CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 aprile 2017, n. 8949
Contratti a tempo determinato – Illegittimità del termine apposto – Lavoratrice della scuola – Risarcimento del danno
Rilevato
Che con sentenza in data 5.6.2012 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Viterbo, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto ai contratti a tempo determinato stipulati, in successione, tra B.T. (lavoratrice della scuola, ATA) e il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) e, per l’effetto, ha condannato l’Amministrazione al risarcimento del danno pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita.
– che avverso tale sentenza il MIUR ha proposto ricorso affidato a due motivi, al quale ha opposto difese la T. con controricorso;
Considerato
Che, con il primo motivo, il Ministero ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge nonché della direttiva 99/70/CE rilevando la specialità e la compatibilità del sistema italiano di reclutamento scolastico con la normativa comunitaria, con conseguente inapplicabilità della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 368 citato nonché insussistenza di abusi nella reiterazione di supplenze (sia annuali che temporanee) in considerazione della necessità di assicurare la continuità del servizio scolastico; che con il secondo motivo, il Ministero ha denunciato violazione degli artt. 18 della legge n. 300 del 1970 e 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 considerata l’erroneità del ricorso alla disciplina dettata per i licenziamenti e la previsione di specifico regime risarcitorio per i casi di stipulazione illegittima di contratti a tempo determinato; che ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso perché, come affermato da questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 26170/2016), per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 commi 1 e 11 della legge 3.5.1999 n. 124 (sentenza n. 187/2016) e in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999, è illegittima, a far tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4 citato, prima dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015 n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico (c.d. organico di diritto), sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi; che come risulta dalla motivazione della sentenza impugnata, la lavoratrice è stata destinataria di supplenze su organico di diritto negli anni scolastici 2003/2004, 2004/2005, 2005/2006 e 2006/2007 (pag. 12 della sentenza impugnata); la reiterazione sembrerebbe, dunque, abusiva poiché sembrerebbe protratta oltre il limite dei trentasei mesi, ed è stata finalizzata alla copertura di posti vacanti della pianta organica;
– che nessuna delle parti è stata in grado di precisare quale sia la posizione giuridica attuale della ricorrente, ossia se la stessa sia stata o meno immessa nei ruoli per effetto del meccanismo del c.d. doppio canale ovvero dei piani di assunzione previsti dagli interventi normativi richiamati di cui alla legge n. 107/2015;
– che l’accertamento di fatto si impone, ai fini della decisione della controversia, perché la stabilizzazione del rapporto, seppure avvenuta in corso di causa, deve ritenersi misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”;
– che, viceversa, in caso di mancata immissione in ruolo, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella sentenza delle SSUU di questa Corte n. 5072 del 2016 (vd. punto 123 di Cass. 22552/16).
– che i suddetti accertamenti debbono essere, dunque, demandati al giudice di merito, che, all’esito, statuirà sulle domande proposte dalla lavoratrice, attenendosi ai principi di diritto enunciati e pronunciando anche sulle spese del giudizio di legittimità.
– che non sussistono la condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma.
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