CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 dicembre 2017, n. 28900
Indennità di accompagnamento ex art. 1, L. n.18/1980 – Motivazione delle risultanze della consulenza del c.t.u. – Impossibilità di deambulare senza aiuto permanente – Incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita – Situazioni prescindenti da contesti episodici – Tipica valutazione di fatto riservata al giudice di merito
Rilevato in fatto
che, la ricorrente M.M. impugna la sentenza n. 370 depositata in data 20/9/2011, con la quale la Corte d’appello di Brescia ha confermato la pronuncia emessa dal giudice di primo grado, in merito all’insussistenza dei presupposti necessari per riconoscere alla ricorrente l’indennità di accompagnamento;
che, la pronuncia della Corte territoriale, per quanto qui rileva, si fonda sulla base di una rinnovata c.t.u. disposta d’ufficio;
che, avverso tale pronuncia ricorre per cassazione M.M. affidandosi a due motivi di gravame;
che, l’INPS resiste con controricorso.
Considerato in diritto
che, con i due motivi la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 18/1980 e dell’art. 1 della legge n. 508/1988, in relazione all’art. 360, n.3, c.p.c., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.); che, la ricorrente, in particolare, deduce che, nel caso in esame, la Corte territoriale, nel recepire acriticamente le risultanze della c.t.u., rinnovata d’ufficio, si sarebbe limitata ad un, del tutto insufficiente, richiamo alla motivazione di detta consulenza, senza considerare che le patologie (possibilità di deambulare solo per tratti, e solo nell’ambito domestico-necessità di assistenza per fare il bagno e per vestirsi) descritte dal consulente, e confermate, peraltro dalla consulenza resa nel primo grado di giudizio, erano sussumibili tra le condizioni legittimanti il diritto all’indennità di accompagnamento ex lege n. 18/1980;
la censura nella sua duplice articolazione è priva di fondamento;
che; al riguardo, va osservato che secondo un univoco orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di indennità di accompagnamento (Cass. n. 9785/1991, 1339/1993, 636/1998,11054/2003) le condizioni per l’erogazione della prestazione ai sensi dell’art. 1, I. n.18/1980, consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua;
che, si tratta, all’evidenza, di situazioni che prescindono da contesti episodici, dovendo essere, invece, acclarate nella loro inerenza costante al soggetto e non in rapporto ad una soltanto delle possibili manifestazioni del vivere quotidiano, quali ad esempio, il portarsi fuori dalla propria abitazione, ovvero la necessità di assistenza determinata da patologie particolari e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana (Cass. n. 931 del 3 febbraio 1999) ;
che, per quanto attiene, poi, alla censura sollevata in relazione al vizio di cui all’art.360, n. 5, c.p.c., giova evidenziare che, come questa Corte ha avuto modo più volte di affermare, l’accertamento delle condizioni legittimanti il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento, rappresenta una tipica valutazione di fatto riservata al giudice di merito;
che, tale accertamento è, quindi, incensurabile in questa sede quando è sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l’iter argomentativo posto a base della decisione; ciò in quanto il controllo di legittimità non può essere finalizzato a far valere la rispondenza dei fatti operata dal giudice d’appello, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti, al diverso convincimento soggettivo della parte;
che, qualora il giudice di merito fondi il proprio convincimento sulla base delle conclusioni fornite dal consulente tecnico, gli eventuali errori, e lacune della consulenza, si riverbereranno sulla sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione;
che, perché, ciò possa verificarsi è, però, necessario che si tratti di carenze o deficienze diagnostiche, o di affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già di mere difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità delle patologie e le diverse valutazioni fornite, al riguardo, dalla parte (Cass. n.225 del 2000);
che, di conseguenza le censure dedotte da parte ricorrente non paiono meritevoli di accoglimento, in quanto la Corte di secondo grado ha affermato di condividere le conclusioni del consulente tecnico nominato nel corso del giudizio d’appello, conclusioni che hanno ritenuto la ricorrente priva di deficit cognitivi e sensoriali, con patologie incidenti, relativamente sulla deambulazione domestica e sulla capacità di svolgere in autonomia gli atti della vita quotidiana;
che, la censura di violazione di legge, pertanto, risulta priva di consistenza, non ravvisandosi alcuna difformità tra quanto affermato dal giudice di merito ed il parametro normativo recato nell’art. 1, I. n. 18/1980;
che, parimenti è privo di fondamento il vizio di motivazione da cui sarebbe inficiata l’impugnata sentenza, non essendo rinvenibile, per quanto sopra esposto, incongruenze o illogicità nell’iter argomentativo del giudice di merito;
che, alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese del giudizio, giusta dichiarazione sostitutiva in atti, ai sensi dell’art. 152, disp.att. c.p.c.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, nulla per le spese del giudizio.
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