Consiglio di Stato sez. IV sentenza n. 4226 del 21 agosto 2013
LAVORO – PUBBLICO IMPIEGO – INQUADRAMENTO PROFESSIONALE – COMPETENZA GIURISDIZIONALE – GIUDICE AMMINISTRATIVO E GIUDICE ORDINARIO
FATTO
Con la sentenza in epigrafe impugnata il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sede di Napoli -, pronunciandosi sul ricorso contenente il petitum risarcitorio proposto dalla odierna parte appellante, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo in ordine alla detta domanda di reintegrazione e, in via subordinata, di risarcimento del danno.
Il primo giudice ha in via preliminare ricostruito in punto di fatto la complessa vicenda processuale di cui era stata protagonista l’odierna parte appellante richiamando le precedenti sentenze rese sulla controversia.
In particolare, è stato evidenziato che G.V. e G.N., già dipendenti del Comune di Napoli in servizio presso il Coordinamento della Protezione civile per le esigenze conseguenti al sisma che colpì la città di Napoli e la Campania il 23 novembre 1980, ed in seguito per le esigenze del bradisismo nell’area flegrea, erano insorti avverso il decreto del 18 maggio 1991 del Presidente del Consiglio dei Ministri, con il quale era stato loro negato l’inquadramento nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri (la legge n. 400/1988, all’art. 38 co. 3, aveva previsto l’inquadramento nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri del personale “comunque in servizio alla data di entrata in vigore della legge presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in posizione di comando o di fuori ruolo”).
Il TAR della Campania, con sentenza n. 2690 del 19 marzo 2003 – confermata in appello con decisione del Consiglio di Stato n. 1455 del 20 marzo 2006 – aveva annullato il detto decreto del 18.5.1991, nella parte in cui escludeva i ricorrenti dal richiesto inquadramento (la legge 23 agosto 1988 n. 400, all’art. 38, comma 3, prevedeva l’inquadramento nei ruoli del personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri del personale “comunque in servizio alla data di entrata in vigore della legge presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in posizione di comando o di fuori ruolo”), considerato che non si rinveniva alcuna diversa disposizione che non consentisse anche al personale comandato o distaccato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per esigenze straordinarie (come gli originari ricorrenti) di poter beneficiare della norma in questione per ottenere l’inquadramento nei ruoli della Presidenza.
L’Amministrazione, nel rivalutare la posizione degli odierni appellanti ai fini del richiesto inquadramento, aveva loro proposto( cfr. nota del 2.4.2007) l’ inquadramento nella qualifica corrispondente a quella in godimento al 29.9.1988, ai sensi del co. 3 dell’art. 38 legge n. 400/1988 e la sede di servizio in Roma.
Gli appellanti avevano contestato dette determinazioni, sostenendo che spettasse loro l’inquadramento nella qualifica funzionale immediatamente superiore a quella rivestita al momento del concorso da cui erano stati esclusi, ai sensi del co. 4 art. 38 legge n. 400/1988 e la sede di servizio a Napoli.
Essi avevano comunque preso servizio presso la Presidenza del Consiglio Dei Ministri, e con decreti del 12.12.2007 vennero inquadrati in detti ruoli ( il G.B. nella VI qualifica funzionale ed il G.N. nella IV qualifica funzionale).
Insorsero – presentando ricorso in ottemperanza – avverso detti atti di inquadramento (ritenuti elusivi del giudicato), chiedendo il risarcimento dei danni subiti: detta pretesa venne respinta dal Tar con la sentenza n. 220/2009, laddove venne affermato che il comportamento dell’amministrazione fosse non elusivo del giudicato; e venne negato il risarcimento dei danni, sulla scorta del rilievo che nel giudizio di ottemperanza era possibile chiedere solamente il risarcimento dei danni che si fossero verificati successivamente alla formazione del giudicato e proprio a causa dell’esecuzione della pronuncia irretrattabile.
Gli odierni appellanti avevano quindi nuovamente agito in giudizio ed avevano richiesto (con il ricorso definito con la sentenza oggi gravata) i danni asseritamente derivanti dalla mancata applicazione della procedura di cui all’art. 38 co. 4 legge n. 400/1988, dal diniego di assegnazione della sede di servizio a Napoli, nonché le richieste di reintegrazione economica mediante corresponsione delle differenze stipendiali tra quanto corrisposto dall’amministrazione di appartenenza e quanto eventualmente riconosciuto per le stesse qualifiche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (in subordine richiedendo la liquidazione di svariate voci di danno per equivalente derivante da impossibilità giuridica sopravvenuta, quali i danni alla professionalità ed alle chances di carriera, nonché all’immagine, i danni morali, per il disagio patito, i danni patrimoniali, per la mancata percezione del trattamento economico riservato ai dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal 27 settembre 1988 sino a quella attuale).
Con istanza di accesso agli atti ex art. 116 del c.p.a., , era stato inoltre richiesto da parte degli odierni appellanti che l’Amministrazione venisse condannata all’esibizione degli atti a lei richiesti con nota pervenuta alla Presidenza il 23 settembre 2011, nonché il 31.10.2011.
Il primo giudice ha preso in esame lo specifico petitum avanzato, ed ha declinato la giurisdizione.
Ha evidenziato infatti che le proposte domande trovavano il loro antecedente logico e causale nelle affermazioni contenute nella sentenza reiettiva del Tar n. 220/2009, laddove comunque era stato affermato che “l’amministrazione non solo è tenuta a ricostruire la carriera dei ricorrenti riconoscendo l’anzianità maturata sotto il profilo economico (cosa che la stessa amministrazione non contesta) ma deve anche consentire agli stessi di poter accedere con le anzianità riconosciute alle procedure di passaggio alle qualifiche superiori.
E resta aperto il problema, che non risulta affrontato dall’amministrazione, del ristoro che i ricorrenti richiedono per la mancata partecipazione a tali procedure di avanzamento determinata dal diniego di inquadramento ritenuto poi illegittimo da questo TAR.
… Ma non può essere accolta in questa sede la richiesta di risarcimento avanzata dai ricorrenti per i danni subiti, a partire proprio dalle conseguenze sulla progressione di carriera, a causa del ritardo nel riconoscimento del loro diritto all’inquadramento nella Presidenza del Consiglio …
il risarcimento dei danni lamentati che non sono determinati dall’esecuzione della sentenza deve essere richiesto nell’ambito di un giudizio cognitorio da proporsi dinanzi al giudice competente.”
Senonché, la questione proposta, ancorché connessa ad un rapporto di pubblico impiego instaurato prima del 30 giugno 1998, apparteneva alla cognizione del giudice ordinario, stante la peculiarità della fattispecie in cui il rapporto de quo era stato costituito con l’amministrazione intimata: esso infatti era stato costituito dopo il detto discrimen temporale, sebbene con effetti retroattivi, e pertanto il dato storico dell’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base della pretesa avanzata era collocato in un arco temporale in cui doveva ritenersi operante la giurisdizione del GO.
L’ oggetto dell’impugnazione era costituito dal provvedimento di inquadramento del 12.12.2007 che aveva carattere costitutivo relativamente alla posizione giuridica ed economica degli interessati; tale carattere costitutivo non veniva meno nel caso di inquadramento con effetto retroattivo con conseguente ricostruzione della carriera del pubblico dipendente; la disciplina transitoria concernente l’attribuzione alla giurisdizione ordinaria delle cause in materia di pubblico impiego – secondo cui permangono nella potestas decidendi del giudice amministrativo le questioni attinenti a periodi di lavoro antecedenti al 30 giugno 1998 – doveva essere interpretata nel senso che il discrimine temporale doveva essere accertato con riguardo al dato storico dell’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste alla base della pretesa avanzata.
Ne conseguiva, ad avviso del primo giudice, che nel caso in cui la lesione del diritto del lavoratore era prodotta da un atto negoziale o da un provvedimento, doveva farsi riferimento al momento di emanazione dello stesso: nel caso di specie il provvedimento che aveva proceduto all’inquadramento dei ricorrenti., ancorché con effetti retroattivi, era successivo al 30 giugno 1998 per cui rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario.
Ciò in quanto il provvedimento ricostruttivo della carriera era stato emanato solo in epoca successiva al 30 giugno 1998 e la fonte della asserita lesione era costituita proprio da esso, reso in ossequio alla sentenza n. 2690/2003 del TAR Campania .
Il Tar ha poi respinto la domanda ex art. 116, comma 2, c.p.a., avverso il provvedimento dell’Amministrazione del 19.10.2011 che ha denegato l’accesso agli atti richiesto con istanza del 23.9.2011, e successiva istanza del 31.10.2011.
La originaria parte ricorrente ha impugnato la detta decisione criticandola sotto il profilo della – asseritamente erronea – declinatoria della giurisdizione, chiedendone l’annullamento, previa affermazione della giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo.
Si è in particolare sostenuto che la causa della responsabilità risarcitoria risaliva ad epoca antecedente al 1998 e, pertanto, perteneva alla giurisdizione del plesso giurisdizionale amministrativo.
Sarebbe, infatti, spettata alla cognizione del giudice ordinario, ove si fosse trattato di condotta illecita potenzialmente foriera di danno anche in pregiudizio di soggetti estranei alla pubblica amministrazione (il che, certamente, non era nel caso di specie).
Né alcuna rilevanza in senso contrario poteva assumere l’art. 69 comma 7 del D.Lgs. n. 165/2001, che prescriveva unicamente una decadenza; peraltro trattavasi di questione consequenziale ad altra vicenda che il plesso giurisdizionale amministrativo aveva conosciuto in sede di giurisdizione esclusiva.
Il decreto del 12.12.2007 non era altro che un atto amministrativo emanato in ottemperanza alle decisioni del Tar; il danno arrecato agli appellanti discendeva dal decreto di esclusione del 1991 e, certamente, era attribuito alla cognizione della giurisdizione amministrativa esclusiva.
Il provvedimento di inquadramento del 2007 era ricollegato ontologicamente al decreto del 1991 e non assurgeva ad autonoma causa generatrice di danno.
L’appellata amministrazione ha depositato una memoria chiedendo che il ricorso in appello venisse dichiarato inammissibile e comunque respinto.
Parte appellante, con memoria di replica, ha confutato la memoria dell’Amministrazione chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Alla camera di consiglio del 2 luglio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. Ritiene il Collegio debba affermarsi la infondatezza dell’appello.
1.1. Al fine di perimetrare l’oggetto del giudizio, appare opportuno rammentare immediatamente che per la pacifica giurisprudenza formatasi in ordine alla interpretazione dell’art. 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, non possono essere esaminate nel grado di appello le questioni di merito, ove il giudizio debba essere rimesso al giudice di primo grado, (nel caso di errata dichiarazione di difetto di giurisdizione da parte del Tribunale amministrativo regionale). Infatti, in casi del genere appare ravvisabile quel « difetto di procedura » della sentenza appellata, che non consente di trattenere in decisione la causa per l’effetto devolutivo dell’appello, tenuto conto dell’esigenza di non sottrarre alle parti (ivi compresi i soggetti controinteressati) le garanzie del doppio grado di giudizio (Consiglio Stato , sez. VI, 17 settembre 2009, n. 5587).
1.2. Per completezza si rileva altresì che il comma 1 dell’art. 105 del codice del processo amministrativo ha espressamente positivizzato detto principio di matrice giurisprudenziale.
A fortiori, dette questioni non potrebbero essere esaminate da questo Consiglio di Stato neppure laddove venisse confermata la declinatoria di giurisdizione resa dal primo giudice.
Ne consegue che l’odierno segmento processuale ha quale unico oggetto la esatta individuazione del giudice fornito di giurisdizione sulla res controversa ed in nessun caso questo Collegio potrebbe esaminare i motivi riproposti da parte appellante alle pagg. 8-12 del ricorso in appello, né le eccezioni “di merito” prospettate dall’appellata amministrazione (anche nella parte in cui si risolvono nell’affermazione della inammissibilità/improponibilità dell’originario ricorso), in quanto conoscibili unicamente dal giudice fornito di giurisdizione (si veda in tal senso il mai posto in dubbio orientamento del giudice di legittimità, secondo il quale la risoluzione della questione di giurisdizione, eccetto ben delimitati casi limite non riscontrabili nella fattispecie in esame, è pregiudiziale ad ogni altra: Cass. civ. Sez. Unite, 14-02-1980, n. 1056).
2. Ciò premesso il Collegio può passare ad esaminare il detto unico residuo profilo oggetto dell’odierna cognizione giudiziale.
A tal proposito si ribadisce (il tema è stato accennato nella parte in fatto della presente decisione) che, con la precedente sentenza n. 220/2009 il Tar aveva respinto un precedente ricorso proposto dalla odierna parte appellante.
Nella detta pronuncia – rimasta inimpugnata – si rinviene la significativa affermazione per cui “il ricorso deve essere respinto avendo ottenuto i ricorrenti l’inquadramento nella Presidenza che era stato negato con il provvedimento annullato da questo TAR con la sentenza passata in giudicato.
Con l’ulteriore conseguenza che qualsiasi doglianza avverso tale atto di inquadramento può essere oggetto di un eventuale diverso ricorso proposto secondo il rito ordinario davanti al giudice competente”.
In sostanza, con la citata decisione il Tar aveva ritenuto non elusivo/violativo del giudicato l’atto di inquadramento del 2007; aveva poi comunque affermato che “non può essere comunque consentito a questo giudice l’esame delle censure proposte avverso tali atti di inquadramento in quanto, a prescindere da ogni possibile questione sulla giurisdizione, tali doglianze risulterebbe tardive, come eccepito dalla stessa Amministrazione nella memoria difensiva, in quanto il ricorso risulta notificato all’amministrazione il 27 marzo 2008 quando l’atto di inquadramento era stato conosciuto dai ricorrenti al momento della stipula del contratto individuale di lavoro in data 8 gennaio 2008”.
E’ stato inoltre ivi affermato che “non può essere accolta in questa sede
la richiesta di risarcimento avanzata dai ricorrenti per i danni subiti, a partire proprio dalle conseguenze sulla progressione di carriera, a causa del ritardo nel riconoscimento del loro diritto all’inquadramento nella Presidenza del Consiglio.
Infatti, in sede di ottemperanza, è possibile formulare una richiesta di risarcimento solo per i danni che si siano verificati in seguito alla formazione del giudicato ed a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia mentre il risarcimento dei danni lamentati che non sono determinati dall’esecuzione della sentenza deve essere richiesto nell’ambito di un giudizio cognitorio da proporsi dinanzi al giudice competente”.
2.1. A seguito della citata decisione l’odierna parte appellante ha presentato un nuovo ricorso contenente – unicamente – la richiesta risarcitoria (in parte in forma specifica ed in parte per equivalente) in ordine alla quale il Tar ha declinato la giurisdizione.
2.2. La declinatoria di giurisdizione appare al Collegio corretta sia isolatamente considerata, che posta in relazione ai precetti contenuti nella sentenza n. 220/2009.
Invero, il presupposto dell’omessa delibazione del petitum relativo al danno da ritardo, riposava nella applicazione di un principio giurisprudenziale, consolidatosi in epoca antecedente alla entrata in vigore del cpa (e da quest’ultimo successivamente ribadito a seguito della modifica ex D.Lgs n. 195/2011, mercé la soppressione del comma 4 dell’art. 112), secondo cui “in sede di ottemperanza è possibile formulare richiesta di risarcimento solo per i danni verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e proprio a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre il risarcimento dei danni che si riferiscono al periodo precedente al giudicato deve essere richiesto con un giudizio cognitorio da proporsi davanti al giudice di primo grado.” (Cons. Stato Sez. V, 23-11-2010, n. 8142).
Se così è – e non pare al Collegio che la motivazione della citata sentenza n. 220/2009 autorizzi conclusioni diverse – appare evidente che il primo giudice ritenne che la domanda proposta attenesse ad un segmento temporale antecedente, ma il Tar, in detta occasione, non prese espressa posizione in ordine alla questione della spettanza della giurisdizione (ivi, infatti, si limitò ad affermare che “il risarcimento dei danni lamentati che non sono determinati dall’esecuzione della sentenza deve essere richiesto nell’ambito di un giudizio cognitorio da proporsi dinanzi al giudice competente”).
Ciò premesso, la declinatoria di giurisdizione, si appalesa pienamente corretta, laddove si consideri che il provvedimento di inquadramento del 2007 (ampiamente discrezionale nel quomodo) integra e definisce il perimetro delle cause genetiche del danno.
Muovendo da quest’ultimo, ed in asserita affermazione dell’erroneità del medesimo, parte odierna appellante avanza domanda risarcitoria.
Senonché è agevole riscontrare che l’effetto del provvedimento di inquadramento (sebbene quest’ultimo esplicasse effetti retroattivi quanto alla costituzione del rapporto di lavoro) è quello genetico e produttivo del danno; esso venne reso ben successivamente al 1998; l’attribuzione della cognitio giudiziale di tale controversia al plesso giurisdizionale amministrativo colliderebbe con la regola della residualità della “sopravvivenza della giurisdizione” in capo al plesso medesimo.
Né l’angolo prospettico dal quale valutare la presente vicenda può mutare in considerazione della circostanza che nel petitum attoreo sono ricompresi danni precedenti all’adozione del censurato provvedimento di inquadramento (laddove la causa dei medesimi riposerebbe – nella prospettazione attorea in parte qua seguita dal Tar – nella condotta inerte dell’Amministrazione e/o nel rifiuto della stessa a concedere a parte appellante ciò che in seguito è stato riconosciuto in sede giurisdizionale di cognizione: sentenza del Tar n. 2690 del 19 marzo 2003, confermata in appello con decisione del Consiglio di Stato n. 1455 del 20 marzo 2006).
Anche considerando tale presupposto, appare evidente che il plesso giurisdizionale competente a delibare sulla controversia non sarebbe quello giurisdizionale amministrativo: è ben vero che si tratterebbe di condotta verificatasi in epoca antecedente al 1998 (mentre il segmento temporale successivo attiene unicamente alle conseguenze dalla detta condotta e del detto rifiuto); è altresì certo, però, che, posto che la cognitio del giudice ordinario con riguardo al provvedimento di inquadramento del 2007 appare indubitabile, essa attrae anche il petitum risarcitorio afferente al torno di tempo antecedente, alla stregua della costante giurisprudenza di legittimità della Suprema Corte di Cassazione.
3. Conclusivamente, la gravata decisione si è allineata alla conforme giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato Sez. VI, 19-03-2013, n. 1601), secondo cui “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, nel regime transitorio di devoluzione del contenzioso alla giurisdizione del Giudice Ordinario, il disposto dell’art. 69, comma 7, D.Lgs. n. 165/2001 – secondo cui sono attribuite al Giudice Ordinario le controversie di cui all’art. 63 del decreto medesimo, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data – deve essere interpretato, nel senso che, come regola, la generale giurisdizione del Giudice Ordinario vale in ordine ad ogni questione sia che riguardi il periodo del rapporto di impiego successivo al 30 giugno 1998, sia che investa in parte anche un periodo precedente a tale data, ove risulti essere unitaria la fattispecie devoluta alla cognizione del giudice, mentre la previsione della residuale giurisdizione del Giudice Amministrativo si pone come eccezione, in ordine ad ogni questione che riguardi solo ed unicamente un periodo del rapporto fino alla data suddetta; tale principio si applica anche nel caso in cui il diritto azionato, pur afferente ad un periodo del rapporto precedente al primo luglio 1998, sia stato riconosciuto successivamente a seguito di una normativa di fonte legale o contrattuale con effetto retroattivo”) e della Corte regolatrice della giurisdizione (ex multis Cass. civ. Sez. Unite, 23-11-2012, n. 20726: “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, nel regime transitorio di devoluzione del contenzioso alla giurisdizione del giudice ordinario, il disposto dell’art. 69, comma 7, del D.Lgs. n. 165 del 2001 – secondo cui sono attribuite al giudice ordinario le controversie di cui all’art. 63 del decreto medesimo relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998 e restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data – stabilisce, come regola, la giurisdizione del giudice ordinario, per ogni questione che riguardi il periodo del rapporto successivo al 30 giugno 1998 o che parzialmente investa anche il periodo precedente, ove risulti essere sostanzialmente unitaria la fattispecie dedotta in giudizio, e lascia residuare, come eccezione, la giurisdizione del giudice amministrativo, per le sole questioni che riguardino unicamente il periodo del rapporto compreso entro la data suddetta.”), che qualifica quale residuale la giurisdizione di questo plesso nelle controversie di pubblico impiego.
Ciò ha fatto, conformandosi all’insegnamento della giurisprudenza, secondo cui (Cons. Stato Sez. V, 13-12-2012, n. 6384) “in tema di pubblico impiego privatizzato l’art. 69, comma 7, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (già art. 45, comma 17, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80) ha fissato il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria, alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al momento storico dell’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia, con la conseguenza che, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione, ciò anche se l’atto di gestione del rapporto di lavoro sia stato adottato in autotutela ed abbia inciso su precedenti atti amministrativi emessi nel regime pubblicistico previgente.”.
Le stesse Sezioni Unite in passato (Cass. S.U. 24 febbraio 2000 n. 41), ribadendo quest’ordine di idee, hanno peraltro precisato che, ai sensi della disciplina in esame, il discrimine temporale tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria posto con riferimento al suddetto dato storico comporta che, se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione.
Tali argomenti appaiono preferibili rispetto a quelli che pure potrebbero ricavarsi da una non recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. Unite Ord. 20-04-2006, n. 9153: “nel caso di costituzione del rapporto di pubblico impiego, in seguito a ricorso in giudizio, con retrodatazione della nomina ai fini giuridici, ma non a quelli economici, la controversia instaurata nei confronti della P.A. ed avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni non percepite per il periodo anteriore all’effettiva immissione in servizio, appartiene – nel regime di riparto anteriore a quello stabilito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 – alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dato che la “causa petendi” si collega, non occasionalmente, al rapporto di pubblico impiego, che risulta già esistente, perché costituito con efficacia retroattiva, nel periodo in relazione al quale si lamenta la perdita economica. A tal fine pertanto non rileva la soggettiva prospettazione della domanda, qualificata dal lavoratore come responsabilità risarcitoria extracontrattuale dell’amministrazione, riferita a situazione anteriore alla costituzione del rapporto.”) e militano per la reiezione del gravame, mentre tutti gli altri argomenti dedotti da parte appellante non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso, ed orientano il Collegio verso la conferma della gravata declinatoria di giurisdizione.
4. Conclusivamente, l’appello va respinto.
5. La natura della controversia e la obiettiva difficoltà interpretativa legittimano la integrale compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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