CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 dicembre 2017, n. 29406
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Applicazione dei parametri o degli studi di settore – Notificazione a mezzo posta
Rilevato
che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c, delibera di procedere con motivazione semplificata;
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che aveva accolto l’appello di G. A. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Ragusa. Quest’ultima aveva rigettato l’impugnazione del contribuente avverso un avviso di accertamento IRPEF per l’anno 2007;
Considerato
che il ricorso è affidato a tre censure;
che, col primo motivo, l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 140 c.p.c. e 48 disp. att c.p.c. nonché degli artt. 19 e 21 D.Lgs, n. 546/1992, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.: la notificazione effettuata ai sensi dell’art, 140 c.p.c. si perfezionerebbe con il deposito della copia dell’atto nella casa comunale e l’affissione dell’avviso alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario. Nella specie, il procedimento dì notificazione sarebbe stato eseguito nei termini e secondo le modalità di legge; che, mediante la seconda censura, la ricorrente invoca la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 22 D.Lgs n. 546/1992, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c: la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che il computo del termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio iniziasse a decorrere dalia ricezione del ricorso in capo alla controparte; che l’ultima doglianza attiene alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c. 10 I. n. 146/1998 e 62 sexies comma 3° D.L n. 331/1993, in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c., giacché l’accertamento riferito agli studi di settore non avrebbe dovuto essere supportato da ulteriori elementi di valutazione;
che il primo motivo è infondato;
che la censura non sembra cogliere la ratio della decisione impugnata, che s’incentra non solo sulla mancanza dei numero cronologico della notifica e del numero di raccomandata dì avviso, ma anche sull’oggettiva incertezza dell’indirizzo inerente le raccomandate (indirizzo insufficiente o indirizzo inesistente);
che, d’altronde, il motivo manca di autosufficienza, non avendo la ricorrente allegato né tanto meno riportato nel ricorso la documentazione inerente la prova della regolarità della notifica, messa in dubbio dalla CTR, né potendo il tenore del vizio denunciato (violazione di legge) consentire un esame del fascicolo di merito, limitato, come è noto, agi soli errores in procedendo (Sez. 5, n. 19410 del 30/09/2015); che il secondo motivo è infondato, poiché il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente e dell’appellante, che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (Sez. U, n. 13452 del 29/05/2017);
che il terzo motivo è infondato, atteso che l’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena Sa nullità dell’accertamento, con il contribuente (Sez. 5, n. 9484 del 12/04/2017); che pertanto l’onere probatorio a carico dell’Ufficio non si esaurisce col richiamo agli studi di settore ma si completa attraverso la dimostrazione dell’intervenuto contraddittorio, che non è stata offerta, in presenza dì una contestazione avversaria sul punto;
che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore del controricorrente, in euro 2.500, oltre spese forfettarie in misura del 15%.
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