CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2017, n. 16634
Tributi locali – TARSU – Accertamento – Esercizi alberghieri – Tariffa
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del dl. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e dato atto che la ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 7669/50/2015, depositata il 28 luglio 2015, la CTR della Campania ha rigettato l’appello proposto nei confronti del Comune di Forio dalla società C.M. Hotels di R.B. & C. S.a.s. (di seguito società), avverso la sentenza della CTP di Napoli, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso avviso di accertamento per Tariffa gestione dei rifiuti solidi urbani e assimilati dovuta per l’anno 2012.
Avverso la pronuncia della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrato da memoria.
Il Comune di Forio resiste con controricorso.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296/2006, dell’art. 7 della legge n. 212/2000, dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e dell’art. 24 della Costituzione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., assumendo l’erroneità in diritto della pronuncia impugnata nella parte in cui ha escluso la necessità di allegazione all’atto impositivo delle delibere comunali in esso richiamate.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 158/1999 e dell’art. 42 lett. f) del d. lgs. n. 267/2000, in combinato disposto con l’art. 49, comma 8, del d. lgs. n. 22/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, c.p.c., lamentando la mancata e/o illegittima e/o erronea determinazione del tributo, essendo state le tariffe vigenti nel 2010 approvate con delibera di Giunta municipale, non potendo ritenersi legittima al 2012 l’estensione delle medesime tariffe deliberate da organo incompetente, in ragione di semplice ratifica da parte del Consiglio comunale relativa peraltro all’anno precedente.
Con il terzo motivo la società censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 238 del d. lgs. n. 152/2006, violazione dell’art. 49, commi 9, 13 e 15 del d. lgs. n. 22/1997 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. con riferimento alla mancata applicazione e riscossione della tariffa da parte del soggetto gestore.
Con il quarto motivo, infine, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 68 del d. lgs. n. 507/1993 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per illegittima determinazione ed applicazione di tariffe spropositate per gli alberghi.
Preliminarmente all’esame dei motivi di ricorso deve essere delibata l’eccezione del Comune controricorrente d’inammissibilità dell’avverso ricorso per nullità della procura.
Diversamente da quanto prospettato nella proposta del relatore depositata in atti, l’eccezione, alla stregua della più recente giurisprudenza di questa Corte in materia, alla quale il collegio ritiene di dover assicurare ulteriore continuità, va rigettata.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 novembre 2013, n. 25036), innovando rispetto all’indirizzo espresso nelle pronunce citate nella richiamata proposta, hanno affermato il principio secondo cui «la procura speciale alle liti, rilasciata, per conto di una società esattamente indicata con la sua denominazione, con sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, né dall’intestazione dell’atto a margine o in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese, è affetta da nullità relativa, che la controparte può tempestivamente opporre ex art. 157 c.p.c., onerando così, l’istante, d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione, difettando la quale, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede» (si vedano anche, più di recente, Cass. sez. 3, 27 ottobre 2015, n. 21780; Cass. sez. 3, 10 aprile 2015, n. 7179; Cass. sez. 3, 10 ottobre 2014, n. 21405).
Nella fattispecie in esame, con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la ricorrente ha colmato la lacuna del ricorso, nel quale non era indicato il nome del legale rappresentante della società ricorrente, che aveva a sua volta sottoscritto il rilascio della procura al difensore con firma illeggibile, chiarendo che il nominativo del sig. B.R., che compare nella ragione sociale e riportato nel timbro apposto sopra la firma per il conferimento della procura, è quello dell’amministratore e legale rappresentante pro-tempore della società ricorrente.
Il ricorso deve pertanto essere ritenuto ammissibile.
Esso però deve essere rigettato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Il primo motivo è inammissibile (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la sentenza della CTR pronunciato in conformità all’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui « l’onere di allegazione posto a carico dell’amministrazione finanziaria dall’art. 7, comma 1, secondo periodo, della legge 27 luglio 2000, n. 212, dello “altro atto” richiamato nella motivazione dell’avviso di accertamento, ha riferimento agli atti che, rappresentano, appunto, la motivazione della pretesa tributaria che deve essere applicata nell’avviso e non agli atti di carattere normativo o regolamentare che legittimano il potere impositivo e che sono oggetto di conoscenza “legale” da parte del contribuente.
Tale principio, nel contesto di quanto previsto dall’art. 1 comma 162, della legge n. 296/2006, è pacificamente riferibile anche agli avvisi di accertamento emanati dalle amministrazioni comunali (cfr., ad esempio, in tema di ICI, Cass. sez. 5, 24 novembre 2004, n. 22197; Cass. sez. 5, 17 ottobre 2008, n. 25371; Cass. sez. 5, ord. 25 luglio 2012, n. 13106; Cass. sez. 6-5, ord. 3 novembre 2016, n. 22254 e, specificamente, in tema di TARSU, Cass. sez. 6-5, ord. 20 gennaio 2017, n. 1568).
D’altronde, che l’allegazione delle delibere a contenuto normativo non valga in alcun modo ad integrare il requisito motivazionale dell’atto impositivo in tema di TARSU si collega all’ulteriore principio secondo cui «in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all’art. 65 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili» (cfr. Cass. sez. 5, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass. sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044).
Nel caso di specie parte ricorrente non ha offerto, nell’illustrazione del motivo, elementi idonei a sollecitare un mutamento del succitato indirizzo.
Inoltre deve rilevarsi come, costituendo la pubblicazione delle delibere comunali obbligo di legge (art. 124 del d. lgs. n. 267/2000), la circostanza della loro pubblicazione deve presumersi e non costituire oggetto di specifica prova da parte dell’ente.
In relazione al secondo motivo, la pronuncia impugnata non merita censura, anche se ne va parzialmente corretta la motivazione.
Ben ha rilevato la CTR che per il 2011, vi è stata espressa ratifica da parte del Consiglio comunale della delibera di Giunta che aveva, invece, determinato le tariffe per l’anno precedente.
Sennonché nella fattispecie in esame, riguardante il 2012, osserva la ricorrente che sarebbe stata nuovamente delibera di Giunta a fissare le tariffe.
Peraltro, atteso che la stessa ricorrente conferma che per l’anno 2012 non vi è stata variazione della determinazione delle tariffe, in ragione del generale principio di conservazione di efficacia degli atti giuridici, la delibera consiliare del 2011, che risponde alla ratio legis quanto all’individuazione dell’organo competente in tema di disciplina generale delle tariffe, deve ritenersi ugualmente esprimere validamente, in assenza di variazioni, per l’anno oggetto di causa, la volontà del Consiglio in ordine alla specifica competenza ad esso attribuita.
Ugualmente è da ritenersi manifestamente infondato il terzo motivo.
Parte ricorrente assume che, avendo il Comune di Forio deliberato con decorrenza dal 1° gennaio 2005 il passaggio dalla TARSU alla TIA, nelle more dell’attuazione dell’art. 238 del d. lgs. n. 152/2006 l’emissione direttamente da parte del Comune dell’atto impositivo, impugnato dalla società, violerebbe le disposizioni degli artt. 49, commi 9, 13 e 15 del d. lgs. n. 22/1997 che conserverebbero, per effetto del combinato disposto dell’art. 238, comma 11 del citato decreto n. 152/2006 e 10 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, efficacia ultrattiva, per cui, essendo stato affidato il servizio dal 2010 a soggetto terzo (E.E. S.r.l.), doveva ritenersi precluso al soggetto titolare della potestà impositiva il potere di emanare l’avviso di accertamento in contestazione.
La disposizione di cui all’art. 49 comma 9 del d. lgs. n. 22/1997, laddove stabilisce che «la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare» deve intendersi in primo luogo riferita al potere dovere del gestore di emettere le relative bollette per la fatturazione del servizio, ma non certo preclusiva, in assenza di specifico divieto, del potere di accertamento del mancato versamento dell’imposta dovuta, spettante all’ente impositore (cfr. già, sia pur in fattispecie non esattamente sovrapponibile, Cass. sez. 5, 27 febbraio 2013, n. 4893), non rilevando, in relazione all’oggetto del contendere nel presente giudizio, le ulteriori disposizioni di cui allo stesso art. 49, commi 13 e 15 del d. lgs n. 22/1997, riferiti all’attività di riscossione.
Infine il quarto motivo deve ritenersi inammissibile (cfr. la già citata Cass. sez. un. n. 7155/2017), avendo la decisione impugnata pronunciato secondo l’indirizzo consolidato espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo cui «è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di rifiuti di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia», dovendo essere riferiti gli elementi di riscontro della legittimità delle determinazioni tariffarie «non alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass. sez. 5, 28 maggio 2008, n. 13957; Cass. sez. 5, 12 gennaio 2010, n. 302; Cass. sez. 5, 15 luglio 2015, n. 14758; Cass. sez. 6-5, ord. nn. 22115 e 22116 depositate il 31 ottobre 2016; Cass. sez. 6-5, ord. 3 novembre 2016, n. 22248; Cass. sez. 6-5, ord. 24 novembre 2016, n. 24072).
Parte ricorrente, infatti, non ha addotto sul piano giuridico argomenti idonei a giustificare un mutamento dell’univoco orientamento espresso da questa Corte in materia, sopra riportato.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 — bis dello stesso articolo 13.
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