La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la Sentenza n. 2757 depositata il 6 febbraio 2014 intervenendo in tema di elementi della retribuzione ha statuito che l’interpretazione degli accordi aziendali è riservata all’esclusiva competenza del giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica.
La vicenda ha visto protagonista un dipendente di un consorzio che gestisce un’attività di vigilanza che aveva citato in giudizio il datore di lavoro per il diritto ai buono pasto. Il datore di lavoro aveva sottoscritto un contratto di secondo livello con cui anziché scegliere di corrispondere il buono pasto, si impegna mediante a mettere a disposizione dei lavoratori un locale mensa, ovvero facilitare l’accesso a quelli dei Clienti, ove presenti.
Il Tribunale adito, in veste di giudice del lavoro, accoglieva la domanda proposto dal lavoratore per il risarcimento del danno connesso all’inadempimento della società per avere la stessa agito in violazione dell’accordo stipulato in data 11.4.2000 tra il consorzio S. e le organizzazioni sindacali FIM- FIOM- UILM-FISMIC, non garantendo al lavoratore un sostitutivo del pasto ogni qualvolta il servizio mensa non fosse operativo.
Il Consorzio, avverso la decisione del giudce di prime cure, propone ricorso inanzi alla Corte di Appello i cui giudici, però, confermano la sentenza appellata. Per i giudici terrioriali che la tesi della società – ossia il mantenimento, in favore dei lavoratori passati alle dipendenze del Consorzio, delle condizioni già in atto presso le varie società del gruppo FIAT – avrebbe creato conseguenze paradossali.
Per la cassazione della decisione del giudice di seconde cure il datore di lavoro proponeva ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso presentato. I giudici di legittimità hanno ribadito l’orientamento più volte affernato che in materia di contrattazione collettiva, la comune volontà delle parti contrattuali non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, atteso che la natura di detta contrattazione, sovente articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale ecc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa (che spesso consigliano alle parti sociali il ricorso a strumenti sconosciuti alle negoziazione tra le parti private, come preamboli, note a verbale, ecc), il particolare linguaggio usato nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che rendono indispensabile nella materia della contrattazione collettiva una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici, che di detta specificità tenga conto, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dell’art. 1363 c.c. (così Cass. 6 luglio 2006 n. 15393, che richiama Cass. 6 maggio 1998 n. 4592, ed, ex plurimis, Cass. 21.3.2006 n. 6462, Cass. 9 maggio 2002 n. 6656, Cass. 9 agosto 2000 n. 10500).
In conclusione secondo la Corte di Cassazione ha affermato che se il servizio mensa è chiuso durante il turno di lavoro, il datore di lavoro indipendentemente dal luogo e dall’orario di lavoro, stante l’impegno contrattuale in tal senso, devecorrispondere il ticket restaurant ai lavoratori interessati come sostitutivo del pasto.
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