CORTE CASSAZIONE N. 27510 del 30 dicembre 2014
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege
– ricorrente –
contro
F. S. spa in persona del legale rappresentante p.t., quale società incorporante la F. A. spa, a sua volta incorporante la C. I. srl, a sua volta incorporante la M. F. srl, elettivamente domiciliata in Roma Viale Bruno Buozzi 102, presso lo studio degli Avv.ti Prof.ri Pasquale Russo e Guglielmo Fransoni, che la rappresentano e difendono in forza di procura speciale in calce al controricorso –
Controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 25/13/2008 della Commissione Tributaria regionale della Toscana, depositata il 30/05/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2014 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida;
uditi l’Avvocato dello Stato, Carlo Maria Pisana, per parte ricorrente, e l’Avv.to Guglielmo Fransoni, per parte controricorrente;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale
Dott. Immacolata Zeno, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e per il rigetto del primo motivo e l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo del ricorso incidentale.
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della F. S. spa, quale incorporante la F. A. spa, a sua volta incorporante la C. I. srl, a sua volta incorporante la M. F. srl, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 25/13/2008, depositata in data 30/05/2008.
La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso per maggiori IRPEG ed ILOR dovute nel 1991, a seguito del recupero a tassazione, da parte dell’Ufficio Imposte Dirette di Firenze, a titolo di plusvalenza rilevante, ex art.54, comma l, lett.c), TUIR, dell’importo di E 430.000.000, appostato in bilancio, dalla società M. F., ad aumento del valore di un cespite immobiliare acquistato nel 1990, e risultante da una fattura, emessa dalla B. srl, per un’attività di consulenza immobiliare, svolta dalla stessa, in favore della contribuente, ritenuta, invece, dall’Ufficio oggettivamente inesistente.
Con la decisione qui impugnata – emessa in sede di rinvio, a seguito di annullamento, con pronuncia di questa Corte Suprema di Cassazione n. 23560/2006, di una pregressa decisione di altra Sezione della C.T.R. della Toscana stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso della contribuente (la F. A. spa incorporante la M. F. srl), stante la ritenuta mancata prova dell’effettività dell’ incarico di mediazione.
I giudici d’appello hanno, preliminarmente, respinto l’eccezione della F., di violazione del giudicato interno formatosi sull’effettività dell’attività di consulenza (avendo la pregressa decisione d’appello, cassata, respinto l’impugnazione della contribuente per omessa corretta imputazione del costo all’anno di competenza e non avendo l’Ufficio proposto sul punto ricorso incidentale condizionato per cassazione), affermando che, sulla questione dell’esistenza del costo, “pur logicamente prioritaria rispetto a quella della sua imputabilità”, non vi era stato alcun esame da parte della C.T.R., essendosi ritenuta la stessa questione assorbita.
I giudici d’appello poi, respinta la domanda della F. di declaratoria della nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione, in guanto domanda nuova e comunque, nel merito, infondata, hanno accolto, nel resto, l’impugnazione della contribuente, sostenendo, in particolare, che, pur in difetto di “prove dirette che documentino la stipulazione e l’adempimento del contratto”, di consulenza tra la M. F. e la B., vi sono numerosi dati, aventi complessivamente il carattere di presunzioni gravi, precise e concordanti, che consentono di “risalire al conferimento dell’incarico ed all’esecuzione delle prestazioni” (quali: l’emissione, nel 1991, della fattura da parte della B. srl con la causale “compenso per consulenza immobiliare”, l’acquisto di beni immobili da parte della M. F. nel 1990, l’effettivo pagamento dell’importo portato in fattura a favore della B. ed i riscontri contabili, nel libro giornale e nel bilancio della società, chiuso al 31/12/1990, degli acquisti e dei pagamenti), mentre le circostanze allegate dall’Agenzia delle Entrate (quali: le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società venditrice, l’assenza di documentazione comprovante il conferimento dell’incarico di consulenza, l’assenza in capo alla B. di ogni organizzazione di mezzi e/o di personale, l’identità degli importi tra le prestazioni fatturate alla M. F. dalle società del Gruppo Doronzo) “non presentano i requisiti della gravità e della concordanza né sono idonee ad escludere con certezza 11 conferimento dell’incarico e l’effettività delle prestazioni”.
L’intimata F. ha depositato controricorso e ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
Considerato in diritto.
L’Agenzia delle Entrate ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.2697 c.c. e degli artt.54 TUIR e 19,28 e 54 DPR 633/1972 e 39 e 40 DPR 600/1973, per avere i giudici d’appello, in relazione alla questione dell’effettività del costo, contestato dall’Ufficio, attribuito, in violazione delle norme sul riparto dell’onere probatorio in materia di costi e di fatture relative ad operazioni inesistenti, alla contribuente, la possibilità di fornire una dimostrazione meramente presuntiva ed, all’Ufficio, l’onere di provare “con certezza” l’inesistenza dell’incarico di mediazione immobiliare in oggetto. Con il secondo motivo, la stessa ricorrente lamenta poi, ex art.360 n. 5 c.p.c., l’insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dall’individuazione degli elementi decisivi dai quali desumere l’effettività o meno della prestazione contestata dall’Ufficio il cui costo è stato portato in deduzione.
La controricorrente solleva tre motivi nel ricorso incidentale:
1) la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.2909 c.c., in ordine alla questione del giudicato implicito interno, vincolante anche per i giudizi di rinvio, formatosi per effetto della prima sentenza d’appello resa nel 1999, sull’esistenza della prestazione di intermediazione (in quanto avente carattere di priorità logica rispetto a quella della corretta imputazione per competenza del costo);
2) la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 4 c.p.c., degli artt.384 e 394 c.p.c., avendo i giudici del rinvio, sulla censura relativa alla carenza motivazionale dell’avviso di accertamento, ritenuto inammissibile il motivo del ricorso in riassunzione, perché proposto per la prima volta in appello e non con il ricorso introduttivo del giudizio, con violazione dei compiti loro rimessi da questa Corte nella sentenza n. 43560/2006, all’esito della fase rescindente del giudizio di legittimità;
3) la violazione o falsa applicazione, ex art.360 n. 3 (erroneamente indicato in rubrica come “n. 5”) c.p.c., dell’art.42, comma 2, DPR n. 600/1973, per avere i giudici d’appello dichiarata infondata la doglianza relativa alla carenza motivazionale dell’atto impositivo, sol perché la contribuente aveva compreso le ragioni delle contestazioni avanzate nei suoi riguardi.
Preliminarmente, in relazione al suddetto ricorso incidentale e, principalmente, ai primi due motivi in esso esposti, deve richiamarsi quanto affermato di recente da questa Corte a Sezioni Unite (Cass.S.U. 7381/2013): “in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziall di rito, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale”.
Tanto premesso, la prima censura del ricorso principale è infondata.
Giova richiamare i principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 24426/2013 (cfr. anche 6229/2013), con riguardo, in particolare, al tema, che qui interessa, delle fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno. Invero, l’Amministrazione finanziaria, nel recuperare a tassazione la plusvalenza iscritta in bilancio rappresentata dal costo di una intermediazione immobiliare, aveva contestato alla società M. F. (poi incorporatasi in F.) che l’operazione di consulenza immobiliare, documentata da una fattura emessa, nel 1991, dalla B. srl, era oggettivamente inesistente, sulla base di una pluralità di indizi (le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società venditrice del complesso immobiliare, in ordine al fatto che quest’ultima avesse avuto rapporti, ai fini dell’intermediazione, con il solo mediatore dalla stessa incaricato;
l’assenza di un contratto che formalizzasse il rapporto commerciale tra la B. e la M. F.; l’assenza di documentazione comprovante l’esperita attività rinvenuta presso la prima, società peraltro priva di organizzazione di mezzi e personale; l’avere la F. A. spa dato incarico dell’intermediazione immobiliare alla Fondinvesta, consociata, la quale aveva fatturato importi identici a quelli fatturati dalla B. srl e dalla Metrocasa Immobiliare, facenti parte de Gruppo Doronzo;
l’essere stata la M. F. costituita allorché la trattativa per l’acquisto immobiliare era ormai conclusa).
Nella sopracitata pronuncia di questa Corte, si è chiarito che, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o la deduzione dei costi, lo stesso “ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”)”, prova che può tuttavia anche consistere in presunzioni semplici, che costituiscono comunque una prova completa, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.).
Assolto dall’Agenzia tale onere probatorio (anche attraverso elementi presuntivi), “passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate”, non essendo sufficiente la sola “esibizione della fattura”, ne’ “la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati”. Ora, nella fattispecie, i giudici d’appello non hanno addossato sull’Amministrazione finanziaria un onere probatorio pieno, trascurando il rilievo della prova presuntiva che detta parte può offrire, anche in relazione all’inesistenza oggettiva delle operazioni commerciali portate da fatture contestate. Invero, esaminata la motivazione nel suo complesso, si evince che la C.T.R. ha valutato gli elementi offerti dall’Ufficio, ritenendoli tuttavia inidonei sia a fornire una prova presuntiva qualificata sia, tanto meno, una prova piena dell’inesistenza dell’incarico di intermediazione immobiliare. Alcuna violazione ai principi del riparto dell’onere della prova è dunque riscontrabile nella sentenza impugnata, avendo i giudici d’appello ritenuto, da un lato, che nessuna delle due parti avesse offerto una piena prova dei fatti addotti a sostegno delle rispettive posizioni e, dall’altro lato, che gli elementi indiziari offerti dalla contribuente sull’esistenza dell’operazione oggetto della fattura avessero comunque il carattere della prova presuntiva, carattere mancante invece in quelli offerti dall’Ufficio a supporto dell’inesistenza dell’operazione contestata.
La seconda censura è inammissibile.
In effetti, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione si configura quando sia riscontrabile nel ragionamento del giudice di merito il mancato o insufficiente esame di un elemento di fatto, controverso e rilevante in funzione della decisione della causa, o una obiettiva deficienza e incoerenza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ovvero se, a fondamento della decisione, siano stati posti apprezzamenti e argomentazioni tra loro contraddittori, tali da non consentire una corretta ricostruzione della ratio decidendi. Il suddetto vizio motivazionale non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito, rispetto a quello preteso dalla parte, perché “spetta solo a detto giudice (1) individuare le fonti del proprio convincimento, (2) valutare le prove, (3) controllarne l’attendibilità e la concludenza, 4) scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare fatti in discussione, (5) dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo casi tassativamente previsti assegnato alla prova un dalla legge in cui è valore legale” (Cass. 17572/2009), spettando invece al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. Alla luce di tali principi, i giudici d’appello hanno esaminato i rilievi mossi dall’Ufficio e motivato in ordine alla effettiva consistenza degli elementi probatori, anche presuntivi, offerti dall’Ufficio, e li hanno posti in comparazione con i complessivi elementi offerti dalla contribuente, cosicché il vizio dedotto si risolve in una richiesta di nuovo apprezzamento dei fatti e delle prove. Il motivo si rivela altresì infondato, in quanto la ricorrente non spiega perché dai fatti da essa addotti (pur indicati del tutto genericamente) si dovrebbero trarre elementi, forniti dei requisiti di “gravità, precisione e concordanza” richiesti dall’art. 2729 c.c., idonei a fondare la presunzione di “inesistenza” dell’attività di intermediazione immobiliare tra la contribuente e quella società, su cui si fonda l’accertamento contestato. Al contrario, la motivazione in ordine alla complessiva valutazione degli elementi addotti dalla società, a sostegno dell’effettività dell’operazione di consulenza che aveva portato alla patrimonializzazione del relativo costo (da rammentare che vi era stata ripresa a tassazione di una plusvalenza iscritta nello stato patrimoniale, ex art.54 comma l °lett.c, TUIR, nel testo vigente ratione temporis) appare in sé logica, coerente ed esaustiva. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale va respinto. Il ricorso incidentale è assorbito. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 7.000,00, a titolo di compensi, oltre rimborso forfettario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Deciso in Roma, il 18/11/2014.
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