CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 agosto 2017, n. 19725
Inquadramento contrattuale – Differenze contributive – Svolgimento mansioni superiori – Espletamento in via sporadica ed occasionale – Necessaria la sussistenza della frequenza e sistematicità – Individuazione della categoria di appartenenza – Assenza di regola di contrattazione collettiva – Analisi qualitativa delle mansioni espletate
Rilevato
che, con sentenza del 23 ottobre 2015, la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della decisione del primo giudice, accoglieva il gravame proposto da P.A., D.M., B.M.M., D.N., G.P. e C.R. e dichiarava il loro diritto all’inquadramento al livello 2B della classificazione funzionale prevista dal contratto collettivo del personale di terra del trasporto aereo e attività aeroportuali, a decorrere dal 6 luglio 2008 con condanna della S. s.p.a. al pagamento in favore degli appellanti delle differenze retributive maturate – specificamente indicate in dispositivo – e maturande al decorrere dal febbraio 2015;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la S. s.p.a. affidato a tre motivi cui resistono con controricorso i lavoratori; che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il difensore della ricorrente ha depositato sentenza dichiarativa del fallimento della stessa;
che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;
Considerato
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ. nonché 414 nn. 4, 5 e 6 e 437, secondo comma, cod. proc. civ. in quanto la Corte di appello non aveva correttamente ripartito gli oneri probatori gravanti sulle parti omettendo di rilevare che incombeva esclusivamente sui lavoratori fornire adeguata prova dello svolgimento delle mansioni superiori su posizioni lavorative prive di titolare, senza considerare che nel ricorso introduttivo del giudizio non era stato neppure allegata l’abitualità dell’assegnazione a mansioni superiori;
– con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2013 e 2697 cod. civ. nonché 166 e 416 cod. proc. civ. per avere il giudice del gravame condiviso una interpretazione restrittiva della nozione di lavoratore “assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro” di cui all’art. 2103 cod. civ. limitandola a coloro non presenti in azienda “a causa di una delle ipotesi di sospensione legale o convenzionale del rapporto di lavoro” escludendo quelli provvisoriamente assenti dal proprio posto per l’espletamento a rotazione di altre mansioni ma che allo stesso sono destinati a tornare dopo un periodo più o meno lungo, difettando in tali casi quella vacanza effettiva del posto, presupposto dell’acquisizione della qualifica superiore, ciò in contrasto con alcune pronunce di questa Corte; si evidenzia, altresì, che, nel caso di adibizione di lavoratori per oggettive esigenze aziendali a mansioni diverse unitamente a quelle di propria competenza, per la sussistenza della frequenza e sistematicità di reiterate assegnazione di un lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori il cui cumulo sia utile all’acquisizione del diritto alla promozione automatica ex art. 2103 cod. civ., non è sufficiente la mera ripetizione delle mansioni, essendo necessario, se non un vero e proprio intento fraudolento da parte del datore di lavoro, una programmazione iniziale della molteplicità di incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento, circostanza quest’ultima non allegata né provata dai lavoratori;
con il terzo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. in quanto la Corte territoriale aveva risolto la questione della promiscuità dell’incarico temporaneo di RIT (“responsabili in turno”) affidato agli attuali resistenti unitamente alle mansioni proprie della qualifica di appartenenza ordinariamente svolte (“centristi addetti ai servizi di rampa”) nel senso di ritenere prevalenti le prime sulle seconde facendo riferimento, in base alla reciproca analisi qualitativa, a quella maggiormente significativa sul piano professionale omettendo, però, di considerare che detto criterio non ha ragion d’essere nei casi in la mansione superiore sia stata espletata in via sporadica ed occasionale, come avvenuto nel caso in esame in cui – per espressa ammissione dei lavoratori – la loro adibizione a mansioni di RIT era avvenuta per non più di tre – quattro volte al mese per tutta la durata del turno e per ulteriori due volte alla settimana per due ore;
che i motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi sono infondati in quanto la Corte di appello – sulla premessa ha che non era più in contestazione tra le parti l’inquadramento nella superiore categoria invocata delle mansioni di RIT affidate agli attuali controricorrenti – ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui “Per la sussistenza della frequenza e sistematicità di reiterate assegnazioni di un lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori, il cui cumulo sia utile all’acquisizione del diritto alla promozione automatica in forza dell’art. 2103 cod. civ., non è sufficiente la mera ripetizione delle assegnazioni, essendo invece necessario – se non un vero e proprio intento fraudolento del datore di lavoro – una programmazione iniziale della molteplicità degli incarichi ed una predeterminazione utilitaristica di siffatto comportamento (Cass. n. 17870 del 11/08/2014; Cass. n. 11997 del 25 maggio 2009; Cass. n. 4496 del20/05/1997); ed infatti, ha rilevato che dalle risultanze istruttorie era emerso: che l’adibizione degli attuali resistenti alle mansioni di RIT con la frequenza indicata in ricorso (tre- quattro volte al mese per tutta la durata del turno e per ulteriori due volte alla settimana per due ore) e per la durata di oltre tre anni era avvenuta in modo costante e sistematico per coprire due posti di fatto scoperti nel detto periodo in quanto i due addetti agli stessi erano stati assegnati ad altro reparto e non ne era stato programmato il rientro nelle rispettive posizioni ( e, dunque, non si poteva configurare una rotazione); che detta adibizione non era sporadica ed occasionale proprio perché prolungatasi nel tempo e con la descritta cadenza; che, peraltro, con riferimento alla questione dello svolgimento di mansioni promiscue, l’impugnata sentenza ha correttamente seguito il criterio indicato da questa Corte nella determinazione delle mansioni da considerare prevalenti – ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l’individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, come nel caso in esame – e cioè conducendo l’indagine non sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale;
che, infine, con riferimento alla omessa allegazione in sede di atto introduttivo del giudizio della abitualità dell’assegnazione a mansioni superiori si rileva che la doglianza è destituita di fondamento avendo il giudice del gravame già evidenziato come nella narrativa del ricorso era desumibile che l’adibizione era stata abituale e sistematica;
che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ. (Cass. n. 7155 del 21 marzo 2017);
che l’intervenuto fallimento della ricorrente dopo la notifica ed il deposito del ricorso in esame non ha alcuna rilevanza nel presente giudizio (cfr, per tutte: Cass. n. 18979 del 11/12/2003);
che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater; del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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