AGENZIA delle ENTRATE – Risposta n. 382 del 12 luglio 2023
Contratti di associazione in partecipazione con apporto di capitale e PIR Alternativi – Investimenti qualificati – Articolo 13-bis, comma 2-bis, decreto-legge 26/10/2019, n. 124
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante rappresenta di aver costituito, nel 2022, un piano di risparmio a lungo termine ”alternativo” (PIR Alternativo) di cui all’articolo 13bis, comma 2bis, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, presso una fiduciaria residente in Italia.
É intenzione dell’Istante conferire nel predetto PIR Alternativo tre «contratti di associazione in partecipazione, non qualificata, con apporto di solo capitale» ai sensi dell’articolo 2549 del codice civile, ancora da stipulare.
Al riguardo, l’Istante chiede se gli investimenti effettuati mediante i predetti contratti di associazione in partecipazione rientrano tra gli ”investimenti qualificati” di cui al citato articolo 13bis e, pertanto, siano inclusi nella cd. quota obbligatoria del PIR Alternativo.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene di poter conferire in un PIR Alternativo i contratti di associazione in partecipazione con apporto di capitale allegati all’istanza e di poterli considerare come ”investimenti qualificati” ai sensi dell’articolo 13bis, comma 2bis, del decreto-legge n. 124 del 2019, ai fini del rispetto dei requisiti previsti dal legislatore.
Al riguardo, l’Istante evidenzia che la natura dell’apporto nei citati contratti di associazione in partecipazione assume per l’associante una funzione prettamente ”finanziaria”, ovvero di reperimento dei mezzi necessari per lo svolgimento della propria attività, evitando il ricorso al mercato finanziario, mentre per l’associato assume una funzione ”associativa”, tesa a soddisfare l’interesse a partecipare ai vantaggi conseguenti al compimento di uno specifico affare.
A parere dell’Istante, assumerebbe rilevanza dirimente la circostanza che il legislatore abbia equiparato il trattamento fiscale della remunerazione corrisposta in relazione ai contratti di associazione in partecipazione (quando sia previsto un apporto di denaro) a quello della remunerazione dovuta in relazione a titoli e strumenti finanziari comunque denominati, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società.
A tale proposito, viene sottolineato che ai sensi dell’articolo 109, comma 9, e dell’articolo 44, comma 1, lettere e) ed f), del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), il trattamento fiscale della remunerazione corrisposta in relazione ai contratti di associazione in partecipazione (quando sia previsto un apporto di denaro), sia equivalente, in capo all’associato e all’associante, a quello di una partecipazione ad una società di capitali.
Inoltre, l’Istante evidenzia che:
i vincoli di investimento richiesti dal regime fiscale dei PIR sarebbero rispettati in tutti i contratti che intende sottoscrivere (allegati all’istanza), in quanto sono stipulati con imprese fiscalmente residenti in Italia, diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati;
sarebbe rispettata la ratio delle disposizioni agevolative, in quanto tramite l’apporto di capitale previsto nel contratto di associazione in partecipazione si assicurano risorse, di natura finanziaria, alle predette imprese.
In sostanza, a parere dell’Istante il contratto di associazione in partecipazione con apporto di capitale sarebbe assimilabile ad uno ”strumento finanziario partecipativo” ex articolo 2346, comma 6, codice civile.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
L’articolo 1, commi da 100 a 114, della legge di bilancio 2017 prevede un regime di non imponibilità, ai fini delle imposte sui redditi, dei redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria, derivanti da determinati investimenti (cd. ”investimenti qualificati”) operati tramite piani di investimento del risparmio a lungo termine (cd. ”PIR”) effettuati nel rispetto di determinate caratteristiche espressamente previste dalla normativa (vincoli e divieti di investimento) (cd. regime PIR).
Come affermato nella relazione illustrativa alla predetta legge, si tratta di una disciplina fiscale diretta a favorire la canalizzazione del risparmio delle famiglie verso gli investimenti in strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali, italiane ed europee, radicate sul territorio italiano, per le quali maggiore è il fabbisogno di risorse finanziarie e insufficiente è l’approvvigionamento mediante il canale bancario.
I chiarimenti in merito alla disciplina fiscale dei PIR sono stati resi con le circolari 26 febbraio 2018, n. 3/E, 29 dicembre 2021, n. 19/E e 4 maggio 2022, n. 10/E.
In applicazione del comma 2bis dell’articolo 13bis del decreto-legge n. 124 del 2019 (comma introdotto dall’articolo 136, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34), a decorrere dal 19 maggio 2020 è possibile costituire i cd. PIR Alternativi.
Come già chiarito nei documenti di prassi (da ultimo nella circolare n. 19/E del 2021), ai fini dell’individuazione degli strumenti ammissibili, si deve far riferimento prima facie alla definizione di ”strumento finanziario” rinvenibile nell’articolo 1 del testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), che all’articolo 1, comma 2 del TUF definisce «strumento finanziario»: «qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell’Allegato I, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia a registro distribuito. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari».
La nozione di ”strumento finanziario’‘ contenuta nell’articolo 1 e nell’allegato I, sez. C del TUF è da considerarsi ”aperta” ovvero in grado di adeguarsi all’evoluzione dei mercati. Le categorie di ”valore mobiliare”, di ”strumenti del mercato monetario” e di ”quote di organismo di investimento collettivo”, presenti, tra gli altri, nell’allegato I, sez. C del TUF, infatti, rinviano ad altre definizioni normative e regolamentari.
In particolare, l’articolo 1, comma 1bis, del TUF specifica che per «valori mobiliari» «si intendono categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio:
a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e ricevute di deposito azionario;
b) obbligazioni e altri titoli di debito, comprese le ricevute di deposito relative a tali titoli;
c) qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle lettere a) e b) o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure».
La classe dei «valori mobiliari», dunque, è definita mediante una tecnica esemplificativa, essendo in essa espressamente ricomprese anche fattispecie diverse da quelle indicate purché assimilabili.
In estrema sintesi, sono «valori mobiliari» quelle categorie di «valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali». La negoziabilità intesa come idoneità ad essere negoziabile costituisce caratteristica comune agli strumenti finanziari. Tale idoneità, nella sostanza, consiste nella possibilità giuridica di essere oggetto di atti dispositivi e nella possibilità concreta di essere oggetto di circolazione all’interno di un mercato finanziario. Ciò significa che la circolazione dei predetti strumenti non deve essere occasionale e limitata ad un ristretto numero di operatori, né subordinata a vincoli così restrittivi da renderla di fatto pressoché impossibile.
La negoziabilità, inoltre, dipende da caratteristiche proprie dello strumento, quali la standardizzazione e la divisibilità.
La normativa PIR non richiede necessariamente la negoziazione nei mercati regolamentati o nei sistemi multilaterali di negoziazione e, pertanto, nel novero degli strumenti finanziari qualificati ai fini PIR possono essere inclusi anche quelli non negoziati in detti mercati e sistemi multilaterali.
In ogni caso, la qualificazione di strumento finanziario, di per sé, non è sufficiente per far rientrare l’investimento tra quelli ammissibili ai fini della normativa in esame, ma occorre che lo strumento finanziario a cui sono destinate le somme del PIR presenti caratteri e finalità compatibili con l’impianto previsto dalla normativa.
Con riferimento specifico alla costituzione dei PIR Alternativi, la normativa prevede che gli stessi rispettino i seguenti vincoli di investimento:
per almeno i due terzi dell’anno solare di durata del piano, almeno il 70 per cento (cd. quota obbligatoria) del valore complessivo del PIR deve essere investito, direttamente o indirettamente, in «strumenti finanziari», anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione;
gli «strumenti finanziari» devono essere emessi o stipulati con imprese fiscalmente residenti in Italia, con imprese residenti in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo con stabile organizzazione in Italia;
le imprese, oggetto degli investimenti, devono essere diverse da quelle inserite negli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati;
gli investimenti possono essere rappresentati anche da «prestiti erogati alle predette imprese nonché in crediti delle medesime imprese».
Con riferimento alla possibilità di includere in un PIR Alternativo anche gli investimenti effettuati per il tramite di contratti di associazione in partecipazione con apporto di una somma di denaro, ai sensi dell’articolo 2549 del codice civile, occorre verificare se tali investimenti rientrino tra gli ”strumenti finanziari” a cui fa riferimento la normativa generale PIR.
Sotto il profilo civilistico, il ”contratto di associazione in partecipazione” è un contratto tipico. Infatti, ai sensi dell’articolo 2549, comma 1, del codice civile «Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto».
L’apporto fornito dall’associato può consistere in una somma di denaro, nella cessione o nel godimento di un bene o nella prestazione di un’opera o di un servizio.
Inoltre, l’articolo 2553 codice civile prevede che «Salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto».
La natura dell’apporto effettuato dall’associato assume primaria rilevanza sotto il profilo fiscale in quanto la valutazione di tale elemento determina un diverso regime di tassazione dei proventi corrisposti in dipendenza del contratto stipulato.
Con riferimento a tali tipologie contrattuali viene conferita dal legislatore tributario una rilevanza preminente alla circostanza che, a fronte di un apporto di capitale venga attribuito all’associato il diritto alla partecipazione agli utili ed alle eventuali perdite. La disciplina fiscale applicabile è, infatti, analoga a quella prevista per le diverse ipotesi di strumenti partecipativi della società ancorché tramite i contratti di associazione in partecipazione non venga comunque conferito all’associato un diritto di partecipazione al capitale della società associante (cfr. risoluzione 16 maggio 2005, n. 62/E).
In tal senso, l’articolo 44, comma 1, lettera f), del Tuir, stabilisce che costituiscono redditi di capitale «gli utili derivanti da associazioni in partecipazione e dai contratti indicati nel primo comma dell’articolo 2554 del codice civile, salvo il disposto della lettera c) del comma 2 dell’articolo 53».
La qualificazione tra i redditi di capitale degli utili accordati sulla base di contratti di associazione in partecipazione avviene in maniera distinta ed autonoma rispetto alla categoria degli utili da partecipazione al capitale o al patrimonio in senso proprio, compresi nella lettera e) del medesimo comma 1 dell’articolo 44 del Tuir, che fa riferimento agli «utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società salvo il disposto della lettera c) del comma 2 dell’articolo 53».
L’articolo 44, comma 2, lettera a), del Tuir stabilisce che «si considerano similari alle azioni, i titoli e gli strumenti finanziari emessi da società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e d), la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi».
Come chiarito nella circolare 16 giugno 2004, n. 26/E, al paragrafo 2.3, l’assimilazione alle azioni riguarda esclusivamente gli strumenti finanziari rappresentati da titoli o certificati posto che la norma fa riferimento ai ”titoli e altri strumenti finanziari”. La locuzione ”strumenti finanziari”, da assumere in conformità alla più restrittiva accezione civilistica, non abbraccia dunque anche i contratti non cartolarizzati, quali ad esempio, quelli di associazione in partecipazione e di cointeressenza, per i quali pertanto non opera l’assimilazione alle azioni.
Inoltre, anche in relazione all’indeducibilità ai fini del reddito d’impresa di tali remunerazioni, il legislatore tratta separatamente i titoli e gli strumenti finanziari dai contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza che prevedono un apporto di capitale o un apporto misto (di capitale e di opere e servizi).
L’indeducibilità dal reddito d’impresa, infatti, è disposta dall’articolo 109, comma 9, del Tuir per le remunerazioni dovute:
ai sensi della lettera a), relativamente ai titoli e agli strumenti finanziari;
ai sensi della lettera b), relativamente ai contratti di associazione in partecipazione.
Inoltre, sotto il profilo della circolazione, il contratto di associazione in partecipazione con apporto di capitale a differenza degli strumenti finanziari non è offerto ad un pubblico indistinto, ma è frutto di un accordo tra l’associante e l’associato che non presenta le caratteristiche sopra illustrate di standardizzazione, divisibilità e negozialità.
Con riferimento alla possibilità di includere tra gli investimenti ”rilevanti” ai fini di tale disciplina i contratti di associazione in partecipazione con apporto in denaro di cui all’art. 2549 del codice civile, la Scrivente ha, inoltre, richiesto un parere al Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento delle Finanze, che ha ritenuto condivisibile le conclusioni secondo cui «nonostante l’esistente equiparazione del trattamento fiscale previsto per la remunerazione relativa a tali contratti a quello previsto per i proventi di natura finanziaria derivanti dalla partecipazione in società, i medesimi contratti non costituiscono né strumenti finanziari, né prestiti o crediti» e, pertanto, che deve ritenersi che «i contratti di associazione in partecipazione di cui all’art. 2549 c.c., sono esclusi dall’ambito degli investimenti rilevanti ai fini PIR».
Sulla base di quanto illustrato, in linea con i citati documenti di prassi, si ritiene che, nel caso di specie, l’Istante non possa inserire nel PIR Alternativo, i contratti di associazione in partecipazione che intende stipulare, né nella cd. quota ”obbligatoria” né nella cd. quota ”libera”.
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