CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 giugno 2017, n. 13997
Rapporto di lavoro – Dipendenti postali – Contratto a termine – Nullità – Conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato
Rilevato
che con sentenza in data 19 marzo 2010 la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato che tra W.R. e Poste Italiane Spa, per nullità dell’apposizione del termine, sono intercorsi “due rapporti di lavoro a tempo indeterminato dal 10.12.01 al 31.1.02 e dal 1.3.03 al 15.1.04”, con prosecuzione giuridica del rapporto dopo il 15.1.2002 e condanna della società a risarcire il danno al lavoratore in misura pari alle retribuzioni spettanti dalla messa in mora del 22.1.04 sino alla scadenza del terzo anno successivo;
che avverso tale sentenza Poste Italiane Spa ha proposto ricorso affidato a plurimi motivi, cui ha opposto difese l’intimato con controricorso, contenente anche ricorso incidentale condizionato;
Considerato
che il ricorso principale censura, con i primi due motivi, esclusivamente la declaratoria di illegittimità del termine apposto al primo contratto, con la conseguenza che l’accertamento della illegittimità del termine apposto al secondo contratto è da considerare passato in cosa giudicata, da cui altresì deriva l’inammissibilità per difetto di interesse di detti motivi di gravame, in quanto le statuizioni relative alla conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato e quelle attinenti le conseguenze risarcitorie sono interamente sorrette dalla illegittimità del termine di cui al secondo contratto, avendo la Corte territoriale dichiarato che il primo rapporto di lavoro si è concluso il 31 gennaio 2002 per una interruzione “tale da far presumere la volontà delle parti di interrompere la collaborazione” (dictum questo non oggetto di alcun gravame);
che il terzo motivo del ricorso principale denuncia violazione ed erronea applicazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, sostenendo che, anche in caso di nullità del termine, l’istante avrebbe diritto, a titolo risarcitorio, alle retribuzioni solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio; a tale motivo si connette, anche la richiesta di applicazione dello ius superveniens costituito dalla I. n. 183 del 2010, art. 32;
che tali censure vanno accolte per quanto di ragione, essendo applicabile lo ius superveniens rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 commi 5, 6 e 7, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (v. fra le altre Cass. 12.8.2015 n. 16763 ed i precedenti ivi richiamati); né rileva l’avvenuta abrogazione dell’art. 32, commi 5 e 6, della legge n. 183/2010 ad opera dell’art. 55, lett. f, del d.lgs 15 giugno 2015 n. 81 (da ultimo Cass. n. 7132 del 2016);
che le Sezioni unite di questa Corte, con la sent. n. 21691 del 2016, hanno statuito che “in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico”; hanno altresì chiarito che “il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta retroattiva incontra il limite del giudicato, che, tuttavia, ove sia stato proposto appello, sebbene limitatamente al capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile in ordine al capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto degli artt. 329, comma 2, e 336, comma 1, c.p.c., l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente”;
che pertanto non vi è giudicato sulle conseguenze risarcitorie sino a quando resta impugnato l’an sulla illegittimità del termine ed ove questa statuizione venga confermata occorre tenere conto dell’art. 32 della I. n. 183 del 2010, affinché la decisione adottata sia conforme all’ordinamento giuridico;
che, pertanto, respinti gli altri motivi di ricorso, va accolto l’ultimo nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e con rinvio per il riesame, sul punto, alla Corte di Appello indicata in dispositivo, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine (cfr. per tutte Cass. n. 3062 del 2016), provvedendo altresì alle spese del giudizio;
che tale cassazione assorbe il ricorso incidentale proposto in via subordinata dal lavoratore perché esso attiene appunto alle conseguenze risarcitorie derivanti dalla dichiarata illegittimità del termine, ancora sub iudice;
P.Q.M.
Accoglie il motivo concernente l’applicazione dell’art. 32 della I. n. 183 del 2010, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
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