CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 ottobre 2017, n. 23388
Tributi – Accertamento – Emissione di nuovi avvisi di accertamento con pretesa tributaria maggiore – Assenza di nuovi elementi – Nullità
Fatti di causa
Si espone nella narrativa della sentenza impugnata che successivamente all’emanazione di avvisi di accertamento nei confronti della società, allora in bonis, per gli anni, tra gli altri, 2003 e 2004, l’Agenzia delle entrate, in base ai medesimi verbali dai quali questi avvisi erano scaturiti, rinotificò gli avvisi, recuperando maggiore materia imponibile.
La società li impugnò, ottenendone l’annullamento dalla Commissione di primo grado; quella regionale ha respinto l’appello dell’Agenzia, osservando che gli avvisi in questione, basati non su nuovi elementi, bensì su una diversa e più approfondita valutazione di quelli esistenti, non giustificano la pretesa impositiva, in quanto non è risultata dimostata la percezione dei maggiori ricavi che ne hanno costituito oggetto.
Contro questa sentenza l’Agenzia propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui non v’è replica.
Ragioni della decisione
1. – Infondato è il primo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia si duole, ex art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c., della nullità della sentenza, là dove il giudice del gravame non ha esaminato l’eccezione, proposta in appello, con la quale l’Ufficio denunciava la nullità della sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione, dovuto alla copia acritica delle deduzioni difensive.
La decisione di accoglimento della domanda della parte e, analogamente, il rigetto del successivo appello della controparte comportano anche la reiezione dell’eccezione d’inammissibilità della domanda introduttiva, senza che, in assenza di specifica argomentazioni, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia: si deve ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (in termini, fra varie, vedi Cass. 11 settembre 2015, n. 17956).
1.1. – A tanto, nel merito, va aggiunto che la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari, senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo. In base alle disposizioni costituzionali e processuali tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, n. 642; conf., tra varie, Cass., ord. 7 novembre 2016, n. 22562).
2. – Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, col quale l’Ufficio lamenta, sempre ex art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza, per l’apparenza della sua motivazione, dovuta all’acritico recepimento della motivazione di primo grado.
Questa Corte ha già avuto molteplici occasioni per chiarire che, in tema di processo tributario, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della Commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la Commissione a disattenderle; si deve aver riguardo ad una sentenza con la quale il giudice si sia limitato a motivare per relationem alla pronuncia impugnata mediante la mera adesione ad essa, in modo che resti impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (tra varie, Cass., ord. 15 giugno 2017, n. 16684).
2.1. – Il che non s’è verificato nel caso in esame, in cui il giudice d’appello ha dato conto del percorso seguito dal giudice di primo grado, delle censure sviluppate in appello, in relazione alle quali ha aggiunto che la percezione di maggiori ricavi è da ritenere soltanto presunta e non già dimostrata.
3. – Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 41 – bis e 43 del d.P.R. n. 600/73, nonché dell’art. 2697 c.c.
La censura è inammissibile sotto il profilo della violazione degli artt. 41 – bis e 43 del d.P.R. n. 600/73. La ricorrente non individua alcuna statuizione contraria a legge della sentenza impugnata, con la quale, difatti, il giudice d’appello si è limitato a constatare che l’Ufficio ha posto a sostegno degli avvisi non già nuovi elementi, bensì una diversa e più approfondita valutazione di quelli già esistenti.
3.1. – Essa è, poi, inammissibile per il profilo concernente la violazione dell’art. 2697 c.c., là dove il giudice d’appello ha reputato non dimostrata la pretesa impositiva: non di violazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio si tratta, bensì di valutazione del materiale probatorio, l’erroneità della quale rimane a questi estranea.
4. – Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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