CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 settembre 2017, n. 20738
Liquidazione coatta amministrativa – Ammissione al passivo – Credito per somme destinate al Fondo Integrativo Pensioni – Credito di natura previdenziale – Natura dei versamenti effettuati dal datore di lavoro – Carattere previdenziale non retributivo – Escluso meccanismo di rivalutazione proprio dei crediti di lavoro
Rilevato
Che N.G. propose dinanzi al Tribunale di Palermo opposizione allo stato passivo della S. s.p.a., società in liquidazione coatta amministrativa, dolendosi del parziale rigetto della domanda volta ad ottenere l’ammissione, allo stato passivo della S., del credito avente ad oggetto le somme, versate da lui o per suo conto, nel Fondo Integrativo Pensioni, ivi comprese quelle poste a carico del datore di lavoro.
che il Tribunale accolse la domanda e ammise al passivo della liquidazione il credito vantato dal ricorrente, a titolo di riscatto della sua posizione individuale, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, e la sentenza, impugnata dalla S., fu confermata dalla Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 29 maggio 2014 sulla base del precedente di questa Corte dell’11 dicembre 2002, n. 17657.
che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la S. s.p.a., sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il G.
Le parti hanno depositato memorie e S. s.p.a. ha dichiarato di rinunciare ai primi due motivi di ricorso.
che il P.G. non ha depositato conclusioni;
Considerato
Che con il primo motivo di ricorso la S. s.p.a. denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 10 del d.lgs. n. 124/1993; con il secondo motivo censura la sentenza per violazione degli artt. 1362 e ss. c.c., con riferimento agli artt. 4 e 7 del FIP che escludono la riscattabilità a favore dell’iscritto dell’intera contribuzione affluita al Fondo.
che tali primi due motivi hanno formato oggetto di rinunzia in seno alla memoria illustrativa in ossequio alla sentenza delle Sezioni Unite n. 477/2015 intervenuta in argomento;
che la rinuncia ad alcuni motivi di ricorso (vd. Cass n. 11154 del 15/05/2006) a differenza della rinuncia al ricorso per cassazione, non esige un ulteriore speciale mandato o, in mancanza di esso, la sottoscrizione anche della parte, ma è rimessa alla discrezionalità tecnico-professionale del difensore, non realizzandosi in tal modo alcuno svuotamento sostanziale dell’impugnazione, attuato mediante un aggiramento della disciplina di cui all’art. 390 cod. proc. civ. (che richiede non solo il consenso “attivo” della parte, ma anche l’acquiescenza della controparte), bensì una gestione pienamente discrezionale dell’impugnazione, dovuta a ragioni tecniche, e spesso necessaria per corrispondere ai mutamenti intervenuti negli orientamenti giurisprudenziali tra la proposizione del ricorso e la sua discussione in udienza pubblica; pertanto questa Corte non deve pronunciarsi sui primi due motivi di ricorso in quanto rinunziati;
che, con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 429, comma 3°, c.p.c. al credito relativo alla contribuzione versata al fondo, suscettibile di riscatto ed assume che tale credito ha indubbiamente natura previdenziale con la conseguenza che non può essere riconosciuto il cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria, “quanto meno a far tempo dall’1 settembre 1985 (cfr. art. 1, comma 194 legge n. 662/1996)”, momento a partire dal quale si era marcata irreversibilmente la distinzione tra retribuzione differita con funzione previdenziale e accreditamenti per la previdenza integrativa, di natura previdenziale a tutti gli effetti;
che tale motivo è infondato posto che con sentenza del 9 marzo 2015, n. 4684, le Sezioni Unite di questa Corte hanno risolto il contrasto esistente in seno alla Suprema Corte, concernente la natura dei versamenti effettuati dal datore di lavoro alla previdenza integrativa o complementare (e quindi la loro commutabilità o non ai fini del trattamento di fine rapporto e dell’indennità di anzianità), affermandone il carattere previdenziale non retributivo (ed escludendone la computabilità);
che la Corte, dopo aver individuato la linea di demarcazione tra previdenza obbligatoria (ex lege) e previdenza integrativa o complementare (ex contractu) nel carattere generale, necessario e non eludibile della prima, a fronte della natura eventuale delle garanzie della seconda, che sono fonte di prestazioni aggiuntive rivolte a vantaggio esclusivo delle categorie di lavoratori aderenti ai patti incrementativi dei trattamenti ordinari (e in relazione alla quale non opera il principio dell’automatismo delle prestazioni), ha ritenuto che, anche prima della riforma della previdenza complementare del 1993, i versamenti effettuati in favore dei fondi di previdenza non possono essere considerati di natura retributiva, per la ragione essenziale che gli stessi non sono corrisposti ai dipendenti ma erogati direttamente al fondo;
che tale soluzione, che questo Collegio condivide per l’autorevolezza dell’Organo e la chiarezza del principio, non è tuttavia risolutiva dell’ulteriore questione relativa all’applicabilità del cumulo degli interessi e della rivalutazione al credito maturato dal lavoratore, con riguardo alle somme versate nei fondi integrativi; che la norma di riferimento, invocata dalla ricorrente, è contenuta nell’art. 16, comma 6°, legge 30 dicembre 1991 n. 412, che ha disciplinato il regime degli accessori inerenti alle prestazioni dovute dagli “enti gestori di forme di previdenza obbligatoria”: essa dispone, in primo luogo (primo periodo), che tali enti “sono tenuti a corrispondere gli interessi legali… a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda” e, in secondo luogo (periodo), che “l’importo dovuto a titolo di interessi è portato in detrazione delle somme eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno subito dal titolare della prestazione per la diminuzione del valore del suo credito”. Con quest’ultima disposizione è stato sancito il cosiddetto “divieto di cumulo” fra interessi legali e rivalutazione monetaria riguardo alle prestazioni erogate in ritardo dagli enti suddetti, con la conseguenza che la mora deve essere risarcita mediante la corresponsione della maggior somma risultante dal calcolo degli interessi e dal calcolo della rivalutazione;
che le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 15 ottobre 2002, n. 14617) hanno chiarito la ratio di questa disciplina, precisando che essa è stata dettata per assolvere ad una funzione riequilibratrice e di contenimento della maggiore spesa cui erano stati sottoposti gli enti previdenziali per effetto della estensione, riguardo ai crediti per accessori sulle prestazioni da essi erogate in ritardo, del meccanismo di rivalutazione proprio dei crediti di lavoro, imposto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 12 aprile 1991; che funzione riequilibratrice all’art. 16 cit. è stata poi riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale nella successiva sentenza n. 361 del 24 ottobre 1996 – dichiarativa della infondatezza della questione di legittimità dell’art. 16, sesto comma, della legge n. 412/1991 -in cui si è precisato che “l’art. 38 della Costituzione non esclude la possibilità di un intervento legislativo che, per una inderogabile esigenza di contenimento della spesa pubblica, riduca un trattamento pensionistico” e, a maggior ragione, “gli accessori del credito”, essendosi manifestata, “dopo la sentenza n. 156 dell’8-12 aprile 1991, in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica, la necessità di un’adeguata ponderazione dell’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica”;
che è poi intervenuto l’art. 22, comma 36°, seconda parte, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, che ha esteso la disciplina dettata dall’art. 16, sesto comma, legge 412/1991 “anche agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza”; che tale disposizione è stata oggetto di un nuovo intervento della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 459 del 2 novembre 2000, ha rilevato il contrasto della norma con l’art. 36 Cost. relativamente ai rapporti di lavoro subordinato privato, dichiarando l’illegittimità costituzionale della norma medesima limitatamente alle parole “e privati”;
che, dunque, l’art. 16, sesto comma, l. 30 dicembre 1991 n. 412, nella parte in cui prevede, nel primo periodo, l’obbligo per “gli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria” di pagare gli interessi legali in caso di ritardo, oltre il termine fissato dalla legge, nell’adempimento delle “prestazioni dovute”, costituisce il presupposto per la statuizione contenuta nel secondo periodo, ossia per l’operatività del divieto di cumulo ed il primo dato che si trae dalla relativa formulazione è che la norma fa riferimento a prestazioni erogate da “enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria” (Cass. Sez. Un., n. 14617/2002, cit.).
che il secondo dato è costituito dalla natura della prestazione posto che, quanto alla decorrenza degli interessi, si fa riferimento alla “data di scadenza del termine previsto per l’adozione del provvedimento sulla domanda” e ciò induce ad interpretare la norma nel senso che le prestazioni debbono essere individuate in quelle erogate previa domanda proposta dall’interessato, proprietà questa che accede (soltanto) alle obbligazioni pecuniarie aventi natura previdenziale e non anche a quelle aventi natura retributiva;
che ne consegue che le prestazioni cui deve applicarsi il disposto dell’art. 16 I. cit.,”non possano che essere quelle riferentesi a crediti previdenziali vantati dagli assicurati nei confronti degli enti gestori delle forme di previdenza obbligatoria” (Cass. Sez. Un. n. 14617/2002, cit., cui adde Cass., 21 ottobre 1997, n. 10355) e non vi è dubbio che il Fondo della S. s.p.a. ha natura privatistica e che le relative prestazioni non rientrano tra le prestazioni previdenziali a carattere obbligatorio, per cui deve ritenersi che si è fuori dall’ambito di applicazione dell’art. 16, comma 6°, I. cit. (Così Cass. 28 ottobre 2008, n. 5889 in una fattispecie relativa a trattamento pensionistico integrativo corrisposto dal Fondo costituito dalla B. di R. s.p.a.);
che, dunque, il ricorso, ridotto a seguito della rinunzia al solo terzo motivo, va rigettato;
che l’obbiettiva controvertibilità della questione esaminata, attestata dai contrasti giurisprudenziali anche di questa Corte, solo di recente composti dall’intervento delle Sezioni Unite, giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio; che sussistono la condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.p.r 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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