Corte cassazione n 27507 del 30 dicembre 2014
SENTENZA
sul ricorso 27635-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A. D. SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA OSLAVIA 30, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO COLABIANCHI, che lo rappresenta e difede unitamente all’avvocato CLAUDIA JACOPUCCI giusta delega a margine;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 122/2008 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 22/10/2008; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/10/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI; udito per il ricorrente l’Avvocato GIORDANO che ha chiesto l’accoglimento;
uditi per il controricorrente gli Avvocati JACOPUCCI e COLABIANCHI che hanno chiesto l’inammissibilità in subordine rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con avviso di rettifica e liquidazione ritualmente notificato ai fini dell’imposta di registro, l’agenzia delle entrate accertava il maggior valore di avviamento di un’azienda alberghiera acquistata da A. D. s.r.l. nell’anno 2003. Il valore di avviamento era stato rettificato in base alla media dei volumi d’affari del triennio antecedente la cessione, capitalizzata con applicazione di un coefficiente di redditività del 20 %.
La società impugnava l’avviso di rettifica contestando la percentuale di redditività. Il giudizio di merito era definito con sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio depositata il 22 ottobre 2008.
La commissione annullava l’atto osservando che l’ufficio, in base ai principi dettati dalle sentenze nn. 1378-00 e 23661-06 di questa corte, avrebbe dovuto dapprima valutare l’esistenza delle condizioni per l’accertamento induttivo e quindi rettificare il reddito sul presupposto di uno scostamento riscontrato in base a elementi presuntivi; mentre in concreto non aveva fornito alcuna prova della fondatezza dell’accertamento stesso. Contro la sentenza d’appello l’agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo, denunciante il vizio di motivazione. La società si è costituita con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Il ricorso denunzia l’insufficiente motivazione della sentenza per il fatto di non avere la commissione dato conto, neanche al fine di escluderne la rilevanza, degli elementi di fatto sulla base dei quali si era proceduto alla rettifica del valore di avviamento. Il motivo è inammissibile per genericità, sicché il ricorso va disatteso.
II. – L’avviamento è una componente del valore dell’azienda. Segnatamente la componente è costituita dal maggior valore che il complesso aziendale, unitamente considerato, presenta rispetto alla somma dei valori di mercato dei beni che lo compongono. Questa corte, ,in caso di cessione di azienda, ha più volte affermato che, agli effetti dell’imposta di registro, si deve tener conto dell’avviamento nella determinazione del valore venale dell’azienda ceduta, senza che assumano rilievo circostanze contingenti, che pure possano avere influito nella determinazione concreta del corrispettivo; difatti il valore che deve essere preso in considerazione per la determinazione della base imponibile è il prezzo che il bene ha in comune commercio, vale a dire quello che il venditore ha la maggiore probabilità di realizzare, e l’acquirente di pagare, in condizioni normali di mercato, prescindendo quindi da situazioni soggettive o momentanee che possano deprimerlo o esaltarlo (v. Cass. n. 8642-11; e anche, sul principio generale, Cass. n. 28571-05).
III. – Ora nel caso in esame l’agenzia delle entrate assume di aver supportato l’accertamento di maggior valore dell’avviamento in ragione (i) della stabilità della situazione economica dell’azienda ceduta negli ultimi tre anni, con andamento pressoché costante del volume d’affari (attestato in somma annua variabile tra 4.100.000,00 e 4.600.000,00 euro); e (ii) dell’irrilevanza della situazione debitoria in vista della vita economica futura, essendosi trattato di situazione derivata da poste di debito straordinarie (una transazione) ovvero e comunque da poste non indicative di un andamento negativo dell’impresa (spese per Tfr). Tuttavia deve osservarsi che, come all’inizio precisato, la questione controversa non era relativa a simili elementi, con riguardo ai quali l’odierno ricorso denunzia l’insufficiente motivazione della sentenza, quanto piuttosto al coefficiente di redditività. L’impugnata sentenza difatti ha affermato che la rettifica era stata operata mediante capitalizzazione al triplo della potenziale redditività dell’azienda ceduta, ricavata dall’applicazione del coefficiente di redditività del 20 % al giro di affari medio del triennio precedente, come rilevato dalla dichiarazione Iva e dai modelli 740, 750 e 760, mentre la ricorrente aveva contestato giustappunto il coefficiente detto, ritenendolo troppo elevato in rapporto a quello da essa dichiarato (7,36 %). In sostanza, il punto controverso atteneva alla percentuale di redditività, dichiarata al 7,36 % dalla parte e rettificata al 20 % dall’ufficio.
IV. – Nel processo tributario è sempre onere dell’ufficio provare gli elementi di fatto giustificativi del quantum accertato nel quadro dei parametri prescelti, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento. L’ufficio sostiene di aver evidenziato elementi specifici in tal senso, ritenuti rilevanti per stabilire il corretto valore di un avviamento commerciale, e lamenta che il giudice tributario non li abbia considerati nel contesto di una seria valutazione degli elementi di prova. Ma non è dato comprendere in qual senso gli elementi posti al fondo della doglianza, in relazione ai quali si denunzia l’insufficiente motivazione della sentenza (l’omessa o insufficiente considerazione della stabilità della situazione economica dell’azienda ceduta negli ultimi tre anni e della effettiva situazione debitoria), potessero attenere al punto decisivo della causa, una volta accertato che il punto era limitato alla determinazione della percentuale di redditività, e una volta stabilito, da parte del giudice del merito, che nulla era stato provato in relazione al criterio ricostruttivo di simile percentuale. In questo senso il motivo, concretizzando una doglianza generica, va disatteso.
V. – Resta irrilevante, nel senso che dev’essere semplicemente corretta in questa sede nell’esercizio della funzione nomofilattica, la circostanza che la commissione abbia infine richiamato un principio di diritto manifestamente inconferente, quale quello reso da Cass. n. 1378-00. Tale principio (“Quando sia posta in discussione la legittimità dell’esercizio del potere di accertamento dell’ufficio – come accade nel caso in cui si contesti l’esistenza di quelle presunzioni gravi, precise e concordanti, solo in presenza delle quali l’art. 39, comma 1, lett. d), del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 600 consente la rettifica di redditi d’impresa determinati in base a scritture regolarmente tenute e formalmente corrette – la Commissione tributaria è tenuta a valutare la ricorrenza delle condizioni legittimanti detto accertamento ed a verificare, su un piano logicamente preliminare, se gli organi dell’amministrazione finanziaria fossero o meno legittimati a compiere una siffatta valutazione in difformità dalle risultanze contabili dell’impresa”) afferiva alla ben diversa situazione della ricostruzione induttiva del reddito d’impresa ai fini delle imposte dirette. E quindi in nulla soccorreva in vista della soluzione del caso di specie. Nondimeno la sgrammaticatura non ha assunto rilevanza in vista della decisione finale, comunque attestata sull’inadempimento dell’ufficio all’onere della prova della percentuale di redditività impiegata ai fini della rettifica dell’avviamento commerciale. Sicché non incide sull’esito della lite.
VI. – Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella misura di legge.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
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