CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 dicembre 2016, n. 25253
Irpef – Domanda di rimborso – Ritenute su incentivo alle dimissioni
Fatto e diritto
Ritenuto che, a sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“E’Agenzia delle Entrate ricorre contro I. A. per la cassatone della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale Campania, confermando la sentenza della CTP di Napoli (…), ha accolto la domanda di rimborso IRPEF avanzata dal contribuente con riferimento alle ritenute effettuate dal suo datore di lavoro sulle somme corrisposte quale incentivo alle dimissioni; domanda basata sul contrasto – accertato con la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 21.7.05, in causa C-207/04 – tra la Direttiva comunitaria 76/207 CE e la disposizione dettata dall’articolo 19, comma 4 bis, TUIR. (…) L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo. La parte contribuente non si e difesa. Il ricorso — ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. (…).- può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.. Con l’unico mezzo di ricorso la difesa erariale censura la sentenza gravata, denunciando la violazione dell’articolo 38 DPR 602/73 in cui la Commissione Tributaria Ragionale sarebbe incorsa ancorando la decorrenza del termine decadenziale previsto da tale disposizione non alla data del versamento indebito ma alla data del deposito della pronuncia della Corte di Giustizia Europea con cui era stata dichiarata la contrarietà al diritto eurounitario della disciplina nazionale ed in specie della disciplina di tassazione agevolata prevista nell’art. 19 TUIR, Il motivo e fondato e da accogliersi. A tal proposito, basti qui evidenziare che la questione di diritto proposta dalla presente causa e stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13676/14, che ha affermato il principio che, nel caso in cui un’imposta venga dichiarata incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, il termine di decadenza previsto dalla normativa tributaria (per le imposte sui redditi, articolo 38 d.P.R. n. 602 del 1973 che si applica a tutte le ipotesi di indebito) per l’esercizio del diritto al rimborso, attraverso la presentazione di apposita istanza, decorre dalla data del versamento dell’imposta e non da quella, successiva, in cui è intervenuta la pronuncia che ha sancito la contrarietà della stessa all’ordinamento comunitario. Per quanto non abbiano espressamente risolto anche la ulteriore questione della prospettata decorrenza del periodo decadenziale dalla data del recepimento della direttiva comunitaria nella disciplina nazionale, le Sezioni Unite della Corte hanno utilmente rammentato (e quindi chiaramente convalidato) che, con riferimento all’anzidetto problema questa Corte, aveva già avuto occasione di affermare “che: a) il principio posto dall’art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione “comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” – il quale e da ritenersi applicabile anche alla decadenza – deve essere inteso “con riferimento alla [sola] possibilità legale, non influendo sul decorso della prescrittone, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilita di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto” (Relazione al codice, § 1198) (Cass. n. 10231 del 1998, che richiama Cass. n. 9151 del 1991); b) tra gli impedimenti “di fatto ” va annoverato anche l’ostacolo all’esercizio di un diritto rappresentato dalla presenta di una norma costituzionalmente illegittima, in quanto chi si ritenga leso da tale limitazione ha il potere di percorrere la via dell’instaurazione di un giudizio e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione; se subisce passivamente detto impedimento, non può sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi; c) a maggior ragione, non può essere ravvisato un impedimento “legale”, come tale idoneo ad incidere sulla decorrenza della prescrizione, nella presenza di una norma di diritto nazionale incompatibile con il diritto comunitario, posto che – mentre l’accertamento della illegittimità costituzionale di una norma e riservato ad un organo diverso dall’autorità giurisdizionale, con la conseguenza che, quando la questione sia sollevata nel corso di un giudizio, esso deve essere sospeso fino a quando la questione non sia decisa (art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87) – il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria può essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, e tenuto a non darle applicazione, anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 10231 del 1998, cit., 7176 del 1999 e succ.; cfr., anche, Cass. n. 18276 del 2004)”. Anche nella specie di causa deve darsi continuità ai principi espressi e richiamati dalla menzionata pronuncia delle sezioni unite, sicché non resta che concludere che il ricorso merita accoglimento, con la cassazione della sentenza gravata; poiché da tale ultima sentenza risulta che la domanda di rimborso del contribuente (8.3.2009) era intervenuta oltre 48 mesi dopo l’effettuazione della ritenuta alla fonte che ne costituiva l’oggetto (anno 2003), la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda medesima. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza”-
Rilevato che, a seguito della notifica della relazione, non è stata depositata alcuna memoria; che la causa è stata riassegnata ad altro relatore con decreto del 7 settembre ’16;
osservato che la difesa erariale ha rinnovato tempestivamente la notificazione del ricorso a mente di SU/14594/2016; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta fondatezza del ricorso, per tutte le ragioni sopra indicate nella relazione stessa;
considerato che da tutto ciò consegue il rigetto della domanda introduttiva essendo pacifiche le circostanze di fatto; che il recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità consente l’integrale compensazione di tutte le spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva; dichiara compensate le spese.
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