CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 febbraio 2018, n. 2493
Rapporto di agenzia – Indennità sostitutiva del preavviso – Ricorso inammissibile – Omesso esame di elementi istruttori – Non integra vizio di omesso esame di un fatto decisivo se comunque preso in considerazione dal giudice
Rilevato che
La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza resa pubblica in data 28/11/2012, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava G.F. a corrispondere alla M. s.p.a., in relazione al rapporto di agenzia intercorso fra le parti, la somma di euro 8.627,91 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, condannando altresì la società mandante al pagamento della somma di euro 5.404,12 a titolo di provvigioni e ordinando all’agente di restituire quanto percepito in esecuzione della sentenza di primo grado.
Avverso tale decisione il F. interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso la società intimata.
Considerato che
1. Con due motivi il ricorrente denuncia “errata ricostruzione del fatto e valutazione delle prove a supporto del ricorso. Vizi nella formazione del giudizio”, nonché “errato esame e valutazione delle prove” ricondotti ala violazione dell’art. 360 comma primo n.5 c.p.c..
Si duole, in sintesi dei vizi logici che connotano l’impugnata sentenza e scaturiscono dalla omessa ponderata valutazione delle prove raccolte, la cui retta interpretazione avrebbe dovuto condurre all’accoglimento integrale delle domande come formulate in primo grado.
2. Le censure, da trattarsi congiuntamente per la connessione che le connota, sono inammissibili perché non rispettose dei dettami sanciti dall’art. 360 c.1 n.5 c.p.c., come novellato dal d.l. 22/6/12 n. 83 conv. in l. 7/8/12 n. 134.
Deve al riguardo considerarsi che il nuovo testo dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 5 applicabile alla fattispecie ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La parte ricorrente deve dunque indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art.366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso” (Cass. sez. un. 22/9/2014 n. 19881, Cass. sez. un. 7/4/2014 n.8053). Nella formulazione dell’art. 360 c.p.c., n.5 è dunque scomparso ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (seppur cambiato d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. Ciò a supporto della generale funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris.
In questa prospettiva, proseguono le Sezioni Unite, la scelta operata dal legislatore è quella di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”.
Pertanto, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
3. Nella specie il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura ed interpretazione dei dati acquisiti al giudizio, non consentita nella presente per quanto sinora detto.
L’iter motivazionale che innerva l’impugnata sentenza, non risponde infatti ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità. La Corte distrettuale ha infatti proceduto ad una approfondita ricognizione critica dei dati testimoniali e documentali acquisiti. Ha specificamente motivato le ragioni che inducevano a conferire un peculiare peso probatorio a talune dichiarazioni rispetto ad altre, pervenendo alla conclusione che il rapporto di agenzia inter partes si fosse risolto per colpa del F. questi aveva infatti pregiudicato irrimediabilmente con la propria condotta, la fiducia che la mandante riponeva nei proprio operato, procedendo alla vendita a terzi di merce fatta pagare ad una società (la V. s.r.I.) cliente della società M., a seguito della quale era insorto contenzioso in sede giudiziale fra le due società.
In buona sostanza, anche a prescindere dalle dichiarazioni rese in tal senso dal F. in sede stragiudiziale, come riferito da taluni testimoni, era emerso che la M. s.p.a. aveva fatturato alla V. merce mai ordinata e mai consegnata con l’apporto decisivo del ricorrente.
Detta ricostruzione dei fatti congrua e completa per quanto sinora detto, si sottrae alla censura all’esame.
Dalle suesposte considerazioni discende, coerente, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art.1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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