CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 dicembre 2017, n. 29193

Imposte locali – ICI – Accertamento – Immobili – Aree pertinenziali – Autonoma tassabilità – Rendita catastale

Rilevato

che la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con l’impugnata sentenza n. 3/15/10, depositata l’11/1/2010, respingeva l’appello proposto da G. G., F. V. e M. G. G., e confermava la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Como, che aveva disatteso le deduzioni dei contribuenti, i quali si erano opposti agli avvisi di liquidazione della imposta comunale sugli immobili (ICI), per le annualità 2000, 2001, 2002 e 2003, relativamente ad immobili siti nel Comune di Lurago Marinone;

che, secondo il Giudice di appello, i contribuenti non hanno dimostrato che l’area edificabile distinta con la partita n. 1286 costituisce pertinenza del fabbricato di Via Verdi (insistente sul terreno edificabile mappale 2119) , come tale non soggetta ad ICI, né hanno presentato al Comune alcuna dichiarazione di rettifica, fornendo dimostrazione del preteso vincolo di pertinenzialità, che inoltre non è provata la mancata affissione delle rendite recepite negli atti impositivi all’albo pretorio, che infine essendo state attribuite le stesse antecedentemente al 1 gennaio 2000, ed assunte in atti in data 6/11/1999, il Comune aveva correttamente applicato il comma 3, anziché il comma 1, dell’art. 74, L. n. 342 del 2000;

che avverso la sentenza M. G. G. e G. G., in proprio e quali eredi di F. V., propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, mentre l’intimato Comune resiste con controricorso e propone ricorso incidentale.

Considerato

che con il primo motivo i ricorrenti assumono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione, giacché la C.T.R. ha respinto il gravame con argomentazioni “condensat(e) in dieci righe”, nonostante la doglianza concernente l’area edificabile distinta con la partita n. 1286 non fosse affatto formulata genericamente, contrariamente a quanto ritenuto dal giudicante, e neppure contestata la suddetta qualità dell’area, risultando indicata nella dichiarazione ICI per l’anno 2003, essendo l’area divenuta pertinenza del fabbricato di Via Verdi, sito in Lurago Marinone, una volta edificato quest’ultimo, ed evidenziano che per detto cespite è stata regolarmente corrisposta l’imposta in questione, sicché la pretesa del Comune si risolve in una illegittima “doppia imposizione”;

che la censura non merita accoglimento, in quanto la motivazione della impugnata sentenza, ancorché sintetica, appare esaustiva, e soprattutto corretta, avendo il Giudice di appello disatteso la tesi dei contribuenti basata sulla natura pertinenziale dell’area in questione rispetto al fabbricato di Via Verdi, in difetto dei presupposti per considerare tale l’area adiacente al fabbricato edificato dai contribuenti, essendo essi onerati della relativa dimostrazione, e per non avere “presentato al Comune una dichiarazione ICI di rettifica e gli atti catastali a dimostrazione che la partita in contestazione costituisce effettivamente pertinenza del terreno edificabile mapp. 2119”;

che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esclusione dell’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, prevista dall’art. 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si fonda sull’accertamento rigoroso dei presupposti di cui all’art. 817 c.c., desumibili da concreti segni esteriori dimostrativi della volontà del titolare, consistenti nel fatto oggettivo che il bene sia effettivamente posto, da parte del proprietario del fabbricato principale, a servizio (o ad ornamento) del fabbricato medesimo e che non sia possibile una diversa destinazione senza radicale trasformazione, poiché, altrimenti, sarebbe agevole per il proprietario al mero fine di godere dell’esenzione creare una destinazione pertinenziale che possa facilmente cessare senza determinare una radicale trasformazione dell’immobile stesso” (Cass. n. 15668/2017, n. 9790/2013, n. 25170/2013, n. 22128/2010, n. 22844/2010, n. 25127/2009);

che se può senz’altro convenirsi con i ricorrenti sul fatto che il trattamento fiscale delle porzioni immobiliari asservite ad immobile principale rende di per sé irrilevante il regime di edificabilità attribuito dallo strumento edificatorio (Cass. n.19735/2003, n. 6501/2005, n.19638/2009, n. 14809/2010), occorre tuttavia pur sempre ancorare la asserita natura pertinenziale alla verifica in concreto dei presupposti oggettivi e soggettivi di cui all’art. 817 c.c. (Cass. 6501/2005), ovvero all’effettivo collegamento funzionale con il bene principale, per volontà del proprietario di destinare la pertinenza a ornamento o servizio di quest’ultimo, nessun rilievo assumendo l’autonomo classamento dell’unità pertinenziale, con attribuzione di distinta rendita catastale, poiché ciò che conta è soprattutto la situazione di fatto; che la CTR si è conformata ai suesposti principi in quanto, con un puntuale e logico giudizio di fatto, che non è censurabile in questa sede, ha motivatamente escluso la ricorrenza in concreto di siffatta situazione, per difetto di prova, e del resto nulla si dice in ricorso circa la presenza di segni precisi di una destinazione complementare e funzionale del terreno all’uso del fabbricato, né di altri indicatori del riferito asservimento degli spazi circostanti il fabbricato medesimo, dei quali neppure si conoscono le dimensioni in rapporto a quelle del fabbricato, mentre è appena il caso di evidenziare che, come pure ricordato nella impugnata decisione, ai sensi dell’ art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 540 del 1992, sussisteva in capo ai proprietari dell’area fabbricabile l’obbligo di effettuare nuove dichiarazioni in caso di modificazioni dei dati od elementi dichiarati, cui consegua un diverso ammontare dell’imposta, essendo onere del soggetto interessato la denuncia di siffatte modificazioni, incidenti sul valore del cespite, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le modificazioni si sono verificate;

che con il secondo motivo assumono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione dell’art. 74, comma 1, L. n. 342 del 2000, riguardo alle rendite catastali applicate, essendo sfuggito alla C.T.R. che il Comune era tenuto a procedere all’affissione all’albo pretorio delle rendite attribuite dall’Ufficio del Territorio, prova che viceversa non ha fornito nel corso del giudizio, con conseguente nullità degli atti impositivi;

che tale censura va disattesa anzitutto perché inammissibile, in quanto la decisione della C.T.R. si fonda sull’affermazione, non adeguatamente contrastata dai contribuenti, che nella specie si tratta “di rendite attribuite antecedentemente al 1 gennaio 2000, ed assunte agli atti in data 6/11/1999”, ed i ricorrenti non solo non colgono la ratio dedicendi, ma insistono nel riproporre argomenti, incentrati sulla omessa affissione nell’albo pretorio, la cui fondatezza già risulta confutata dai giudici di merito;

che la censura è in ogni caso infondata in quanto la sentenza impugnata si pone in linea con l’orientamento più volte espresso da questa Corte secondo cui “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’art. 74, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 342 va interpretato nel senso che, qualora la rendita catastale sia stata attribuita entro il 31 dicembre 1999 (ed è questo il caso) e l’atto impositivo che la recepisce venga notificato successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 342 cit. (10 dicembre 2000), soltanto con tale notificazione il contribuente acquisisce piena conoscenza di detta attribuzione (laddove, fino al 31 dicembre 1999, era sufficiente l’affissione all’albo pretorio), con la conseguenza che dalla data della notificazione il contribuente è legittimato ad impugnare non solo la determinazione del tributo, ma anche quella della rendita senza che assuma alcun rilievo la circostanza che l’attività di liquidazione non sia preceduta dalla comunicazione del classamento definitivo, sia perché la stessa è imposta al competente ufficio tecnico (prima UTE e poi Agenzia del Territorio) e non già al comune, ente del tutto estraneo all’adozione dell’afferente provvedimento, sia perché l’omissione non inficia in alcun modo l’attività del comune, costituendo la notificazione, ai sensi dell’art. 74 della legge n. 342 cit., condizione di efficacia solo degli atti fondati sull’attribuzione della rendita catastale decorrente dal 1 gennaio 2000, mentre per quelli fondati su rendita attribuita entro il 31 dicembre 1999 (come nella specie) l’imposta dovuta in base al classamento, che il comune può legittimamente richiedere, ha effetto dalla data di adozione e non da quella di notificazione (Cass. n. 2952/2010, n. 10801/2010, n. 5623/2015)”; che nella fattispecie in esame assume rilievo il fatto che i contribuenti non abbiano impugnato la rendita attribuita una volta ricevuta la notifica dell’avviso di accertamento, sicché essi non hanno titolo per dolersi in questo giudizio dell’omessa affissione della rendita nell’albo pretorio (Cass. n. 12277/2017);

che con il motivo di ricorso incidentale il Comune assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, omessa, insufficiente, contraddittoria o illogica motivazione della sentenza di secondo grado in punto di spese di giudizio, giacché la C.T.R. ne ha disposto la integrale compensazione nonostante la soccombenza degli appellanti, non rispondendo l’espressione “considerati i motivi dell’appello” all’obbligo motivazionale imposto al giudice dall’art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 2, L. n. 263 del 2005, applicabile al processo tributario ai sensi dell’art. 15, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992;

che, ai sensi dell’art. 92, secondo 2, c.p.c., pure nel testo applicabile ratione temporis prima della modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. a), della L. n. 263 del 2005 (i ricorsi originari sono stati notificati nel 2005), la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass. n. 7763/2012); che, nella specie, non può ritenersi correttamente assolto l’obbligo del Giudice di appello allorché si richiama sic et simpliciter a motivi impugnatori disattesi sia in primo che in secondo grado anziché, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 20598/2008), a ragioni che “contengano in sé considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali.”; che al rigetto del ricorso principale ed all’accoglimento di quello incidentale segue la cassazione della sentenza impugnata in parte qua con rinvio alla CTR competenze, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e, in relazione al mezzo accolto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, anche per le spese del presente giudizio.