Agenzia delle Entrate – Risposta n. 412 del 4 agosto 2022
contributi a carico del lavoratore in assenza di rivalsa eccedenti il massimale ai sensi dell’art. 2 c. 18 L. 335/1995, oggetto di recupero a mezzo diffide notificate dall’INPS per annualità precedenti. deducibilità dal reddito imponibile IRES e dal valore produzione netta imponibile IRAP
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
Nel corso dell’anno X la Società ha ricevuto dall’INPS alcune diffide aventi a oggetto il recupero di contributi previdenziali di alcuni dipendenti o ex dipendenti della Società relativi ad annualità precedenti.
Secondo quanto contestato dall’INPS, la Società avrebbe indebitamente applicato il c.d. “massimale contributivo” di cui all’articolo 2, comma 18, della L. n. 335 del 1995 nel calcolo dei contributi dovuti in relazione al personale dipendente, sebbene questi presentassero un’anzianità contributiva anteriore al 1° gennaio 1996.
A seguito del controllo effettuato sulla sussistenza dei requisiti, l’ente contributivo ha quindi richiesto alla Società il pagamento dei contributi sui redditi trasmessi in Uniemens come “eccedenza massimale”, sia per la quota a carico dell’azienda che per la quota a carico del dipendente, ordinariamente trattenuta in busta paga, con l’erogazione delle sanzioni civili previste dall’articolo 116, comma, 8 lettera a) della 388/2000.
Conclusa l’interlocuzione con l’INPS, in data … la Società ha presentato ricorso amministrativo ai sensi della L. n. 88 del 1989, con la richiesta di annullamento degli atti.
Per tutti i ricorsi la Società riteneva che vi fossero profili di illegittimità nelle richieste dell’INPS, in considerazione del fatto che il regime contributivo applicato illo tempore era diretta conseguenza di una dichiarazione inesatta da parte dei dipendenti interessati.
In data …, conclusa l’interlocuzione con la Società, l’INPS ha provveduto a rettificare parte delle diffide notificate nel mese di …, rideterminando l’ammontare degli importi dovuti, a correzione di un errato conteggio dei contributi e delle sanzioni. Nell’illustrare il trattamento contabile delle passività relativa ai contributi e alle sanzioni nel bilancio d’esercizio dell’anno delle notifiche delle diffide, la Società ha precisato di aver adottato, in particolare, lo IAS 37 per quanto riguarda l’accantonamento, quale “passività di scadenza o ammontare incerto” e di aver proceduto all’istituzione del relativo fondo.
Considerato che, alla data di redazione del bilancio anno X, la Società ha ritenuto le passività INPS verosimili, sebbene connotate da incertezza rispetto al preciso ammontare in ragione della presentazione dei ricorsi in merito alla prescrizione dei termini dell’accertamento, ha proceduto, nel bilancio d’esercizio dell’anno della notifica, alla rilevazione di un accantonamento comprensivo sia delle passività INPS già notificate che quelle attese per gli anni successivi ancora accertabili.
Il fondo è stato movimentato nel corso dell’anno successivo, per effettuare il pagamento delle diffide notificate nell’anno precedente e nell’anno in corso, relative al periodo d’imposta successivo.
La Società ha, infine, precisato che non sono state intraprese azioni di rivalsa nei confronti dei dipendenti oggetto delle diffide.
Ciò posto, in merito a quanto esposto, la Società ha esposto i seguenti quesiti.
- In primo luogo, la Società chiede di sapere se la quota di contributi a carico del lavoratore dipendente , nel caso di mancato esercizio della rivalsa per effetto della previsione di cui all’articolo 23, comma 1, della legge 4 aprile 1952, n. 218, possa essere ritenuta un onere inerente all’attività d’impresa deducibile:
- ai fini IRES come spesa per prestazioni di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 95, comma 1, del TUIR;
- ai fini IRAP come onere contributivo, ove riferita a personale assunto con contratto a tempo indeterminato, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera a), n. 4, del d.lgs. n. 446 del 1997.
Il dubbio si pone alla luce di talune sentenze della Corte di Cassazione, che hanno attribuito valenza di “sanzione civile” al divieto di esercizio della rivalsa nel caso di tardivo versamento dei contributi (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. (ud. 16-06- 2015) 17-09-2015, n. 18232), nonché di un’ulteriore pronuncia della suprema Corte (Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 30-10-2018) 22-11-2018, n. 30238) che ha affermato che, nel caso specifico delle sanzioni civili comminate dall’INPS, a prescindere dalla loro natura risarcitoria e non afflittiva, occorre valutarne l’inerenza all’attività d’impresa, da intendersi come inevitabilità di un costo per il funzionamento ordinario dell’attività nel perseguimento dell’oggetto sociale.
- In secondo luogo, la Società domanda se, ai fini dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito per i contributi accertati (comprensivi sia della quota a carico dell’azienda che del dipendente), occorra tenere conto della qualificazione di accantonamento dell’onere imputato nel bilancio relativo all’anno in cui sono avvenute le notifiche, e se quindi, la deducibilità sia posticipata all’anno in cui si manifesteranno i presupposti per l’utilizzo del fondo.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’Istante ritiene che la quota di contributi a carico del lavoratore che l’articolo 23 comma 1 della legge 218/1952 pone a carico del datore di lavoro in quanto assolta in modo tardivo, soddisfi il generale requisito di inerenza ai fini IRES e IRAP.
A sostegno di questa valutazione la Società evidenzia che la natura di “sanzione civile” della traslazione sul datore di lavoro della quota di contributi a carico del lavoratore versata in ritardo, dedotta dalle Sentenze della Corte di Cassazione, muove dal presupposto che alla base dell’omissione o tardività del versamento vi sia stato un “inadempimento del datore di lavoro”, ossia un comportamento “anti-giuridico” non riconducibile all’ordinaria attività d’impresa, mentre, nel caso in esame, tale comportamento antigiuridico non ha avuto luogo, avendo l’Istante versato contributi con l’applicazione del massimale sulla base delle informazioni ricevute dai dipendenti sulla rispettiva situazione contributiva.
La Società ritiene, quindi, che non sia possibile attribuire al comportamento adottato una condotta anti-giuridica, poiché il tardivo versamento è stato causato da un’errata rappresentazione fornita dai lavoratori dipendenti e, come tale, inevitabile. Ne deriva che i costi relativi ai maggior contributi in analisi, in quanto inerenti, possono essere ricondotti:
- ai fini IRES, nel novero delle spese per prestazioni di lavoro in ragione dell’ampia definizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 95, che ricomprende nel proprio ambito applicativo non solo le somme dovute in base a contratto o – come è nel caso dei contributi dovuti dal datore di lavoro – in base alla legge, ma anche le somme che il datore di lavoro sostiene a titolo di liberalità a favore dei lavoratori. In merito la Società richiama la risposta all’interpello 102/2018, in cui l’Amministrazione finanziaria ha escluso che i contributi accertati dall’INPS possano essere inquadrati nel regime previsto dall’articolo 99 del TUIR per gli oneri fiscali;
- ai fini IRAP, nel novero delle spese per contributi previdenziali e assistenziali deducibili dal valore della produzione netta ove riferiti a personale assunto con contratto a tempo indeterminato ai sensi di quanto previsto dall’articolo 11, comma 1, lettera a, n. 4, del d.lgs. n. 446 del 1997.
Per quanto riguarda il secondo quesito, l’Istante ritiene che, ai fini dell’imputazione temporale dei contributi in esame, sia per la quota a carico del datore di lavoro sia per la quota a carico del dipendente che la Società è tenuta a pagare in forza del citato obbligo di legge, occorra attribuire prevalenza alle qualificazioni attribuite nel bilancio della Società redatto in base agli IAS/IFRS, in ragione dell’applicazione del c.d. principio di derivazione rafforzata di cui all’articolo 83, comma 1, del TUIR.
La Società ritiene, pertanto, che la deducibilità dei contributi in oggetto sia posticipata al periodo d’imposta in cui il relativo fondo di accantonamento è stato utilizzato a copertura delle passività a fronte delle quali era stato stanziato, mediante apposita variazione in diminuzione nelle dichiarazioni dei redditi e dell’IRAP.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
In via preliminare, giova evidenziare che il parere reso in questa sede esula dalla valutazione della correttezza in ordine alla rappresentazione contabile adottata dalla Società in relazione alle modalità di rilevazione delle somme dovute a seguito delle diffide notificate dall’INPS.
Non è inoltre oggetto della presente risposta, in quanto non è stato al riguardo formulato alcuno specifico dubbio interpretativo, il trattamento fiscale delle somme richieste nelle diffide o accantonate a titolo di sanzioni e interessi.
Esula altresì dal presente parere qualunque valutazione in merito alla corretta applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 23, comma 1, della legge 4 aprile 1952, n. 218 assumendo acriticamente i fatti così come rappresentati dall’istante, tenendo conto, in particolare, della circostanza che la società riferisce che la mancata rivalsa nei confronti del lavoratore dipenderebbe, nel caso di specie, proprio dalla circostanza di trovarsi nelle condizioni di cui al citato articolo.
La risposta, infine, prescinde da ogni valutazione – in quanto non di competenza della Scrivente amministrazione – in ordine alla circostanza riferita dal medesimo Istante secondo cui l’errata applicazione del massimale contributivo, da cui originano gli atti di diffida ricevuti, era a sua volta causata dalle erronee dichiarazioni rese dai dipendenti che non avevano correttamente comunicato al datore di lavoro la propria posizione contributiva rispetto al termine del “1° gennaio 1996”.
Tanto premesso, con il primo quesito la Società chiede chiarimenti in merito alla deducibilità, ai fini IRES ed IRAP, delle somme versate all’INPS, a fronte di taluni atti di diffida per “recupero contributi da eccedenza massimale” ai sensi dell’articolo 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, per la quota parte a carico del lavoratore dipendente, in relazione alla quale l’Istante riferisce che intende non esercitare il diritto di rivalsa, in base a quanto previsto dall’articolo 23, comma 1, della legge 4 aprile 1952, n. 218.
In particolare l’Istante rappresenta di aver ricevuto nell’anno X i suddetti atti di diffida e provveduto a pagare, nell’anno X+1, i maggiori contributi richiesti dall’INPS, sia per la quota a proprio carico come datore di lavoro sia per la quota a carico del lavoratore, calcolati sull’imponibile eccedente il massimale e i relativi sanzioni e interessi.
In termini generali, le somme che si qualificano come contributi previdenziali e i costi per le assicurazioni obbligatorie per il personale dipendente rappresentano, per la Società, un costo per il personale, il cui trattamento fiscale è in parte regolato dall’articolo 95 del TUIR, rubricato “Spese per prestazioni di lavoro” che, al comma 1, stabilisce che “le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, salvo il disposto dell’articolo 100, comma 1“.
Non sono, invece, deducibili, per costante orientamento di prassi, le somme versate per sanzioni ed interessi moratori comminati per violazioni inerenti i contributi versati (cfr. Risoluzione 114/E del 2008, ribadita, da ultimo, dalla circolare 23 giugno 2021, n. 7/E); tale posizione si pone in linea di continuità col costante orientamento amministrativo, supportato dalla giurisprudenza, secondo cui in tema di determinazione del reddito d’impresa, in relazione alle “sanzioni derivanti dal compimento di attività illecite, essendo le stesse la conseguenza del comportamento illecito dell’imprenditore, non è possibile considerarle quali costi inerenti ai ricavi conseguiti. Non è configurabile, infatti, neppure in via indiretta, alcun rapporto funzionale tra il costo stesso e i ricavi realizzati.” (cfr. ex multis, Circolare 42/E del 2005)
Riguardo alla natura dei costi per contributi previdenziali a carico del lavoratore che vengono traslati sull’imprenditore in caso di ritardato o omesso pagamento, ai sensi del citato 23, comma 1, della legge n. 218 del 1952, richiamato dal medesimo interpellante, la Corte di Cassazione ha avuto più volte modo di sottolineare come tali oneri integrino una ipotesi di “sanzione civile” intesa come reazione dell’ordinamento a un comportamento antigiuridico del datore di lavoro: “Nella previsione contenuta nel comma 1 di questo articolo, che trasferisce l’obbligo di pagare una parte dei contributi da uno ad altro soggetto, dev’essere ravvisata una pena privata, giustificata dall’intento del legislatore di rafforzare il vincolo obbligatorio attraverso la comminatoria, per il caso di inadempimento, di un pagamento di importo superiore all’ammontare del mero risarcimento del danno” (Cass. 4 aprile 2008, n. 8800, in senso conforme Cass. 22379 del 2015 e Cass. 18232 del 2015).
Coerentemente al suddetto indirizzo interpretativo, in considerazione della natura latu sensu sanzionatoria che le somme in argomento rivestono, si ritiene che la quota parte di contributo “a carico dei dipendenti” che, secondo quanto espressamente riferito dall’Istante, non può costituire oggetto di rivalsa ai sensi del richiamato articolo 23, comma 1 della legge n. 218 del 1952, rappresenti un onere indeducibile dal reddito di impresa.
Militano a favore di tale conclusioni i chiarimenti contenuti nella Ordinanza della Suprema Corte del 30 ottobre 2018, in ordine alla deducibilità dei costi in parola, secondo la quale: “La sanzione civile irrogata dall’Inps per il ritardato pagamento dei contributi non è automaticamente inerente all’attività di impresa in quanto non inevitabile nel perseguimento dell’oggetto sociale. Questo in quanto, diversamente, verrebbe svilita la sua funzione coercitiva consentendo all’imprenditore di valutare se corrispondere tempestivamente ovvero lucrare sul differimento del termine ad adempiere sapendo di potere comunque portare in deduzione il suo maggior costo”.
Tale Ordinanza si pone nel solco della costante giurisprudenza di legittimità in materia di illeciti civili e amministrativi, come sopra richiamata, secondo cui “l’illecito spezza il nesso di inerenza, atteso che la spesa non nasce più nell’impresa, ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone aldilà della sfera aziendale”.
Per le medesime ragioni i suddetti oneri risultano parimenti indeducibili anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
A riguardo giova ricordare che, come chiarito in diversi documenti di prassi, ai fini IRAP, un costo che non attenga all’attività d’impresa non può essere dedotto per il semplice fatto di essere stato imputato al conto economico (cfr. Circolare n. 39/E del 22 luglio 2009 e Circolare n. 36/E del 16 luglio 2009). Non è sufficiente, pertanto, che il costo sia transitato a conto economico, ma è necessario dimostrare un’attinenza diretta del componente negativo in questione all’attività d’impresa svolta dalla Società. Nel caso di specie tale attinenza può essere esclusa alla luce della natura sanzionatoria delle suddette somme così come ricostruita ai fini delle imposte sui redditi. Si ritiene, pertanto, che i suddetti oneri (ancorché imputati a conto economico) non siano deducibili ai fini della determinazione del valore netto della produzione.
In merito al secondo quesito, l’Istante precisa di aver ricevuto dall’INPS gli atti di diffida relativi all’annualità X-3 nell’anno X e di aver proceduto nel relativo bilancio ad accantonare le somme richieste a un fondo non dedotto, comprensivo sia degli importi presenti nelle diffide notificate relative all’anno X-3 che degli importi dovuti per le annualità successive ancora accertabili, come determinate con l’ausilio di consulenti esterni
Tenuto conto di quanto riferito dalla Società in ordine alle modalità con cui sono stati effettuati i pagamenti nel corso dell’anno X+1, con specifico riferimento al quesito fiscale proposto a vale ricordare che l’articolo 83 del TUIR stabilisce che “(…) per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali (…) e per i soggetti, diversi dalle micro-imprese di cui all’articolo 2435-ter del codice civile, che redigono il bilancio in conformità alle disposizioni del codice civile, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi principi contabili (…)“.
In buona sostanza, ai fini della determinazione del reddito imponibile, gli elementi reddituali e patrimoniali iscritti sulla base dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai rispettivi principi contabili internazionali, assumono rilevanza anche ai fini fiscali.
Pertanto, nel presupposto che la Società istante abbia correttamente rappresentato in bilancio tali oneri – circostanza, quest’ultima, non sindacabile dalla Scrivente in sede di risposta alle istanze di interpello – deve ritenersi che tale rappresentazione contabile assuma rilevanza anche in ambito fiscale, sulla base del principio di derivazione previsto nel citato articolo 83 del TUIR.
Ciò detto, considerando che la Società ha accantonato in bilancio, al 31 dicembre dell’anno X, un fondo per tener conto delle diffide notificate in quell’anno e potenzialmente da notificare negli anni futuri in relazione ai contributi dovuti (sia per la parte a carico del lavoratore che per quella del datore di lavoro), si ritiene di poter concordare con l’Istante sul fatto che la deducibilità dei suddetti contributi, per la sola quota parte riferibile al datore di lavoro, sulla base di quanto argomentato in risposta al primo quesito, sia consentita nel periodo d’imposta in cui è avvenuto il relativo pagamento e, conseguentemente, il relativo fondo è stato utilizzato a copertura delle passività a fronte delle quali era stato stanziato.
Infine, si ricorda che nel periodo X tutti gli accantonamenti stanziati sono indeducibili alla luce dell’art. 107 comma 4 del TUIR.
Il presente parere attiene esclusivamente a profili di carattere interpretativo e viene reso sulla base dei fatti, dei dati e degli elementi prima esaminati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza e in sede di documentazione integrativa, nel presupposto della loro veridicità e completezza e non si estende a questioni non rappresentate o per le quali, comunque, nessuna espressa richiesta di parere è stata formulata.
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