CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 dicembre 2017, n. 29380
Imposte indirette – IVA – Vendita immobiliare – Accollo – Fatture – Diritto di detrazione
Fatti di causa
La società T. promise in vendita alla s.r.l. P. il complesso immobiliare denominato “I.T.”, La stipulazione del relativo contratto preliminare fu accompagnata dall’emissione di due fatture, concernenti altrettante tranches del corrispettivo convenuto, che, secondo l’accordo delle parti, sarebbe stato versato mediante l’accollo, da parte della prominente acquirente, dei debiti che la promittente venditrice aveva nei confronti di una banca. Le fatture furono registrate dalla s.r.l. P. nel registro iva degli acquisti, ai fine dell’esercizio del diritto di detrazione; il che condusse la società ad esporre un credito iva di lire 1,482.000.000.
Il contratto preliminare, però, non sfociò nella redazione di quello definitivo e l’anno successivo la società T. stornò le somme oggetto delle due fatture con nota di credito, al netto dell’iva, che indirizzò alla s.r.L P., ma che non fu da questa registrata.
L’Agenzia delle entrate procedette dapprima a rettificare la dichiarazione iva della P. per l’anno d’imposta 1996, in quanto ritenne indebita la detrazione dell’imposta indicata nelle due fatture che avevano corredato il contratto preliminare. Sostenne al riguardo che, in realtà, il contratto preliminare documentasse un’operazione oggettivamente inesistente, in quanto funzionale ad una cessione mai avvenuta.
Successivamente l’Ufficio notificò alla s.r.l. P. per l’anno 1997 un secondo avviso col quale recuperò l’iva indebitamente detratta in relazione all’operazione in questione, ma in base alla considerazione che la società non aveva registrato la nota di credito con la quale la promittente venditrice aveva stornato le somme fatturate.
La contribuente impugnò entrambi gli avvisi.
L’impugnazione del primo avviso non ebbe successo in primo, né in secondo grado.
Questa Corte (con sentenza 15 maggio 2008, n. 12192), tuttavia, nel cassare la sentenza della Commissione tributaria regionale, ne sottolineò l’erroneità, là dove il giudice aveva trascurato che, al cospetto di un acconto sul prezzo convenuto per la cessione di beni, l’operazione imponibile si deve ritenere effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, anche se mediante accollo di un debito. La Corte demandò peraltro al giudice del rinvio di verificare la validità del contratto preliminare e la conseguente esistenza dell’operazione.
Il giudice del rinvio, con la sentenza n. 130/21/10, in base alla condotta delle parti, all’esame del contratto preliminare ed alla valutazione delle modalità di pagamento convenute, è giunto alla conclusione che l’operazione fosse in realtà oggettivamente inesistente, di modo che ha escluso la detraibilità dell’iva esposta nelle due fatture che la s.r.L P. ha ricevuto dalla società T..
L’impugnazione del secondo avviso fu accolta dalla Commissione tributaria provinciale, che ne ritenne tardiva fa notificazione.
Quella regionale, invece, ha accolto la censura dell’Agenzia relativa alla tardività della notificazione dell’avviso, che ha escluso, ma ha dichiarato la cessazione della materia del contendere. A tal fine ha fatto leva sulla sentenza n. 130/21/10, con la quale, si è visto, altra sezione della Commissione ha confermato la legittimità del primo avviso e, per conseguenza, l’illegittimità dell’operata detrazione dell’iva.
Contro la prima sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, cui l’Agenzia non replica con difese scritte.
Contro la seconda hanno proposto ricorso, per ottenerne la cassazione, dapprima la società, che articola il proprio gravame in sei motivi, erroneamente numerati come cinque, cui l’Agenzia risponde con controricorso e poi l’Agenzia, che propone tre motivi, cui non v’è replica.
L’Agenzia deposita altresì memoria.
Ragioni della decisione
1. – I tre giudizi vanno riuniti: il secondo ed il terzo ex art. 335 c.p.c., perché concernono la medesima sentenza ed il primo agli altri due per connessione oggettiva e soggettiva.
2. – Col primo, col terzo, col quarto e col quinto motivo del ricorso iscritto al n. 22398/11 r.g.t. la società P. rappresenta diversi profili di insufficienza o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
Evidenzia, in particolare, elementi atti a documentare l’effettività della trattativa fra le parti (primo motivo), la prova che essa fosse a conoscenza dell’esposizione bancaria oggetto dell’accollo (terzo motivo), il defatigante contenzioso civile seguito alla mancata stipulazione del contratto definitivo (quarto motivo) e la rilevanza dell’archiviazione dell’indagine penale svoltasi nei confronti dell’amministratore della P. in relazione alla vicenda (quinto motivo). Il secondo motivo col quale si deduce la violazione dell’art. 1346 c.c., con riguardo al grado di precisione dell’indicazione del corrispettivo richiesto in relazione al contratto preliminare, afferisce pur sempre alla generale critica della ricostruzione dei fatti svolta dal giudice d’appello.
2.1. – Cosi articolato, il ricorso è inammissibile, perché si traduce in una proposta di rilettura delle risultanze del processo, che a questa Corte è inibita.
Per giurisprudenza consolidata (in espressione della quale si veda, tra le più recenti, Cass., ord. 4 agosto 2017, n. 19547) la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al proprio vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, si può legittimamente dire sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, oppure quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione.
1.2, – Nel caso in esame, di contro:
– col primo motivo sì assegna diverso significato alla circostanza valorizzata dal giudice d’appello concernente l’ignoranza, al momento della conclusione del preliminare, dell'<<esatto ammontare dei debiti da accollarsi>> (così a pag. 30 del ricorso);
– da questa censura, di per sé ininfluente, in base alle considerazioni che precedono, si fa derivare la violazione dell’art. 1346 c.c., oggetto del secondo motivo;
– col terzo motivo si punta sull’indicazione nel contratto preliminare dell’esistenza del pignoramento trascritto in favore dell’Istituto di Credito Fondiario, <<la cui procedura è pendente presso il Tribunale di Terni ai n. 192/93>>, laddove il giudice d’appello ha assegnato rilievo all’ignoranza della <<circostanza che il complesso immobiliare oggetto dei preliminare era stato messo in vendita all’incanto dal Tribunale di Terni>> ;
– gli elementi dedotti col quarto motivo si traducono in diversa lettura della rilevanza «della vicenda giudiziale instauratasi tra le parti a seguito della mancata stipula della compravendita>> (così si legge nella sentenza impugnata, che l’ha esaminata, reputandola di <<scarso rilievo>>, anche in base alla sentenza n. 348/2003 del Tribunale di Viterbo, benché priva della certificazione di passaggio in giudicato);
– analoghe considerazioni valgono, quanto al quinto motivo, in relazione al peso da assegnare all’archiviazione del Gip concernente la vicenda, che secondo la Commissione tributaria regionale <<é irrilevante perché privo di valore di giudicato>>, mentre secondo la società ha valore decisivo. La statuizione del giudice d’appello, d’altronde, è in linea con l’orientamento di questa Corte, che sottolinea la distinzione tra decreto di archiviazione e sentenza di assoluzione, ai fini della valutazione nel processo tributario ed esclude che dal primo scaturiscano preclusioni di alcun genere, proprio perché esso ha per presupposto la mancanza di un processo (tra varie, Cass. 18 aprile 2014, n. 8999).
3. – Il ricorso iscritto al n. 22398/11 è per conseguenza inammissibile.
4. – Ad ogni modo, in concreto, giova osservare, la società comunque non avrebbe potuto procedere alla detrazione dell’iva in questione.
Ciò perché, in caso di eventi successivi al compimento dell’operazione imponibile, il cessionario, per poter esercitare il diritto di detrazione, deve applicare applicare il meccanismo previsto dall’art. 26 del d.P.R. n. 633/72, in virtù del quale il cessionario che detragga l’iva di rivalsa annotando la fattura nel registro degli acquisti deve registrare la variazione (annotando la nota nel registro delle vendite), al fine di evidenziare un debito pari alla detrazione in precedenza operata, che è così neutralizzata; la registrazione della variazione da parte del cessionario è idonea ad escludere il rischio di perdita di gettito fiscale, poiché esplicita che egli non ha diritto alla detrazione dell’iva (specificamente in termini, Cass, 11 dicembre 2013, n. 27698 e, in relazione ad una fattispecie simile a quella in esame, Cass. 13 maggio 2016, n. 9845; risponde ad analogo principio altresì Cass. 27 maggio 2015, n. 10939).
Il sistema prevede come rimedio per il cessionario il diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa, di guisa che l’iva già pagata va retrocessa ai titolare del diritto al rimborso arg., tra varie, da Cass. 11 maggio 2012, n. 7330 e da ord. 7 giugno 2017, n. 14739); e tale diritto comprende l’intera prestazione ricevuta e divenuta indebita, compresa fa somma corrispondente all’addebito dell’imposta in ragione della rivalsa (Cass. 22 gennaio 2015, n. 1190).
Il congegno così elaborato mira a garantire il principio di neutralità dell’iva e, ad un tempo, ad evitare il rischio di perdita di gettito fiscale per l’erario.
4.1. – Difatti, in una fattispecie analoga a quella in esame, la Corte di giustizia (Corte giust. 3 marzo 2014, causa C-107/13, Firin OQD), ha stabilito che <<gli art. 55, 90f par. 1, 168, lett. a), 185, par. 1, e 193 direttiva 2006/112/Ce del consiglio 28 novembre 2006 devono essere interpretati nel senso che impongono che la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, operata dal destinatario di una fattura redatta ai fini del pagamento di un acconto concernente la cessione di beni, sta rettificata nei caso in cui, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, tale cessione, in definitiva, non sia stata effettuata, anche qualora il fornitore resti debitore di tale imposta e non abbia rimborsato l’acconto>>.
Il meccanismo della rettifica, ha rimarcato la Corte, è parte integrante del sistema di detrazione dell’Iva.
Ciò in quanto esso, nel propiziare la precisione delle detrazioni, garantisce la neutralità dell’iva, in modo che le operazioni compiute a monte seguitino a consentire l’esercizio del diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui esse servano a fornire prestazioni – o concretino cessioni – soggette a tale imposta.
4.2. – Che la P., difatti, non abbia registrato la nota di credito ricevuta dalla T. è pacifico tra le parti.
Né esclude la rilevanza del fatto la circostanza, su cui insiste la società nel controricorso in risposta al ricorso dell’Agenzia, che sia trascorso più di un anno dall’inosservanza dell’obbligo di fare derivante dal contratto preliminare.
Ciò perché tale limite è previsto dall’art. 26 del d.P.R., n. 633/72 soltanto qualora la vicenda risolutiva trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso (Cass. 6 ottobre 2011, n. 20445).
Il che è da escludere nel caso in esame, in base alfa stessa prospettazione del ricorso, la quale, anzi, dà conto del “defatigante contenzioso civile” seguito alla mancata stipulazione del contratto definitivo, oggetto del quarto motivo.
5. – L’inammissibilità del ricorso iscritto al n. 22398/11 r.g. e, quindi, la definitiva legittimità dell’avviso di accertamento dall’impugnazione del quale esso è scaturito evidenziano la fondatezza del secondo motivo dei ricorso iscritto ai n. 31/12, che va esaminato preliminarmente per priorità logica, col quale la società denuncia ex art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 46 del d.lgs. n. 546/92, là dove la Commissione tributaria regionale, con la sentenza n. 310/38/10, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere.
Nessuna cessazione della materia del contendere è difatti configurarle, come erroneamente ha ritenuto il giudice d’appello.
5.1. – Anzi; la pretesa impositiva compendiata nel primo avviso di accertamento, da ritenere legittima, in base alle considerazioni che precedono, evidenzia l’illegittimità per duplicazione della seconda pretesa impositiva espressa col secondo avviso, ma pur sempre concernente, come la stessa Agenzia riconosce nel ricorso da essa proposto iscritto ai n. 44/12, la medesima condotta di detrazione dell’iva esposta nelle due fatture che hanno corredato il contratto preliminare rimasto inadempiuto.
Il divieto di doppia imposizione scatta difatti al momento del concreto rinnovo della pretesa impositiva, che manifesta la volontà dell’Amministrazione di ricevere il doppio pagamento; in una parola, si configura se e quando divenga attuale (Cass. 17 marzo 2017, n. 6933; 8 marzo 2013, n. 5886; 27 gennaio 2012, n. 1175).
Il che è appunto quanto è accaduto nel caso in esame.
6. – L’accoglimento di questo motivo comporta l’assorbimento del primo motivo dei ricorso in esame, riguardante la contraddittorietà della motivazione, là dove il giudice d’appello ha dichiarato la cessazione della materia del contendere, del terzo motivo, concernente il preteso accoglimento di fatto della richiesta avanzato nell’appello dell’Agenzia di sospendere il giudizio in attesa della decisione riguardante ravviso relativo all’anno d’imposta 1996, del quinto (erroneamente numerato come quarto), concernente l’omessa pronuncia in ordine alla violazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 633/72 e del sesto (erroneamente numerato come quinto), col quale si denuncia la violazione del divieto di doppia imposizione.
6.1. – Inoltre, l’accoglimento di questo motivo evidenzia altresì l’infondatezza del ricorso proposto dall’Agenzia ed iscritto di n. 44/12, nel motivi in cui è articolato, che concernono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. (primo motivo), l’omessa applicazione dell’art. 295 c.p.c, (secondo motivo) e l’insufficienza della motivazione riguardante il passaggio in giudicato della sentenza n. 130/21/10 (terzo motivo).
7. – Infondato è, invece, il quarto motivo del ricorso iscritto di n. 31/12, col quale la società denuncia la violazione dell’art. 56 del d.P.R. n. 633/72 e dell’art. 60 del d,P,R. n. 600/73, in relazione all’art. 57 del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice d’appello ha escluso che la notificazione dell’avviso di accertamento, avvenuta mediante raccomandata spedita ai presunto liquidatore della s.r.L P. fosse inesistente e quindi insanabile, poiché all’epoca in cui essa è stata eseguita il liquidatore era persona diversa.
7.1. – Sul punto, difatti, in generale, le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, nn. 14916 e 14917) hanno chiarito che l’inesistenza della notificazione è configuratale, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.
Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente sì da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.
7.2. – Questi principi, benché espressi con riguardo alla notificazione del ricorso per cassazione sono applicabili, per la loro portata generale, altresì alla notificazione dell’avviso (per la loro estensione alla notificazione della cartella di pagamento, vedi Cass. 28 ottobre 2016, n. 21865 e, per l’estensione all’avviso di accertamento, Cass. 15 settembre 2017, nn. 21429, 21428, 21427, 21426, 21425).
7.3. – Né può dirsi maturata la decadenza dall’azione impositiva.
Si legge difatti nella sentenza impugnata che il ricorso introduttivo <<…é stato presentato in data 19/12/02…>>, entro, quindi il termine dì decadenza fissato all’Ufficio, che, come entrambe le parti riconoscono, sarebbe andato a scadere il 31 dicembre 2002; accertamento, questo, rimasto incontestato.
Ed è tale impugnazione, che evidenzia l’avvenuta conoscenza dell’avviso, non già il suo successivo deposito presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, ad aver determinato la sanatoria della nullità della notificazione, ove esistente, impedendo la maturazione della decadenza dell’Ufficio dal proprio potere di accertamento.
8. – In definitiva, in accoglimento del secondo motivo del ricorso iscritto al n. 31/12, la sentenza impugnata va cassata nel punto corrispondente e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il relativo giudizio va deciso nel merito, con l’accoglimento per il profilo in questione del ricorso originario.
8.1. – Per il resto il ricorso iscritto al n. 31/12 va respinto; e va respinto anche quello iscritto al n. 44/12.
8.2. – L’esito complessivo della lite comporta la compensazione di tutte le voci di spesa.
P.Q.M.
La riunione dei ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n. 22398/11; accoglie il secondo motivo del ricorso iscritto al n. 31/12, cassa per il profilo corrispondente la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario per il corrispondente profilo, assorbiti il primo, il terzo, il quinto ed il sesto motivo di questo ricorso e ne rigetta il quarto; rigetta il ricorso iscritto al n. 44/12.
Compensa tutte le voci di spesa.
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