CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 ottobre 2017, n. 23033
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Spese di sponsorizzazione di una associazione sportiva – Inerenza – Deducibilità
Rilevato che
Con sentenza in data 10 dicembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Toscana, sezione distaccata di Livorno respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 128/1/15 della Commissione tributaria provinciale di Livorno che aveva accolto il ricorso della G.P. srl contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEG, IVA 2007. La CTR osservava in particolare che, come rilevato dal primo giudice, la società contribuente aveva adeguatamente comprovato l’ “inerenza” del costo di sponsorizzazione di una associazione sportiva, risultando perciò infondate le ragioni della ripresa fiscale relativa, specificamente negando la sussistenza della “antieconomicità” del costo stesso affermata dall’Ente impositore.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.
L’intimata società non si è difesa.
Considerato che
Con l’unico mezzo dedotto – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – l’Agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, d.P.R. 600/1973, 2697, cod. civ. 109, TUIR, poiché la CTR ha affermato l’ “inerenza” integrale del costo oggetto della ripresa fiscale, nonostante precisi indici contrari quali in particolare la sproporzione del costo stesso rispetto ai redditi dichiarati nell’annualità de qua e l’inidoneità promozionale della spesa in esame per il tipo di utenza destinataria del messaggio pubblicitario con essa finanziato, trattandosi di un pubblico che non poteva considerarsi interessato al messaggio stesso.
La censura e infondata.
Va infatti ribadito che:
– «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015);
– «Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).
A ben vedere lo sviluppo argomentativo della censura collide con entrambi i principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, poiché mira ad ottenere da questa Corte un tipo di sindacato meritale che non le è consentito, al di fuori degli stretti limiti della valutazione del vizio motivazionale conseguenti alla riforma dell’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che peraltro è una critica di legittimità non esperibile nel caso di specie, vertendosi in un’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348 ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ.
La ricorrente infatti censura la valutazione di merito che la CTR ha effettuato in ordine alla contestata “antieconomicità” della spesa per sponsorizzazione in questione, che risulta invece avere correttamente applicato sia la disposizione del d.P.R. 600/1973 sia quella codicistica generale sulla distribuzione dell’onere probatorio nel processo sia quella sul principio di inerenza del TUIR che sono state evocate.
In particolare va rilevato che il giudice tributario di appello si è adeguatamente soffermato sulla contestazione di “antieconomicità”, sottolineando che l’Ente impositore non ha contestato l’ “inerenza” del costo in quanto tale, ma ha ritenuto di considerarlo solo parzialmente inerente, peraltro svalutando l’allegazione erariale in considerazione delle controprove della società contribuente in ordine alla “produttività” in concreto della spesa promozionale, anche con riguardo ai destinatari del suo messaggio ed agli effetti espansivi dei ricavi ottenuti.
Il ricorso va dunque rigettato.
Nulla per le spese stante la mancata difesa della società contribuente intimata.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714 – 01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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