorni della settimana, totalizzando circa 17 ore lavorative giornaliere, il che non è praticamente possibile nella realtà.
Va dapprima puntualizzato che gli ospiti della Casa nel periodo in controversia sono sempre stati inferiori al tetto di quindici unità.
In ogni caso l’appellante si è limitata a descrivere una situazione lavorativa gravosissima basandosi su mere asserzioni, senza fornire alcun indizio probatorio, mentre contro le sue pretese militano indizi che la stessa M. adombra, e che si pongono in contrasto con la sua domanda giudiziale: da un lato le due addette ai servizi sono state costantemente affiancate da soggetti del volontariato, dall’altro I.F., la collega dell’appellante, pur trovandosi nelle stesse incombenze, non ha proposto alcun ricorso ed ancora la M. tace sul fatto che ambedue godevano di vitto e alloggio presso la Casa di Riposo, conseguentemente le stesse potevano essere coinvolte nell’aiuto ai ricoverati nel corso dell’intera giornata ed in specie nei periodi di riposo: ciò potrebbe spiegare una sostanziale dovuta disponibilità, ma di quanto poi effettivamente richiesto nulla viene dato sapere.
L’assenza di prove relativamente ai diritti vantati dalla M. rende inconsistente anche l’azione di indebito arricchimento mossa in via subordinata nei confronti dell’Ente assistenziale e dunque, in conclusione, si deve pervenire al rigetto dell’appello ed alla conferma della sentenza impugnata.
Le spese di giudizio possono essere compensate le ragioni equitative, attesa anche la notevole risalenza del periodo in contestazione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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