La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 22508 depositata il 2 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamento fiscale ha statuito che non costituiscono una prova il rinvenimento delle copie degli estratto conti esteri, per cui non è detto che chi detiene estratti conto inerenti a investimenti e disponibilità finanziarie all’estero sia un evasore fiscale. Per fondare l’accertamento occorrono prove ben più solide, mentre è irrilevante che il contribuente si dimostri scarsamente collaborativo con l’Ufficio finanziario che gli ha richiesto chiarimenti.
La vicenda ha riguardato una contribuente a cui in un controllo normale alla frontiera avevano rinvenuto, nelle valigie, alcuni documenti (estratti conto) provenienti da banche estere con sede a Zurigo e Ginevra e intestati a soggetti diversi dalla viaggiatrice. Rimasti senza esito gli inviti rivolti a quest’ultima per fornire chiarimenti sulla faccenda veniva redatto PVC con il quale si contestavano una serie di violazioni (infedele dichiarazione per non avere riportato il reddito da capitale ricavato dagli investimenti e dalle disponibilità detenute all’estero, nonché ommessa dichiarazione di trasferimenti di denaro, titoli e valori mobiliari da e verso l’estero e che avevano interessato investimenti e attività finanziarie estere). Pertanto l’Agenzia delle Entrate a seguito del PVC emetteva l’avviso di accertamento. Avverso tale atto impositivo la contribuente propose ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che respingeva le motivazioni del ricorrente ritenendo legittimo l’operato dell’Amministrazione Finanziaria. Il contribuente contro la decisione della CTP ricorre inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, accoglieva le doglianze della ricorrente annullando l’atto impositivo. I giudici di appello hanno evidenziato che “il mero sequestro dei documenti in questione non era idoneo, in mancanza di espletamento di ulteriori indagini per risalire agli effettivi beneficiari degli estratti conto, a ricondurre i conti correnti esteri alla contribuente. D’altro canto, da nessuna diversa documentazione era emersa la presunzione di possesso in capo alla contribuente di disponibilità all’estero.”
Per cui è necessario provare attraverso specifici documenti oppure attraverso elementi gravi, precisi e concordanti che un soggetto residente possiede attività finanziarie o patrimoniali all’estero. Questo non significa che deve esserci necessaria coincidenza tra intestatario degli investimenti e soggetto obbligato ad adempiere agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale: infatti, essi sussistono non solo in capo all’intestatario formale e/o al beneficiario effettivo dei redditi esteri, bensì anche in capo a colui che ne abbia la detenzione e/o la disponibilità di movimentazione di fatto.
In base alla circolare n. 28 dell’Agenzia delle Entrate del 21 giugno 2011, occorre vi sia una delega al prelievo e non soltanto di una mera delega ad operare per conto dell’intestatario. Tuttavia, anche questa circostanza deve essere adeguatamente provata dall’Amministrazione finanziaria.
Va, inoltre, rammentato l’obbligo della compilazione del modulo RW, il quale rientra nella più ampia disciplina del monitoraggio fiscale contenuta nel DL 167/90. Normativa di recente modificata dalla L. n. 97 del 6 agosto 2013, la quale ha previsto alcune semplificazioni, la riduzione delle sanzioni e l’ampliamento dei soggetti obbligati alla presentazione del modulo.
In particolare, sono stati introdotti i nuovi artt. 1, 2, 4, 5 e 6 del DL 167/90 prevedendo:
– l’eliminazione della sezione I (trasferimenti attuati attraverso soggetti non residenti senza il tramite di intermediari italiani) e della sezione III (trasferimenti da, verso e sull’estero relativi agli investimenti detenuti all’estero);
– la soppressione del limite di 10.000 euro in relazione agli investimenti esteri che dovranno essere indicati nella sezione II “superstite”;
– la riduzione delle sanzioni per omessa compilazione del modulo RW che dovrebbero essere comprese nell’intervallo dal 3% al 15% (elevate al 6% e 30% se le attività sono detenute in Paesi black list) degli importi non dichiarati.
Inoltre, è stato stabilito che sono tenuti alla dichiarazione delle attività detenute all’estero non solo i possessori formali delle stesse (persone fisiche, enti non commerciali e società semplici), ma anche coloro che, pur non essendo i possessori diretti, sono considerati i titolari effettivi dell’investimento, secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 2 lett. u) dell’allegato tecnico del DLgs. 231/2007.
Pertanto l’Agenzia delle Entrate, per contestare la mancata compilazione del modulo RW in un caso analogo a quello di specie, dovrà provare che il contribuente esercitava un controllo o la direzione effettiva del soggetto titolare dei conti correnti esteri a cui si riferiscono gli estratti conto.
Un cenno merita anche la presunzione di fruttuosità degli investimenti all’estero posseduti da un contribuente residente tenuto agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale.
L’attuale formulazione dell’art. 6 del DL 167/90 stabilisce che gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo di imposta, a meno che, in sede di dichiarazione dei redditi, venga specificato che si tratta di redditi la cui percezione avviene in un successivo periodo di imposta, o sia indicato che determinate attività non possono essere produttive di redditi. La prova delle predette condizioni deve essere fornita dal contribuente entro 60 giorni dal ricevimento dell’espressa richiesta notificatagli dall’Ufficio delle imposte.
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