CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 dicembre 2017, n. 28916
Accertamento – Irpef – Plusvalenza non dichiarata – Cessione terreno edificabile – art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 – Raddoppio dei termini per l’accertamento – Verificabilità
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di M.M. (che resiste, con controricorso e ricorso incidentale), avverso la sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano n. 13/01/16, depositata in data 29/02/2016, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IRPEF, per il periodo d’imposta 2003, scaturito dalla non dichiarata plusvalenza asseritamente realizzata a seguito della cessione, al comune di Bolzano, di un appezzamento di terreno edificabile, – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente, stante l’inapplicabilità, nel caso di specie, del raddoppio del termine di decadenza per l’accertamento, introdotto dall’art. 37, comma 24, DL. n. 223/2006, pur avendo i giudici della C.T. di primo grado anche espresso valutazioni sulla (virtuale) fondatezza nel merito della pretesa impositiva.
In particolare, i giudici della C.T. di secondo grado hanno rigettato il gravame principale proposto dall’Agenzia, affermando che il raddoppio dei termini per l’accertamento fosse applicabile solo in relazione al reato di occultamento e distruzione delle scritture contabili e non anche in relazione a quello di dichiarazione infedele, in quanto quest’ultimo reato, segnalato nuovamente dall’Agenzia nel 2012, era stato già archiviato dalla Procura della Repubblica, per prescrizione, cosicché l’Ufficio non poteva “attendersi alcuna acquisizione di “elementi istruttori” ulteriori”; ad avviso dei giudici della C.T. di secondo grado, non era ipotizzabile, nella fattispecie, neppure il reato di occultamento e distruzione delle scritture contabili. In definitiva, ricorreva nel caso di specie un utilizzo “strumentale” della denuncia penale, da parte dell’Ufficio.
I giudici di appello hanno quindi rigettato anche il gravame incidentale della contribuente (proposto avverso alcune affermazioni contenute nella decisione di primo grado), sostenendo la fondatezza, nel merito, della pretesa erariale, sul presupposto dell’esistenza di due sentenze che, negando l’imputabilità della plusvalenza predetta al periodo d’imposta 2002, la ricollegavano, appunto, al 2003.
A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.
Ragioni della decisione
1. La ricorrente principale lamenta, con l’unico motivo di ricorso, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 del c.p.c., considerato che l’obbligo di denuncia deve ricorrere al momento in cui si è verificata la violazione (dunque al momento della presentazione della dichiarazione infedele) e non al momento dell’accertamento, con la conseguenza che nessuna rilevanza poteva avere il fatto che quando era stato emesso l’avviso non vi fosse più l’obbligo giuridico di sporgere denuncia (poiché nel frattempo era maturata la prescrizione penale).
2. La ricorrente incidentale solleva tre motivi, lamentando anzitutto (secondo motivo) la nullità della sentenza, ex art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 187 c.p.c., essendosi i giudici di appello, malgrado il rigetto del gravame principale, con conferma della declaratoria di illegittimità dell’avviso di accertamento per questione preliminare/pregiudiziale (decadenza dell’Amministrazione finanziaria dalla potestà accertatrice), pronunciati anche sul merito della pretesa impositiva, respingendo il gravame incidentale della contribuente. Con ulteriori motivi, la ricorrente incidentale denuncia la violazione di legge posta in essere dalla C.T.R. in relazione agli art. 36 comma 2 dl. 223/2006 e 67 del TUIR, per non avere considerato che, al momento della cessione del terreno (nel 2002), lo stesso non era divenuto edificabile, con conseguente insussistenza di plusvalenza tassabile, ed all’art. 68 del TUIR, non avendo i giudici della C.T.R. rilevato che la plusvalenza doveva essere al più assoggettata a tassazione nel 2002.
3. La censura del ricorso principale è fondata.
L’art. 37 dl 223/2006, al comma 24, ha modificato l’art. 43 d.p.r. 600/1973, in base alla previsione che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti [cioè gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento] sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.
Richiamato quanto precisato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 247/2011, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità del combinato disposto dell’art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 37, comma 26, del dl. n. 223 del 2006 (convertito nella legge n. 248 del 2006), è stato ritenuto da questa Corte che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 9974/2015; Cass. 20043/2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016; cfr. Cass. n. 26037/2016; Cfr. anche Cass.16728/16 sui successivi interventi legislativi di cui al d.lgs. 128/2015 ed alla I. 208/2015).
Questa Corte ha quindi chiarito (Cass.13483/2016) che “in materia tributaria, la soglia di rilevanza penale di cui all’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente “ratione temporis”, relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, va valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento, non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine”.
Ora, i giudici della C.T.R. dovevano verificare la sussistenza dei presupposti del reato che qui interessa, di dichiarazione infedele, nell’anno 2004 (in relazione ai redditi del 2003), quando il termine per l’accertamento aveva iniziato a decorrere, non avendo alcun rilievo il fatto che, nel 2012, fossero venuti meno i presupposti dell’obbligo di denuncia, per prescrizione del reato (già oggetto, per tale motivo, di archiviazione, nel 2010).
3. Il ricorso incidentale è assorbito.
4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso principale, assorbiti i restanti motivi ed il ricorso incidentale, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla C.T. di II° grado di Bolzano, in diversa composizione per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, assorbiti i restanti motivi ed il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T. di II° grado di Bolzano in diversa composizio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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