CORTE CASSAZIONE n. 27511 del 30 dicembre 2014
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: Avv.to F. M., elettivamente domiciliato in Roma Via Anapo 46, rappresentato e difeso da se medesimo
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege r-
– resistente –
avverso la sentenza n. 33/02/2009 della Commissione Tributaria regionale del Lazio, depositata il 22/01/2009; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2014 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Immacolata Zeno, che ha concluso per l’inammissibilità ed, in subordine, il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
F. M. propone ricorso per cassazione,
affidato a due motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 33/02/2009, depositata in data 22/01/2009, con la quale in una controversia concernente l’impugnazione di un provvedimento di diniego di una domanda di definizione, ex art.16 1.289/2002,di una lite fiscale pendente, concernente l’impugnazione di una cartella di pagamento emessa, per IRPEF e contributo SSN dovute per l’anno 1995, in conseguenza dell’intervenuta definitività dell’avviso di accertamento presupposto, notificato in data “13/12/2000” – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso del contribuente. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che la lite risultava definita con “sentenza n. 358/48/05” della C.T.P., “passata in giudicato” perché non impugnata, con la quale era stata respinta l’impugnazione proposta dal contribuente avverso cartella esattoriale, successiva ad un accertamento divenuto definitivo e costituente mero atto di riscossione. Di conseguenza, ad avviso della C.T.R., non può operare l’invocato art.16 1.289/2002, ai fini dell’inclusione della controversia tra le liti definibili.
L’intimata Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione, ai soli fini della partecipazione all’udienza pubblica di discussione, ma non è comparsa il 18/11/2014.
Considerato in diritto.
Il ricorrente lamenta, con due motivi, sia la violazione e falsa applicazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.16 comma 3 lett.a) 1.289/2002, sia l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso, avendo i giudici omesso di motivare sul fatto che, nel giudizio avverso il provvedimento di diniego del condono, si controverteva anche della legittimità del previo avviso di accertamento, costituente atto presupposto della successiva cartella esattoriale, in conformità alla previsione dell’art.16 1.289/2002, con conseguente piena sussistenza di una lite fiscale pendente definibile per condono.
Il ricorso è inammissibile, per inidoneità del quesito di diritto e del c.d. momento di sintesi, prescritti dall’art.366 bis c.p.c. (disposizione questa pienamente operante, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata nel febbraio 2009). Il quesito di diritto, dovendosi risolvere in una sintesi logico-giuridica della questione, non avulsa dai rilevanti elementi fattuali della fattispecie concreta, non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo, occorrendo che risulti individuata la discrasia tra la ratio decidendi della sentenza impugnata, che deve essere indicata, ed il diverso principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata (v. Cass. SS.UU. 10 settembre 2009, n. 19444 e 14 febbraio 2008, n. 3519). In altri termini il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere (tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339) sia la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, sia la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice, sia ancora la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.
Ora, il primo motivo di ricorso riporta un quesito di diritto, che si risolve in un mero interpello generico ed astratto (“se nel giudizio a quo deve intendersi impugnato l’avviso di accertamento presupposto della cartella di pagamento del 2002, in conformità della previsione di cui all’art.16 comma 3 lett.a) della 1.289/2002”).
Nel secondo motivo, implicante un vizio motivazionale, vengono prospettati, in realtà, non dei fatti controversi, in riferimento ai quali la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ma delle mere questioni o argomentazioni (“omessa o insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell’essere stato impugnato anche l’avviso di accertamento del quale si è ripetutamente fatta indicazione nel presente ricorso”).
Va in questa sede ribadito (cfr. Cass. 2805/2011; Cass.13457/2012) che per “fatto decisivo e controverso” deve intendersi un vero e proprio fatto, non una “questione” o un “punto”, stante la modifica dell’art. 360 c.p.c. operata dal d.lgs. 40/2006, non meramente formale e priva di effetti. Inoltre, il motivo è inammissibile, in quanto il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ex art.360 n. 5 c.p.c., si configura solo quando sia riscontrabile nel ragionamento del giudice di merito il mancato o insufficiente esame di un elemento di fatto, controverso e rilevante in funzione della decisione della causa, o una obiettiva deficienza e incoerenza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, ovvero se a fondamento della decisione siano stati posti apprezzamenti e argomentazioni tra loro contraddittori, tali da non consentire una corretta ricostruzione della ratio decidendi.
Il vizio motivazionale non può, invece, anche concernere, come nella specie (lamentando il ricorrente la mancata individuazione, da parte dei giudici tributari, dell’effettivo oggetto del contendere), l’interpretazione o l’applicazione di norme giuridiche, ricadendo invece queste ultime ipotesi nella previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in ordine alle quali il sindacato di legittimità e limitato al controllo della esattezza della risoluzione adottata dal giudice del merito. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali del presente giudizio di legittimità, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Deciso in Roma, il 18/11/2014.
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