CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2018, n. 2935
Tributi – Accertamento – Vendita di autovetture – Omessa fatturazione – Presunzione – Accensione da parte dei clienti di finanziamenti per importi superiori al prezzo fatturato
Rilevato in fatto
1. L. L. e N. R., in proprio e quali soci di società di fatto, propongono ricorso per cassazione, con sette mezzi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che rimane intimata), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha rigettato l’appello da essi proposto, confermando la decisione di primo grado che aveva ritenuto la parziale legittimità degli avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Roma 8, per l’anno di imposta 2002, aveva determinato ai sensi degli artt. 39, comma secondo, lett. d), e 40 d.P.R. n. 600 del 1973: a) nei confronti della società, maggiori imposte Irap e Iva e irrogato sanzioni, in conseguenza della operata rettifica del valore della produzione e del volume d’affari; b) nei confronti di ciascuno dei due soci, maggiori imposte Irpef, addizionali regionali e comunali, in ragione della conseguente rettifica del reddito di partecipazione.
Gli avvisi scaturivano da p.v.c. della Guardia di Finanza con il quale era stato contestato: l’esercizio in forma societaria di fatto dell’impresa formalmente intestata a N. R.; l’omessa fatturazione in relazione alla vendita di alcune autovetture; la vendita con fatturazione inferiore al prezzo realizzato; l’erronea ed inferiore fatturazione per i veicoli acquistati dalla società A. Due S.r.l.; l’omessa dichiarazione delle plusvalenze derivanti dal contratto di cessione d’azienda del 31/12/2002; l’inattendibilità delle scritture contabili.
La C.T.R., conformemente alla decisione di primo grado, ha ritenuto fondate tali contestazioni, con la sola esclusione della prima (omessa fatturazione).
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione in ordine alla contestata infedele fatturazione del prezzo di vendita di alcune autovetture, presunta in ragione delle riscontrate differenze tra fatture emesse e contratti di finanziamento.
Lamentano che al riguardo i giudici d’appello si sono limitati ad una semplice ed apodittica valutazione di non accoglibilità delle eccezioni formulate dagli appellanti, senza alcun riferimento espresso agli elementi in fatto e diritto idonei a supportare la decisione, così di fatto riversando sui contribuenti un onere dimostrativo di non congruità della presunzione.
La censura è infondata.
I giudici d’appello hanno al riguardo motivato ritenendo «non meritevole di accoglimento l’eccezione avanzata dalla contribuente in merito alla sua estraneità dai contratti di finanziamento in quanto non provata».
Tale affermazione deve essere letta in riferimento alle premesse esposte nella parte narrativa della sentenza nella quale si evidenzia che: a) il ragionamento presuntivo sul punto adottato dall’Ufficio era criticato nel ricorso introduttivo in ragione del (solo) rilievo che i contratti di finanziamento stipulati dai clienti-acquirenti «erano estranei alla sfera del venditore»; b) nelle controdeduzioni depositate nel giudizio di primo grado l’Ufficio ribatteva che la richiesta di un finanziamento di importo superiore a quello da versare da parte dei clienti per l’acquisto delle auto sarebbe immotivata e «la società venditrice non poteva ritenersi estranea all’operazione di finanziamento, tant’è che spesso sono tali società che propongono ai clienti i finanziamenti provvedendo al disbrigo delle relative formalità»; c) la C.T.P. di Roma ha rigettato sul punto il ricorso dei contribuenti ritenendo legittimo l’operato dell’Ufficio (così dunque implicitamente avallando il ragionamento sopra descritto).
Alla luce di tali premesse, la pur sintetica motivazione sopra riportata, lascia emergere in modo chiaro e univoco le ragioni e il percorso logico che hanno condotto i giudici d’appello al rigetto del relativo motivo di gravame.
Da essa si ricava infatti che la critica mossa degli appellanti si risolveva nella mera riproposta asserzione della propria estraneità ai contratti di finanziamento stipulati dai clienti e che tale difesa è stata ritenuta infondata in quanto mancante di prova.
È da escludersi pertanto che tale motivazione possa tacciarsi di apoditticità, ma anche che la stessa incorra in una erronea inversione dell’onere probatorio in materia.
La motivazione del rigetto della contestazione sul punto mossa dal contribuente rimane infatti fondata sulla ritenuta idoneità degli elementi presuntivi valorizzati dall’Ufficio (accensione da parte dei clienti di finanziamenti per importi superiori al prezzo fatturato).
L’allegazione e prova di tale elemento soddisfano gli oneri gravanti sull’amministrazione e, poiché da esso muovono i giudici territoriali nell’affermare la legittimità della ripresa induttiva, non può predicarsi alcuna inversione dei relativi criteri di riparto.
Sul piano propriamente motivazionale non risulta, poi, né viene dedotta la pretermissione di altri fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva, decisiva e contrastante portata indiziante, donde non può considerarsi sindacabile, nemmeno sotto tale profilo, l’esercizio del potere discrezionale riservato al giudice del merito nell’apprezzamento e nella valutazione degli elementi indiziari (tanto più in un caso, quale quello di specie, in cui, come evidenziato in sentenza, l’accertamento è stato condotto ai sensi dell’art 39, comma secondo, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, alla stregua pertanto di presunzioni c.d. supersemplici, che come tali non si richiede siano assistite dai carattere di gravità, precisione e concordanza).
La difesa sul punto svolta dai contribuenti investe a ben vedere la valutazione di merito dell’efficacia presuntiva dell’elemento considerato e si risolve nella mera inammissibile prospettazione e sollecitazione di un esito diverso della stessa.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1731 ss. e 1754 ss. cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto che fra la A. Due S.r.l. e la S.d.f. sussistesse un rapporto di commissione, anziché di intermediazione, come da essi eccepito.
Affermano che «non è tecnicamente condivisibile» la «tesi motivazionale» al riguardo accolta dai giudici d’appello – i quali hanno attribuito rilievo dirimente alla circostanza che i contratti di vendita di autoveicoli fossero conclusi direttamente dalla S.d.f. in nome proprio, negando invece rilievo al fatto che l’intero prezzo dell’acquisto venisse riversato in favore della A. – rilevando che dalla documentazione richiamata in motivazione, e segnatamente dalle fatture che risultano emesse da A. Due S.r.l. per tutte le auto in contestazione, risulta che queste ultime erano di proprietà della A. Due la quale, correttamente, all’atto della loro cessione, emetteva regolare fattura. Sostengono che, conseguentemente, la conclusione del contratto non può ipotizzarsi in capo ad essi contribuenti poiché, se così fosse, si tratterebbe di negozio impossibile per mancanza giuridica dell’oggetto, non risultando un anteriore trasferimento di proprietà dei beni dalla A. Due in favore della S.d.f..
La censura si appalesa inammissibile in quanto diretta a ben vedere a contestare quale frutto di error in iudicando non la ricostruzione della fattispecie normativa astratta (contratto di commissione: art. 1731 cod. civ.) ritenuta applicabile, ma al contrario la ricognizione del fatto, ossia degli elementi caratterizzanti il rapporto contrattuale concretamente instauratosi tra la S.d.f. e la A. Due S.r.l., la quale però, per pacifica giurisprudenza, è sindacabile solo ai sensi e nel limiti dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., quale frutto di vizio di motivazione, ovvero per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ.: vizi entrambi non dedotti nella specie.
3. Va conseguentemente rigettato anche il terzo motivo con il quale i ricorrenti denunciano, ancora ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione di legge in relazione agli artt. 1731 ss. e 1754 ss. cod. civ., per avere la C.T.R. ritenuto legittima la ripresa a tassazione dell’intero prezzo di vendita dei veicoli acquistati da A. Due S.r.l. (salva la deduzione dei relativi costi d’acquisto), anziché del solo «margine».
4. Con il quarto motivo i contribuenti denunciano poi, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., omessa, contraddittoria, insufficiente motivazione con riferimento alla ritenuta legittimità della ripresa fiscale relativa alla plusvalenza derivata dalla presunta cessione d’azienda.
Posto che l’esistenza di tale cessione è affermata dall’Ufficio in ragione della vendita delle autovetture, della prosecuzione da parte della società G. 67 S.r.l. della stessa attività e del fatto che la compagine societaria di quest’ultima era già operante per la cedente (elementi indiziari considerati idonei dalla C.T.R.), lamentano i ricorrenti la mancata valutazione degli elementi di segno contrario proposti nell’atto d’appello, ove in particolare si segnalava che: a) alla data della ipotizzata cessione (31/12/2002) la ditta N. R. cessava la propria attività mentre la ipotizzata acquirente Garage 67 S.r.l. non era ancora costituita; b) nel rapporto di locazione di cui era parte la ditta N. non è subentrata la nuova società, che ha stipulato con il proprietario del terreno ove insisteva l’attività un nuovo contratto; c) le autorizzazioni amministrative sono state ottenute attraverso originarie richieste e non mediante volture; d) le cessioni di singole autovetture tra le parti sono state debitamente fatturate.
La censura è fondata e merita accoglimento.
Sul punto la C.T.R. si limita a rilevare che «la contribuente non ha dimostrato la mancata cessione d’azienda a fronte dell’accertamento, da parte dell’Ufficio, dell’avvenuta cessione “nella sostanza” comprovata dalla vendita delle autovetture, dalla prosecuzione da parte della società G. 67 S.r.l. della stessa attività e dal fatto che la compagine societaria di quest’ultima era già operante per la cedente», senza far neppure cenno agli elementi di contro evidenziati dai contribuenti, la cui potenziale valenza logica contrastante con la ricostruzione accolta non può a priori essere disconosciuta.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 1 e 2 d.P.R. 16 settembre 1996, n. 570, in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. confermato la valutazione di inattendibilità delle scritture contabili, per la ritenuta sussistenza del presupposto fissato dalle richiamate disposizioni, rappresentato dallo scostamento tra valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche e valori indicati in contabilità.
Rilevano che tale scostamento discende dalle medesime riprese poste a fondamento dell’accertamento e singolarmente contestate con il ricorso introduttivo, la prima delle quali già annullata dal giudice di primo grado con statuizione passata in giudicato, le altre tuttora oggetto di lite in ragione dei motivi di ricorso già sopra esaminati, con la conseguenza che, dall’accoglimento di questi ultimi, discenderebbe anche l’illegittimità della predetta declaratoria di inattendibilità delle scritture contabili.
Le ragioni del rigetto di tale motivo sono evidentemente implicite nelle considerazioni già in esso svolte: il rigetto dei primi tre motivi di ricorso comporta la conferma della rilevata discordanza tra valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche e valori indicati in contabilità, rimanendo a tal fine ininfluente l’accoglimento del quarto motivo (cui per vero nemmeno i ricorrenti fanno al riguardo riferimento).
6. Con il sesto e settimo motivo (numerati in ricorso rispettivamente 6 e 6-bis) i ricorrenti denunciano infine violazione degli artt. 2251, 2262, 2264 ss. cod. civ., nonché vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., in relazione alla ritenuta imputabilità dell’attività commerciale formalmente intestata alla ditta individuale N. R. ad una S.d.f. tra la stessa e il di lei coniuge L. L..
Sostengono che la sola circostanza al riguardo valorizzata dai giudici d’appello – ossia lo svolgimento da parte di quest’ultimo, in nome proprio, di compiti relativi all’attività – è di per sé insufficiente a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi di un contratto di società, potendo al più indicare l’esistenza di un’attività gestionale ma non anche di un fondo comune e di un accordo volto al riparto degli utili e delle perdite. Soggiungono che analogamente non può considerarsi univocamente indicativo il sostegno economico dato alla moglie nell’esercizio dell’impresa, in quanto di per sé “atto neutro” specie nei rapporti tra coniugi.
La censura si appalesa inammissibile e, comunque, infondata.
Essa invero non si confronta con la reale motivazione posta a fondamento dell’accertamento, la quale fa riferimento a più elementi fattuali – quali la sottoscrizione di contratti, l’incasso di assegni intestati al L. – ben più specifici e significativi (anche rispetto agli elementi costitutivi del contratto di società cui i ricorrenti fanno riferimento) che non il generico riferimento allo svolgimento di «compiti relativi all’attività» dell’impresa.
Anche al riguardo si è pertanto di fronte ad un legittimo e motivato esercizio del potere discrezionale riservato al giudice di merito di valutazione degli elementi presuntivi, che non si espone a censure sul piano motivazionale.
7. In accoglimento del solo quarto motivo di ricorso la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso; rigetta i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- La vendita dell'auto usata, ricevuta a fronte della vendita di un auto nuova, se ceduta a prezzo inferiore rispetto alla valutazione la differenza è deducibile
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5182 - Legittimità dell'accertamento fondato, per la determinazione del prezzo di cessione di immobili fondato sull'importi dei mutui accesi dai terzi acquirenti superiori ai prezzi dichiarati di vendita
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 gennaio 2022, n. 504 - In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente…
- CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 36774 depositata il 11 ottobre 2021 - In tema di sequestro preventivo, il trasferimento del vincolo cautelare dalla cosa al denaro ricavato dalla vendita di essa non esclude l'interesse della parte a…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 19 luglio 2021, n. 20590 - In tema di imposta di registro, il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà di un immobile, comportando la retrocessione del bene…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 settembre 2021, n. 25013 - In tema di imposta di registro, il contratto con il quale viene convenuta la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà di un immobile, comportando la retrocessione del…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- ISA 2024: regime premiale (compensazioni fino a 70
Con il provvedimento n. 205127 del 22 aprile 2024 dell’Agenzia delle Entra…
- Legittima la sanzione disciplinare del dirigente p
La Corte di Cassazione. sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8642 depositata…
- Valido l’accordo collettivo aziendale che li
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10213 depositat…
- Non è configurabile l’aggravante del reato d
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 17140 depositata il 2…
- Il giudice non può integrare il decreto di sequest
Il giudice non può integrare il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla…